Negli anni 2001-2006 al governo c’era Berlusconi e il Ministro dell’economia era Giulio Tremonti.
Erano gli anni della finanza creativa e dei condoni su tutto per fare cassa premiando chi evadeva, da una vita, tasse e  tributi o depositava all’estero grandi ricchezze. Grazie alle scelte del Ministro Tremonti, i conti pubblici andarono fuori controllo e il rapporto debito Pil peggiorò così tanto da far attivare alla Commissione Europea una procedura d’infrazione contro l’Italia.
Sprezzante contro i burocrati di Bruxelles, Tremonti considerava i parametri di bilancio fissati dalla Comunità  Europea un optional.
Per la cronaca. La procedura d’infrazione contro l’Italia è stata sospesa per l’azione di risanamento dei conti operata dal governo Prodi.
La gravità  della crisi è tale da far decidere a Barroso, rigido Commissario della Commissione, la possibilità  dello sforamento dei vincoli di Maastricht per i singoli stati. Un’opportunità  per rendere più sostanzioso l’intervento pubblico nel contrasto ai fattori strutturali del crack non più solo finanziario, ma che riguarda l’economia reale. Tremonti e Berlusconi non intendono utilizzare questa possibilità , sono diventati rigorosissimi. Non sono più gli spendaccioni del quinquennio di governo precedente.
Dei veri paladini dei vincoli comunitari: nemmeno un Euro di aumento del disavanzo pubblico. Così i provvedimenti anticrisi votati venerdì dal Consiglio dei Ministri, dopo ampi approfondimenti che hanno impegnato per quasi dieci minuti i membri del governo, appaiono ai più come pannicelli caldi per curare la polmonite della crisi. La manovra è quantificata in 80 miliardi di Euro, ma per lo più si tratta di trucchi contabili.
La sostanza evidenzia interventi a favore delle famiglie e delle imprese di dimensione tale da non incidere sugli elementi decisivi della crisi. Gli esperti affermano che entro la fine dell’anno 350 mila precari perderanno il provvisorio lavoro. Un esercito di nuovi disoccupati che non avranno alcun tipo di sostegno. Niente ammortizzatori sociali. Nessuna protezione pensionistica o sanitaria. Il governo ha deciso di intervenire. Non a tutti, ma al precario che rientra in certi parametri, assegnerà  un bonus una tantum di 500 euro. Meglio di niente si dirà . Ma poi? Quale sarà  il futuro di questa massa di giovani le cui retribuzioni sono state quasi sempre di 800-900 Euro mensili? Nei provvedimenti presi, gli unici interventi che potranno produrre “lavoro” sono quei 16 miliardi per le grandi infrastrutture. Il resto sono mance e beneficienza che non cambieranno di una virgola lo stato delle cose. Per uscire dalla recessione di ben altro c’è bisogno. L’Italia è scesa al quarantesimo posto per competitività  e in tutti i fondamentali dell’economia e dello stato sociale perde posizioni rispetto al resto d’Europa e non solo. A parte qualche liberista infarcito di ideologia, tutti riconoscono che senza un rilevante intervento pubblico dalla recessione non si uscirà  in tempi ragionevoli. Che tipo d’intervento e a quali fini? Il sottosegretario Bertolaso ha quantificato in 15 miliardi di Euro l’esigenza della messa a norma del sistema scolastico italiano. Intervenire su questo settore significherebbe creare occupazione e riqualificare la scuola pubblica. Un progetto serio per la creazione di strutture per energie alternative significherebbe creare lavoro e innovare il Paese. Lascia storditi sapere che la Germania produce una quantità  enorme di energia da fotovoltaico mentre l’Italia ha impianti insignificanti. Le statistiche ci dicono che oltre il trenta per cento dell’acqua potabile va persa nelle fatiscenti reti di adduzione degli acquedotti italiani. L’elenco delle possibilità  d’intervento della spesa pubblica che crea lavoro sarebbe lungo e non a caso Barack Obama nel suo programma di governo mette al primo posto gli interventi per le infrastrutture e per la riforma del sistema sanitario pubblico. Dove prenderà  le risorse Obama? Tassando i ricchi e sapendo che meno disoccupazione produce benefici anche alle casse pubbliche.
Bisogna far ripartire i consumi dicono in molti. Ma i consumi non possono ripartire senza lo spostamento di ricchezza verso il basso invertendo il processo che da un ventennio ha arricchito chi era già  ricco e impoverito anche chi povero non era. Berlusconi non ha trovato i soldi nemmeno per detassare le tredicesime dei lavoratori e dei pensionati. La beneficienza va bene, ma di interventi strutturali sul sistema fiscale non se ne parla.
Collaborate dice Berlusconi al Partito Democratico. E sarebbe giusto un confronto sulle cose da fare per combattere la crisi. Il problema è che il Capo non accetta consigli. O si è d’accordo con le Sue scelte o altrimenti si passa ai consueti insulti alla sinistra comunista. E poi, diciamolo, il PD continua ad essere messo male. Un tempo si diceva che l’estremismo era la malattia infantile del comunismo. Adesso che di comunisti in giro se ne vedono pochi, si può dire che il leaderismo è la malattia infantile dei riformisti. Le prossime elezioni amministrative hanno scatenato la corsa alle auto candidature. Tutti vogliono fare il sindaco. A Firenze sono cinque o sei i candidati del PD. Il presidente della Sardegna si dimette ma minaccia di ricandidarsi se il PD non si mette in riga. Un vero leader che non media mai.
A Perugia nel centrodestra i candidati aumentano ogni giorno e non sanno che fare. Alcuni, disperati, vedono sfuggire l’occasione del grande colpo: la conquista della “rossa” Perugia.
Molti nel PD sono in confusione. La sberla che va sotto il nome di Stramaccioni richiede la messa in campo di nuove strategie e leader che si sentivano invincibili, si sono accorti che “del doman non v’è certezza”.

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