E’ l’America, bellezza. Il comitato dei quarantacinque “fondatori” il partito democratico ha deciso: il modello per scegliere il primo segretario sarà  quello che i democratici americani usano per la scelta del candidato alla presidenza. I nostri creativi rinnovatori importano il meccanismo delle primarie  per l’elezione del segretario. Il presidente già  c’è ed è Prodi. Irriducibili, nonostante i disastri istituzionali prodotti negli ultimi quindici anni, i riformisti confermano la loro linea presidenzialista. Ogni partito sceglie le sue regole e se Berlusconi non sente nemmeno il bisogno di farsi eleggere, il leader del PD avrà  il suo plebiscito. Sono fatti privati di partito? Non è così semplice.
Il rischio che si corre è quello di consolidare una forma di democrazia plebiscitaria in cui leader autoritari senza autorità , continueranno a considerare le assemblee  elettive come un intralcio alla governabilità . Eletti alle primarie, i capi, si richiameranno al “popolo” e non al parlamento per governare. Mario Tronti ha ragione quando ricorda che se è stata un’utopia assegnare tutto il potere ai Soviet, sarebbe terribile dare tutto il potere ai “gazebo”. Nonostante che soltanto un anno fa il popolo ha sconfitto la controriforma costituzionale voluta da Berlusconi e  non contrastata più di tanto dai riformisti. Questi ultimi non hanno abbandonata l’idea di un sistema elettorale che prevede l’indicazione del premier. Chiti e gli altri innovatori non vogliono capire che l’Italia è una repubblica parlamentare e che il capo del governo è scelto dal Parlamento e non eletto direttamente. Il risultato del referendum è stato rimosso? Si mitizzano le primarie che hanno scelto Prodi e si cestinano i milioni di voti contro la controriforma berlusconiana? Non si può fare senza stracciare la Carta Costituzionale.
La democrazia americana è ben diversa da quella di quasi tutto il mondo occidentale. Non siamo stati mai particolarmente attratti da un sistema politico che allontana il popolo dalla vita politica e la personalizzazione della politica ci sembra la prima causa dell’antipolitica. Quando invece di un progetto politico si sceglie l’appeal di un candidato, le conseguenze possono essere molto sgradevoli. Se si guarda poi all’intreccio tra affari e politica, l’America è maestra in questo campo: le costosissime campagne elettorali sono finanziate apertamente da corporation e industrie varie che, poi, riescono a condizionare alla radice ogni processo legislativo e ogni scelta del presidente. Il lobbismo è la carta che decide i destini di tutti gli addetti all’attività  politica. Provate a farvi eleggere se siete contro la libera circolazione delle armi o se avete l’intenzione di toccare gli interessi delle industrie farmaceutiche. Anche per questi motivi, ricordiamo, che spesso la maggioranza degli elettori Usa non partecipa al voto. Sicuramente  apprezziamo il sistema di pesi e contrappesi costruiti dalla democrazia americana, una struttura dei poteri che consente la salvaguardia delle assemblee rappresentative e impedisce lo strapotere del presidente. Magari fosse così in Italia. Il presidenzialismo nostrano voluto dai riformisti di ogni colore ha svuotato quasi completamente consigli regionali, comunali e provinciali di ogni potere rendendo vana ogni forma di rappresentanza.
Pagati bene, i consiglieri, rischiano di diventare nulla facenti e non per loro esclusiva responsabilità . Il sistema istituzionale figlio del maggioritario e delle improvvisate “riforme” degli anni ’90 ha prodotto la inefficienza costosa degli apparati pubblici.
Sembra che si sia riaperta in Umbria, anche a seguito dell’esplodere della questione dei costi della politica, il problema del numero dei consiglieri dell’assemblea regionale. Auguriamoci che prevalga la consapevolezza che occorra dare un segnale forte di comprensione del grado di impoverimento del rapporto tra i cittadini e la politica delle istituzioni. Insistere nel prevedere 36 consiglieri più 8 assessori non eletti, più un presidente con poteri assoluti, sarebbe disastroso. Meglio cambiare.
Sarebbe apprezzabile anche una qualche dimostrazione pratica di riforma della elefantiaca struttura pubblica. Di proposte se ne sentono molte, ma concretamente poco succede. Eppure riformare bisogna, sciogliendo enti e organismi che producono ormai soltanto prebende per vassalli e valvassori e che vengono considerati da molti soltanto come inutili strutture brucia soldi.
Non siamo una pubblicazione abituata a trattare di scandali, di intercettazioni e di indagini. Predicatori alla Luca Cordero di Montezemolo non rientrano nei nostri riferimenti ideali. Le campagne giornalistiche contro la politica non ci seducono esattamente come consideriamo indigeribile l’avanspettacolo televisivo che i vari leader di partito o di governo ci propinano ogni sera. I vizi privati della classe politica possono essere divertenti, ma apprezzeremmo di più osservare nel concreto qualche virtù pubblica dei nostri governanti ad ogni livello.
E’ non è certo una virtù questa sordità  diffusa rispetto alle condizioni materiali di tanta parte del popolo italiano.

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