Nonostante trabocchetti, spallate, minacce continue il governo Prodi è arrivato a mangiare il panettone. Non era affatto scontato e, personalmente, ne sono lieto. Da un lato il Paese non avrebbe sopportato l’esercizio provvisorio del bilancio dello Stato e dall’altro all’orizzonte non si vede alcuna coalizione che sia più avanzata e credibile dell’attuale. La campagna acquisti di Berlusconi non ha portato a risultati proprio perchè non è maturata, nemmeno nel centrodestra, alcuna prospettiva diversa dalle elezioni anticipate che, come è noto, il Presidente Napolitano non può concedere senza una modifica della legge elettorale vigente. Ed ha ragione Napolitano.
La fragilità  del governo nasce da un risultato elettorale figlio di una pessima legge elettorale. Una polpetta avvelenata che i berluscones hanno propinato alla democrazia repubblicana. Ciò ha obbligato il governo a navigare a vista, spesso a galleggiare, per trovare una rotta accettabile per una coalizione rissosa che si è spaccata molte volte su troppi argomenti. La fondazione del Partito Democratico ha accelerato la crisi consentendo a pezzi della Margherita di rompere il vincolo di coalizione. Alcuni parlamentari del partito disciolto hanno formato micro partiti personali che si dichiarano liberi di non votare provvedimenti del governo. Altro che estremismo della sinistra. Altri sono i potenziali killer del governo Prodi.
Sembrerebbe scontato che l’Unione non abbia alcuna prospettiva politica. Alcuni estremisti dell’ala moderata hanno deciso che a gennaio non voteranno più a favore del governo. Dini, Bordon ed altri senatori eletti grazie all’alleanza dell’Unione hanno cambiato idea e si sentono liberati dall’impegno preso con l’elettorato nel 2006. Il Ministro Mastella chiede le elezioni anticipate e la stessa sinistra popolare non può continuare a subire i ricatti dei liberisti e degli integralisti cattolici alla Binetti.
Il risanamento dei conti pubblici è stata la priorità  nell’azione del governo. Si può discutere, e si è discusso, se l’operazione, obbligatoria, poteva essere fatta in modo più soft.
Resta il fatto che la scelta di risanare con rapidità  i buchi prodotti dal governo del centrodestra ha comportato sacrifici che si sono scaricati principalmente nel mondo del lavoro. A novembre i salari e stipendi sono cresciuti meno dell’inflazione. Inflazione +2,6%, i salari +2%. Sei milioni di lavoratori sono senza contratto. La questione salariale è divenuta ormai esplosiva. Fior di economisti di ogni scuola sostengono da tempo che senza una ripresa della domanda interna il Paese non può crescere. La politica dei bassi salari non è soltanto ingiusta, ma produce danni gravi all’intera economia italiana. Se non si migliora il potere d’acquisto dei lavoratori e dei pensionati non si va da nessuna parte. Il declino si accentua.
Non è quindi il presunto estremismo di Mussi o Giordano che impone una svolta nelle scelte economico-sociali del governo.
Il Presidente Prodi ha fissato per gennaio una verifica della coalizione. Sarebbe saggio cercare di mettere a punto una strategia che fissi con chiarezza i punti del programma di governo per il prossimo anno. Poche scelte ma nette. Non sarà  facile. Le forze politiche, e i singoli personaggi, sembrano principalmente impegnate ad assicurarsi un futuro. Da qui l’ansia nella discussione sul modello della nuova legge elettorale.
Gli interessi sono contrapposti e sono trasversali agli schieramenti. Sarà  possibile uno scatto di responsabilità  che individui nell’interesse generale l’obbiettivo da perseguire?
Un partito ha senso esclusivamente se serve alla democrazia. Altrimenti diviene il contenitore di interessi personali e di clientele varie. I sistemi elettorali non funzionano, quando non corrispondono alla realtà  istituzionale e politica di una nazione. Esemplare sono state la recente esperienza del maggioritario che si è voluto imporre e la vigente legge elettorale. Per questo trovo irritante il rincorrere sistemi di altre comunità . Prima il modello tedesco, poi quello spagnolo, da ultimo quello francese.
E’ umiliante constatare che il Paese che ha dato i natali a grandi scienziati della politica e che ha una delle migliori Costituzioni al mondo, esprima un ceto politico che sembra incapace di produrre una democrazia efficace. Per esserlo la democrazia deve salvaguardare la rappresentanza politica e deve assicurare a chi governa di poterlo fare sulla base di un programma, senza subire il ricatto di trasformisti di ogni sorta e degli interessi delle piccole  “botteghe” di partito.
Che bisogna riformare le istituzioni è cosa ormai ovvia. L’allucinante discussione della finanziaria approvata è l’ultimo esempio di come il sistema bicamerale “perfetto” sia ormai un ferro vecchio da superare. Ridurre il numero dei parlamentari è cosa obbligatoria. Se ne parla meno nei giornali, ma la questione dei costi della politica è ben piantata nella testa della gente. Le poche novità  introdotte nella finanziaria devono essere considerate l’inizio di un percorso di ridimensionamento dell’esercito impegnato e pagato dalla politica. Molto resta da fare.
Se il 2008, come dice Veltroni, dovrà  essere l’anno delle riforme bisognerà  che tutti evitino di guardare soltanto al proprio orticello. Vale per il PD, per la sinistra ed anche per i partiti del centrodestra.
Viviamo in una stagione di gravi difficoltà  della democrazia organizzata. Lo spettacolo offerto dalle corride politiche allontana dalla politica troppa gente. L’aver voluto trasformare i cittadini in tifosi da curva nord, è stato un delitto perpetrato dai berluscones aiutati in questo da tanti leader e leaderini del centrosinistra. Siamo alla frutta, ma il rimescolamento del sistema politico conseguente la costruzione di nuove formazioni politiche a destra, al centro e a sinistra può essere una grande occasione di rilancio della buona politica.

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