Riuscirà  il PD ha trovare un segretario che duri più a lungo della neve di marzo? Difficile arrischiare una previsione. Al momento che scriviamo non conosciamo il risultato delle primarie del 25 ottobre, ma al di là  del risultato rimangono comunque i dubbi sulla possibilità  che il PD diventi un’organizzazione politica che abbia un senso e un futuro. Lo spettacolo offerto in questi mesi da questo agglomerato è stato alquanto deprimente. C’è chi l’ha definito una guerra civile, chi la lotta di fazioni interessate soltanto alla conquista del potere o di una tenzone tra signori e signore delle tessere interessati al futuro loro e dei loro famigli. C’e poi chi ha valutato la contesa congressuale come la giusta conclusione della vicenda di un gruppo dirigente che, rimosso il PCI, non è riuscito a costruire altro che una cosa dietro l’altra dissipando valori e perdendo egemonia tra i ceti popolari e in intere aree del Paese. Interessato com’era a preservare il proprio fortino di comando. Uno stagionato gruppo dirigente ha scelto di apparire invece di essere avendo come unico orizzonte la propria salvaguardia.
Non va guardata con sufficienza la partecipazione al voto di quasi cinquecento mila iscritti al PD. La democrazia è anche votare. Certo grandi discussioni non ci sono state. Assemblee congressuali regionali che durano cinquanta minuti o quella nazionale che si risolve in un paio di orette, non sono state un buon viatico per farci capire dove i candidati alla segreteria regionale o nazionale porteranno il partito in costruzione. Abbastanza agghiacciante, poi, sentir Franceschini denunciare l’imbroglio del voto in Campania e ascoltare D’Alema che denuncia la situazione dei franceschiniani in Sicilia. Che il commissario PD per la Campania, Morando, trasferisca l’elenco degli iscritti alla magistratura, non rientra esattamente nel canone di una contesa trasparente. Inoltre, dobbiamo confessare la nostra arcaicità , vedere affissi ai muri i volti dei candidati a segretario come se fosse una campagna elettorale, con il gioco del coprire il manifesto dell’altro come si faceva anche nel 1948, ci è sembrato scioccante. Ma la stagione è questa e possiamo farci ben poco. Tornando a parlare di politica, osserviamo che anche i più attenti osservatori non hanno capito quali siano le strategie dei tre contendenti E’ vero che il meccanismo previsto dallo statuto è quanto di più cervellotico si possa immaginare, ma la questione è come, fatte le primarie, tenere insieme visioni del mondo radicalmente divergenti come quelle che sono emerse in questo simil congresso che ha, cosa non da poco, tenuto fuori dall’agone politico il maggior partito di opposizione al governo Berlusconi in una fase di grave crisi sociale ed istituzionale.
Non bisogna essere particolarmente cattivi per constatare che uno dei punti di forza del Cavaliere è proprio l’inconsistenza di chi si oppone alle sue cialtronate.
Quando Franceschini, nella sua campagna elettorale per la corsa a segretario, va nel nord est e si cosparge il capo di cenere e chiede scusa agli imprenditori per la scarsa attenzione avuta dal centrosinistra nei confronti dei problemi dell’impresa, c’è qualcosa che non va. O meglio è la conferma che il PD non ha ancora capito nulla di ciò che è successo in Italia. In tutto il nord del Paese è la classe operaia che ha, in massa, trasferito il suo voto dal centrosinistra alla Lega o al PDL. Anche iscritti alla CGIL preferiscono i berluscones al Partito Democratico. La cosa dovrebbe allarmare Franceschini e spingerlo a porsi qualche quesito. Il nostro parere è che a qualcun altro dovrebbe chiedere scusa il riformismo nostrano. Perchè è successo questo spostamento a destra dell’elettorato popolare? Le ragioni sono tante. Una su tutte: per oltre venti anni la ricchezza del Paese si è spostata dai redditi da lavoro a redditi da rendita e da capitale. Traducendo, chi vive del proprio lavoro è diventato più povero rispetto a chi vive di rendita o possiede un’impresa. E’ stato un processo mondiale reso possibile dalla vittoria dell’ideologia liberista unita all’incapacità  della sinistra riformista di capire ciò che stava avvenendo. Quando lo ha capito si è adattata e, anche al governo, ha applicato con testardaggine le politiche dettate dal liberismo. Possibile che nel PD non ci sia uno straccio di economista che informi i leader del partito come stanno le cose nei rapporti tra le classi e del perchè della crisi economica mondiale? Come non capire che un partito riformista non può restare silente di fronte al tentativo di isolare la CGIL o di stare muto di fronte al contratto dei metalmeccanici siglato da CISL e UIL a prescindere da ciò che ne pensa la FIOM, il sindacato che organizza la maggioranza dei lavoratori. Che riformismo è questo?
