La vicenda politica continua ad essere confusa e incomprensibile per i non addetti ai lavori. La mistificazione di presentare le difficoltà  del governo Prodi come il risultato delle forzature ideologiche della cosi detta sinistra radicale, regna sovrana nella grande stampa e nelle dichiarazioni della destra unita nella lotta con i “veri” riformisti del centrosinistra. Tra questi si distingue il senatore Dini che, con leggerezza, ha dichiarato: “Come si dice a Roma, morto un papa se ne fa un altro. Cade Prodi? Fatti suoi”. Se i teodem dichiarano che mai voteranno i Dico (progetto di legge del governo) o se Mastella minaccia, un giorno sì e l’altro pure, tragedie se non si ascoltano i suoi desideri, se Rutelli chiama a raccolta i giovani contro l’ipotesi di abolire lo “scalone” pensionistico, per gli opinion maker tutto ciò rientra nel libero confronto. Loro hanno ragione a prescindere. Portatori di un’ideologia che idolatra il libero mercato non riescono a intendere le ragioni degli altri. Dini, Polito, Mastella, Rutelli e compagni hanno siglato un programma elettorale che prevedeva il superamento dello “scalone” imposto con legge dalla destra? Il programma con cui si sono ottenuti i voti per governare non è la bibbia, dicono.
Gli impegni con gli elettori? Carta straccia. Intendiamoci la questione dell’allungamento dell’età  lavorativa è un problema, ma è un dilemma anche la gestione dei diritti acquisiti. Cercare di trovare una soluzione che salvaguardi, assieme all’interesse nazionale, anche l’interesse dei singoli, non può essere considerata una forzatura estremistica. E’ un imbroglio cercare di costruire uno scontro tra le diverse generazioni. I giovani sono certamente messi male. Pessima scuola, scadente università , lavori sempre più precari e mal pagati. Per la prima volta nella storia dell’occidente (compresi gli Stati Uniti) i figli hanno condizioni di vita peggiori di quelle dei propri genitori. Una vita da precario non è un gran che, ma le responsabilità  di questo stato di cose non è certo riconducibile all’operaio che dopo trentacinque anni di contributi vuole andare in pensione. La questione giovanile è una grande e drammatica emergenza nazionale che richiede alla politica scelte radicali nell’organizzare un modello di sviluppo diverso da quello imposto dal liberismo rampante anche in Italia. Il distacco delle nuove generazioni dall’agire politico è sotto gli occhi di tutti e per la sinistra si tratta di una vera emergenza che deve guidare le sue scelte concrete in Parlamento e nelle istituzioni in genere.
Il problema delle sinistre (troppe) non è quello del radicalismo, ma quello delle forze che riesce ad influenzare. Ricerche e studi dimostrano che il sindacato organizza bene i lavoratori del pubblico impiego e i pensionati, meno bene gli addetti al settore privato, malissimo il rapporto sindacale con tutto il settore del lavoro flessibile e del terziario avanzato o tradizionale. Le varie espressioni politiche della sinistra hanno scarsissimo appeal nelle forze produttive in genere. In particolare sono quasi scomparse dai luoghi di lavoro le organizzazioni di partito. I movimenti politici giovanili funzionano quasi tutti fuori dei partiti e vivono di “eventi”. La sclerosi dei gruppi dirigenti dei partiti è di tale gravità  da impedire qualsiasi processo di rinnovamento. Abbiamo la classe dirigente (non solo politica) più vecchia d’Europa e, nonostante questo, si formulano organigrammi futuri che continuano a ruotare attorno ai soliti noti. Chi si lamenta dell’esplodere dell’antipolitica dovrebbe interrogarsi anche sui motivi che producono questo rigetto di massa del ceto politico. Non si tratta soltanto di consensi elettorali che si spostano da un’area all’altra. Questo rientra nei meccanismi della democrazia. Ciò che è in discussione è un’intera classe politica che si dimostra incapace di corrispondere ai problemi del Paese e che si caratterizza per il suo egocentrismo che fa da pendant a quello di certi leader industriali. Impermeabili come l’acciaio le elite italiane non hanno in testa che il loro perpetuarsi.

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