La storia della sinistra, non solo italiana, è storia di lacerazioni, divisioni, scissioni. Non deve meravigliare quindi che, a quasi un anno dalla sconfitta elettorale, la sinistra riformista o alternativa che sia vada nelle prime pagine dei giornali soltanto per le proprie miserie interne. Certo la scissione di Livorno ha ben altro spessore rispetto a quanto sta succedendo dentro il Partito della Rifondazione Comunista. Ma questi sono i tempi che ci è toccato vivere. Tempi difficili in cui alla crisi del neoliberismo corrisponde una sinistra senza idee, progetti, capacità  di organizzare movimenti di contrasto del degrado che le classi dirigenti hanno provocato in tutto il mondo.
Il Partito Democratico è sospeso in un vuoto riempito solo da un balbettio inconsistente di un gruppo dirigente diviso su tutto. Anche coloro che hanno guardato con diffidenza al tentativo di formare un partito riformista all’americana, ma con qualche aspettativa di novità , rimangono stupefatti dalla sequela di banali errori che i diversi leader del PD stanno compiendo in questi mesi e dall’incapacità  di trovare una linea di contrasto al berlusconismo. Ancora oggi, nonostante tutto, l’agenda politica è quella voluta dall’uomo di Arcore.
Eppure il berlusconismo è la faccia italiana dell’ideologia che ha governato il mondo negli ultimi decenni e che ha provocato il crack dell’economia mondiale. Una faccia più volgare e sciatta di quella di Gordon Brown o di Sarkozy, ma sempre interna ai cantori del libero mercato e dell’arricchimento personale come valore assoluto. Una ideologia disastrosa che dovrebbe sollecitare una reazione politica e morale di fronte al suo fallimento. Eppure la sinistra riformista rimane afona. La preoccupazione prevalente sembra essere quella della scelta dei candidati per le prossime elezioni amministrative. Le autocandidature a sindaco sono il pane quotidiano per un popolo sempre più smarrito e confuso.    Stupefacente. Veramente Veltroni o la Bruscolotti pensano che le masse si mettano in movimento a sostegno dei vari candidati a sindaco? Forse ci sarebbe bisogno di un riformismo tanto forte da andare oltre il tentativo di inseguire la destra nei suoi valori fondanti come è stato per tanti anni il riformismo in Inghilterra di Tony Blair o in Germania il governo dei socialdemocratici. Ma in realtà  i nostri riformisti sono orfani di quel tentativo fallito e non hanno idee diverse da quelle della fallimentare Terza Via che li ha guidati in tutti gli anni “˜90. I nostri riformisti uniti in questo alla nostra sinistra alternativa non hanno ancora capito che la crisi che attraversa il mondo mette in discussione anche antiche certezze. La scoperta di una questione morale interna al PD non è frutto di una congiura di palazzo ma il risultato di un processo ultra decennale della personalizzazione della politica. Il non aver capito il meccanismo che oggettivamente ha stimolato la “corruzione” è stato disastroso. Per anni ha prevalso anche a sinistra l’idea di una società  che ha valorizzato il successo personale come priorità  da perseguire al di là  dei comportamenti eticamente corretti. La subalternità  della politica al mondo degli affari e dell’economia ha fatto il resto. Il leaderismo è la malattia infantile della sinistra di qualsiasi colorazione ed ha favorito il consolidamento dei cacicchi, dei capi bastone, dei feudatari che oggi determinano la vita del Partito Democratico e non solo.
La sciagurata vicenda della rimozione del direttore di Liberazione è la conseguenza di una visione minoritaria del ruolo di un partito di fronte ad una società  complessa. Dispiace dirlo ma nemmeno la lotta tra le correnti dello scomparso PSI raggiunse i livelli di vera “ferocia” che si è avuta all’interno del PRC a tutti i livelli nei rapporti tra le diverse anime del partito.
Il segretario regionale umbro di Rifondazione sta dando il meglio di sè in queste settimane. Dimentico della problematica del costo della politica, rivendica un’assemblea regionale di trentasei consiglieri pur sapendo, per esperienza personale, che le attuali competenze del consiglio sono tali da consentire soltanto la discussione di mozioni e interpellanze. Immemore del fatto che Rifondazione ha fatto parte dei governi locali e di quello regionale, si presenta come il paladino dell’innovazione programmatica addossando agli altri le insufficienze dell’attività  amministrativa che si è svolta in Umbria. Rivendica alle Sue competenze la scelta per il nuovo presidente dell’assemblea regionale che Tippolotti dovrebbe lasciare visto che, il segretario, lo considera esterno a Rifondazione. Ed anzi chiede che i due consiglieri del PRC dissidenti da Ferrero si dimettano immediatamente. Alla faccia del rispetto dell’autonomia delle istituzioni dai partiti si considerano cosa propria i posti nell’assemblea regionale.
Insomma uno spettacolo raccapricciante che conferma l’impressione che il partito che fu di Bertinotti, ha esaurito ogni spinta propulsiva.
Non da oggi siamo convinti che la sinistra intera va rifondata non attraverso l’accorpamento degli stati maggiori ma ripartendo da una visione condivisa dei problemi del Paese. Per quanto si vede in giro grandi discussioni politiche nel popolo della sinistra italiana non si vedono. Che la speranza sia Barack Obama? Certo ascoltarlo nel giorno dell’insediamento una certa impressione l’ha fatta. Un presidente che dopo otto anni di G.W.Bush, dice:
“Perchè ovunque guardiamo, c’è da fare. Lo stato dell’economia richiede misure coraggiose e rapide, e noi agiremo – non solo per creare nuovi posti di lavoro, ma per gettare le nuova fondamenta della crescita. Costruiremo le strade e i ponti, le reti elettriche e le linee digitali che alimentano i nostri commerci e ci uniscono. Rimetteremo la scienza al posto che merita e maneggeremo le meraviglie della tecnologia in modo da risollevare la qualità  dell’assistenza sanitaria e abbassarne i costi.
Imbriglieremo il sole e i venti e il suolo per alimentare le nostre auto e mandare avanti le nostre fabbriche. E trasformeremo le nostre scuole, i college e le università  per venire incontro alle esigenze dei tempi nuovi. Possiamo farcela. E lo faremo.”
Un discorso che se confrontato con quelli che si svolgono nella palude italiana, apre alla speranza anche a chi non è particolarmente innamorato della democrazia americana.

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