Questa incapacità  di analisi e il vivere in un eterno presente, riguarda ovviamente anche il ceto politico dell’Umbria. Un esempio? Che il centrosinistra abbia subito una sconfitta nelle recenti elezioni amministrative è cosa acquisita ma ormai rimossa.
In questi mesi molte dichiarazioni di vari esponenti del centrosinistra, nessuna analisi seria del perchè importanti amministrazioni umbre siano passate dal centrosinistra ai berluscones. Prevale la lettura di errori dovuti ad errori locali.
La sfida congressuale non è stata stimolo a discutere di politica ma la solita commedia del chi è il nuovo e chi rappresenta la conservazione. Il fatto che in Umbria vi sia stato un netto spostamento a destra dell’elettorato non sembra interessare i dirigenti PD mentre i gruppi (partiti ci sembra eccessivo) alla sinistra del partito di Franceschini, continuano nella loro ricerca disperata di trovare un minimo programma comune.
Gli esperti ci hanno spiegato che lo scontro è aspro perchè in gioco ci sono le candidature alle regionali del prossimo anno e gli organigrammi futuri dipenderebbero da chi sarà  eletto segretario a Roma e in Umbria. Le alleanze e le scelte del leader sarebbero condizionate dalla sistemazione che pinco promette a pallino.
E’ stata sempre questione impegnativa la formazione di un gruppo dirigente in un partito di massa. In presenza di partiti liquidi malati di leaderite come gli attuali, la cosa è ancor più complessa. Ma sembra proprio che la scelta del PD e per altri versi quella della sinistra, sia la peggiore. Partire dagli organigrammi forse riuscirà  ad assicurare a qualcuno un radioso avvenire di assessore o di consigliere, ma sembrerebbe una scelta che non risolverà  il problema di come riorganizzare una strategia vincente del centrosinistra per contrastare la crisi sociale e il berlusconismo imperante.
Lontano da noi ogni tesi di sottovalutazione del ruolo del popolo del centrosinistra e dei suoi dirigenti. Sappiamo bene che senza una svolta radicale all’interno di questo popolo non si va da nessuna parte. Di fronte, però, allo spettacolo offertoci in questi mesi dal ceto politico in campo, la preoccupazione per la tenuta della maggioranza che governa la Regione non ci sembra un’esagerazione. Se si esaminano gli ultimi risultati elettorali e alla luce delle divisioni aspre che permangono tra i partiti di centrosinistra e all’interno degli stessi, possiamo testimoniare che non siamo messi benissimo nemmeno in Umbria.
Berlusconi cercherà  di trasformare le elezioni per il rinnovo dei consigli regionali in un plebiscito sulla sua persona.
Meglio prepararsi in tempo ad iniziare dal consolidamento dei rapporti tra le forze che hanno governato l’Umbria, mettendo in campo comportamenti, idee e programmi innovativi. Rinnovare significa trovare strade diverse da quelle ormai impraticabili della spesa pubblica come cemento del consenso. Il levati tu che mi ci metto io, non aiuta.
Il necessario allargamento del consenso è meglio ricercarlo nel popolo, proponendo idee e valori adeguati al momento che vive la gente comune, piuttosto che lavorare per spostare al centro l’asse delle alleanze.

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