Lo spettacolo televisivo di maggior successo di pubblico e di
critica sono state le quattro serate di Adriano Cementano e del
suo “RockPolitik”. Si può giudicare come si vuole il lavoro degli
ideatori dello show, ma certamente esso è stata la dimostrazione
di come anche la politica può attrarre l’attenzione delle masse
televisive senza dover usare scollacciate veline e volgarità varie
per fare un ottimo share. L’agorà del “molleggiato” si è
dimostrata più attraente del cabaret di Bruno Vespa. E
incredibilmente anche parlare di valori, di etica e di una
politica fatta come servizio e non come carriera sembra essere
apprezzato. “RockPolitik” ha dimostrato che anche i televisionati
preferiscono un buon professionista dello spettacolo che parla di
politica ad un politico che si trasforma in “macchietta”
televisiva.
L’evento politico più rilevante degli ultimi mesi non sono state
le dichiarazioni di Rutelli, Berlusconi o Fassino, ma la
partecipazione di massa in occasione delle primarie indette senza
alcuna convinzione dall’Unione. Il popolo del centro sinistra
(soltanto?) ha suonato la sveglia: ci siamo anche noi e non
soltanto il ceto politico a decidere candidati, liste e programmi.
Cari generali senza esercito, non è affar vostro soltanto decidere
le strategie per sconfiggere la deriva berlusconiana. Questo è
stato detto ai leader politici con grande tranquillità e
determinazione dagli oltre quattro milioni di partecipanti al voto
del 16 ottobre.
L’esigenza della partecipazione popolare alla politica non è
eludibile in una fase di forti incertezze e di angoscianti
interrogativi sul futuro di tanta parte del Paese.
L’Italia è una strana comunità che, nonostante decenni di
mediocrità della vita politica, mantiene una estesa sensibilità
democratica. Straordinari momenti, come la grandissima
mobilitazione dei giovani calabresi per la legalità, si mescolano
a piccoli episodi che dimostrano la voglia di parlare di politica.
Organizzato da Micropolis, nella sede di Segno Critico, venerdì è
stato presentato a Perugia un libro del Professor Renato Covino.
Si tratta di un saggio titolato “Gli equilibristi sulla palude”.
Essendo stato, in una lontana fase della mia vita, uno degli
“equilibristi”, sono stato invitato alla discussione. La tesi di
Covino è molto radicale:”L’Umbria è uscita dalla povertà e
dall’arretratezza grazie alla politica e all’intervento pubblico”.
Se è vero questo la conseguenza da trarre è che senza una politica
forte e senza una democrazia organizzata, gli attuali problemi
della nostra terra non potranno essere risolti. La gestione
dell’esistente non basterà ad uscire dalla crisi innegabile della
struttura economica e dal certo ridimensionamento dell’intervento
pubblico imposto dalla finanziaria di Tremonti e Berlusconi.
La discussione attorno al saggio di Covino è stata interessante,
ma la cosa che più colpiva in molti interventi, è stata la
pressante richiesta di costruire sedi di discussione politica.
Molti dei partecipanti erano “cani sciolti”, ma molti erano
dirigenti di partiti della sinistra e del sindacato che,
evidentemente, non riescono a trovare nella vita politica
quotidiana della loro organizzazione risposta all’esigenza di
partecipazione.
L’impoverimento della vita democratica dei partiti è cosa nota ed
è grave in assoluto. Diviene una tragedia per una comunità come la
nostra che ha costruito la sua identità grazie ad uno sforzo
soggettivo della classe dirigente politica dei decenni trascorsi.
Di cosa ci sarebbe bisogno? Intanto c’è l’urgenza di un discorso
di verità. Dire come stanno le cose e i rischi che si corrono è
obbligatorio.
E’ utopistico sperare che, nonostante la campagna elettorale già
in atto, si riesca ad organizzare una discussione attorno ai nodi
strutturali della nostra regione? Anche alla luce dei processi
finanziari nazionali, non è tempo di riconsiderare le priorità e
le metodologie del Patto per lo Sviluppo? La scelta strategica
delle privatizzazioni deve essere confermata nonostante i
fallimenti delle cartolarizzazioni tremontiane o è tempo di
riconsiderare la qualità dell’intervento pubblico in alcuni
settori?
Non credo che possa essere indifferente alle forze sociali umbre
il ridimensionamento del welfare locale. La crisi della spesa
pubblica non è cosa che riguarda il ceto politico. Ma è il ceto
politico che deve trovare il mondo di organizzare una discussione
di massa che riesca a mobilitare le forze vive della comunità in
difesa dei servizi pubblici. Da questo punto di vista il sindacato
farà sentire la sua voce. Batta un colpo, La cosa sarà certamente
apprezzata.
Avere meno risorse per delle scelte innovative non è cosa che
riguarda soltanto gli amministratori. Se le vivaci forze
imprenditoriali della regione hanno qualcosa da dire al riguardo è
tempo che lo facciano. Chi la organizza questa fase di
discussione? Dovrebbero essere gli addetti ai lavori ad andare
oltre la normale amministrazione o dal galleggiamento che dir si
voglia, impegnando le proprie energie verso un rapporto più
diretto con le masse amministrate.
Sarebbe l’occasione per far uscire dalla segreta stanza i
dirigenti politici dei partiti. Certamente essi saranno afflitti
dalla gestione delle liste elettorali. Consiglieri di non
affaticarsi più di tanto. Conoscendo come va il mondo possono
essere meno preoccupati. Le oligarchie romane sono già al lavoro
nell’ingrato compito di scegliere, dopo attenta ripartizione, i
candidati per la prossima tenzone elettorale. Una bella campagna
di informazione nel territorio farebbe bene al loro prestigio e
migliorerebbe il loro rapporto con le masse.
Corriere dell’Umbria 13 novembre 2005

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