Il rischio che corre ogni opinionista politico è quello di diventare un disco rotto che ripete, commento dopo commento, le stesse cose da quindici anni. Colpa di una transizione infinita e di una politica che esterna molto senza nulla dire. Domande. Il Paese Italia è alla deriva per responsabilità  delle sue classi dirigenti oppure siamo, al di là  della particolarità  italiana, soltanto, all’interno di una crisi mondiale che ha modificato alla radice le prospettive di sviluppo di tutto l’Occidente? Propendo per rispondere positivamente a tutti e due i quesiti. Che ci sia un problema di classe dirigente in Italia mi sembra evidente. Anche se un’ora davanti alla TV ad ascoltare dichiarazioni di politici, imprenditori, intellettuali trendy, opinion maker del “sì, ma”, è sufficiente a risolvere l’interrogativo, non bisogna essere provinciali. Le banalità  non sono prerogativa italiana. Infatti, è anche vero che, a parte qualche lodevole eccezione, in tutti i Paesi un problema di qualità  del ceto dirigente esiste da anni a segnalare una crisi della politica in tutte le democrazie occidentali.
Pensare che, nel bene o nel male, tutto dipenda da Berlusconi mi sembra una scorciatoia a giustificazione dell’incapacità  di molti suoi competitor di dare una prospettiva politica e sociale all’Italia.
Dopo aver cantato, per una ventina d’anni, le magnifiche sorti del nuovo che avanzava come esigenza dell’evoluzione della democrazia post-partiti di massa, ci ritroviamo con una sinistra e un centrosinistra che balbettano. Ancora incapaci di capire quale è la domanda pressante che viene dal popolo, pensano che la soluzione possa venire dalle indecenze giornaliere dei vari sottopanza di Berlusconi. Travolti dal berlusconismo, non sanno bene cosa fare di fronte all’evidente crisi della destra al governo. Non vengono vissuti come un’alternativa. Perchè?
La crisi non è una maledizione divina. Essa ha origine dal dominio dell’ideologia liberista e dalle sue conseguenze economiche, sociali e politiche nei processi di globalizzazione. In Italia interprete sommo di questa ideologia è stato Berlusconi, coprotagonisti molti uomini e donne della destra ma il centrosinistra non è stato in grado di rappresentare un’altra idea del futuro del Paese anche perchè affascinati dalla modernità  del liberismo. Così coloro che hanno portato al disastro economico attuale sono gli stessi che continuano a gestire il nostro futuro con le stesse iniquità  del passato. La crisi la pagheranno i soliti noti. I precettori di rendite finanziarie, i grandi patrimoni, gli evasori fiscali non cacceranno un Euro.
Se è stata sufficiente una telefonata della Marcegaglia per indurre Tremonti e Berlusconi a risolvere i problemi che la finanziaria poneva alla Confindustria, non sono bastati giorni e giorni di proteste della Conferenza dei presidenti di regione per convincere il governo a riflettere sulla impossibilità  di amministrare con i tagli previsti dal decreto su cui Berlusconi ha posto la fiducia. Non metteremo le mani nelle tasche degli italiani, assicura il presidente del consiglio. Una falsità . In realtà  nei due anni passati la pressione fiscale è aumentata e l’accordo del governo con i comuni e province, è avvenuto con la promessa di una tassa unica municipale. Una furbizia. La nuova tassa sostituirà  l’abolizione dell’ICI., abolizione che consentì la vittoria della destra nelle passate elezioni. Chiamparino, efficiente sindaco di Torino, nel presentare l’accordo ha assicurato che la nuova tassa sarà  ad invarianza di pressione fiscale. Un giorno capiremo cosa voglia significare questa invarianza promessa da Chiamparino. Nel frattempo che succederà  alla sanità  e ai trasporti pubblici?
I presidenti di regione hanno deciso che restituiranno le deleghe allo Stato per tutti quelle competenze che non potranno essere svolte dopo le decurtazioni previste. Scelta grave che segna un altro salto nella crisi istituzionale del Paese. Aspettiamo nuovi balzelli e nuove inefficienze nella gestione dei servizi sanitari e di mobilità . Il percorso tutto ideologico della destrutturazione di ciò che resta del welfare sarà  accelerato. Se nella scuola diminuiscono gli insegnanti di matematica e aumentano quelli di religione, nella sanità  si allungheranno le file negli ospedali pubblici e si ridurranno quelle delle strutture private. Il diritto alla salute sancito dalla Costituzione, sarà  esercitabile con la carta di credito per chi la possiede.
Che il debito pubblico sia un problema è innegabile. La questione è come affrontarlo, con quali scelte. Quelle che segnano la manovra del governo della destra scaricano tutto l’onere sugli stessi ceti che hanno visto ridotti i propri redditi mentre la parte sostanziale della ricchezza privata rimane intonsa. Di ben altro si sentiva la necessità . Gli stipendi italiani sono superiori soltanto a quelli della Grecia e del Portogallo. La spesa sociale è tra le più basse d’Europa. I servizi alle imprese sono assolutamente insufficienti ad assicurare uno sviluppo certo in un mondo globalizzato. Se ci fosse una classe dirigente degna di questo nome ben altre scelte potrebbero essere fatte nell’interesse generale.
Purtroppo prevale l’interesse personale e di casta così che, anche le energie migliori del Paese, vengono fagocitate dal disastro.
Disastro è definizione forte. Ma quale altra definizione usare di fronte al fatto di venerdì? In un Paese dell’Occidente si è svolto, per la prima volta nella storia in queste dimensioni, uno sciopero dei giornalisti non per il contratto di lavoro, ma in difesa della libertà  di stampa? Non è questione di destra o di sinistra. Una lotta in difesa della libertà  di informazione segnala gravemente un problema democratico. Una forzatura degli estremisti? Non credo. Nelle graduatorie mondiali l’Italia è al settantatreesimo posto in tema di libertà  di stampa. Subito prima del Gabon, credo.

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