Annuncio di giovedì scorso: Io vado avanti con il popolo che è qui e con loro discuterò tutte le scelte che faremo. Eccone un altro che si appella al popolo. Non è il solito messaggio televisivo dell’uomo di Arcore. Questa volta la chiamata populista viene da un democratico del PD. Poveri noi.

Infatti, il popolo chiamato in causa è quello di Napoli. E’ un parlamentare europeo, Andrea Cozzolino che vuole la scesa in campo dei suoi concittadini per confermare la sua, di Cozzolino, vittoria alle primarie svoltesi domenica scorsa per la scelta del candidato sindaco di Napoli. L’episodio è utile per capire quanto il berlusconismo populista abbia impregnato una parte consistente del ceto politico di destra, di centro e di centrosinistra. Che è successo alle primarie di Napoli? Con il 37% è arrivato primo l’eurodeputato ma a detta di alcuni, la vittoria era stata possibile attraverso brogli. Secondo la stampa le irregolarità  erano riscontrate anche dai consiglieri regionali Corrado Gabriele e Angela Cortese, vicini ad Oddati, che in modo ancora più esplicito dichiarano: «Questa mattina abbiamo avuto modo di verificare che in alcuni seggi a Scampia, a Barra e nel quartiere di San Carlo all’Arena personaggi estranei al Pd hanno condizionato il voto portando a votare persone in cambio di banconote». Di fronte a ricorsi vari il partito di Bersani ha chiesto al Cozzolino un gesto di generosità  facendo un passo indietro per favorire un candidato diverso. Uno si domanda: ma il PD non riesce proprio a trovare la strada per uscire dal pantano di Napoli e della Campania? Al di là  delle vicende giudiziarie, molte ancora in itinere, da come sono andate le cose negli ultimi anni a Napoli ha fallito un’intera classe dirigente politica di cui ha fatto parte anche il suddetto Cozzolino. Malamente persa l’amministrazione regionale e quelle provinciali, ci si appresta a perdere anche quella comunale? Un partito con le ambizioni del PD non può tornare a vincere nè a Napoli nè in Italia spendendo le stesse facce che hanno portato a sconfitte storiche. La mondezza di Napoli è stata una delle cause della straordinaria vittoria di Berlusconi alle elezioni del 2008. Se lo sono dimenticato. Così all’apice della crisi del governo della destra con Berlusconi chiuso in un fortino difeso ormai soltanto dai suoi dipendenti, siano essi deputati, ministri o senatori, l’atteggiamento non cambia. Con aggressività  ripetono il ritornello della congiura della magistratura rossa contro l’eletto dal popolo. Incapace di svolgere il ruolo di capo del governo, abbandonato dalla Confindustria,  Berlusconi deve prendere atto che anche la gerarchia vaticana non poteva andare avanti con le indulgenze: l’articolato e ricco mondo cattolico non le sopporta più. Berlusconi in evidente affanno trova come unica sponda le difficoltà  del partito di Bersani e le divisioni del centrosinistra. Il popolo mi ha eletto, nessuno può toccarmi dice il presidente.

Se il Cozzolino si appella al popolo contro il suo partito, perchè non lo dovrebbe fare Berlusconi contro la magistratura politicizzata?

Certo le questioni sono radicalmente diverse. Quella di Napoli è relativa a questione interna al PD mentre la problematica che riguarda il Sultano sta infangando l’Italia in tutto il mondo. Oltre che disarticolare tutte le istituzioni democratiche la linea di attacco della destra porta al collasso della democrazia italiana.

L’ideologia dell’eletto dal popolo e per questo intoccabile, è una scuola di pensiero che ha permeato per 20 anni tutta la politica italiana costruendo nella testa di molta gente un modello di democrazia arcaico e pre Montesquieu. Anche il Re di Francia doveva prendere atto dell’autonomia della magistratura. Un regime si può definire democratico esclusivamente se potere legislativo, potere esecutivo e potere giudiziario sono autonomi. Ad oggi abbiamo un parlamento di nominati privo di qualsiasi autonomia, un governo che agisce soltanto con decreti legge e una magistratura sottoposta all’attacco della maggioranza del parlamento e del governo. Non siamo messi benissimo in materia di democrazia.Con rapidità , se all’indignazione vogliamo dare uno sbocco democratico, bisogna cambiare pagina e orizzonti.

In un bel libro, Poveri Noi, Marco Revelli analizza il tipo di modernizzazione che si è realizzata in Italia. Ne consiglio la lettura agli addetti ai lavori. La tesi dell’autore è che la nostra è stata una modernizzazione regressiva che invece di spostare in avanti la società  italiana la resa più povera e debole di fronte alle sfide della globalizzazione. Scrive Revelli: “Liquidando i vecchi punti di forza senza sostituirli con nuovi”. Dissolvendo aggregati sociali e forme di organizzazione e di rappresentanza di valori e d’interessi senza trovarne i sostituti funzionali. E alla fine ritrovandoci, appunto se non più poveri tecnicamente (perchè c’è un’Italia del privilegio che si è arricchita e molto), certamente più vulnerabili e arretrati”.

Se ha un’urgenza l’Italia questa è che si formi con rapidità  una classe dirigente capace di prospettare un altro modello di modernizzazione del Paese. La si smetta di parlare di generiche grandi riforme e si lavori piuttosto a risolvere le contraddizioni interne ad un popolo a cui non manca genialità  e voglia di fare.

Con milioni di giovani senza lavoro, con una spesa pubblica troppo spesso inefficace non si va da nessuna parte. E’ il lavoro la vera grande emergenza che, per essere risolta, ha bisogno di un intervento pubblico sostanzioso capace di favorire le forze produttive più dinamiche. Tremonti ha tenuto i conti pubblici in ordine, dicono. Il problema è che senza crescita il peso del debito tenderà  ad aggravarsi. Per crescere c’è bisogno di riqualificare la spesa pubblica e trovare le risorse per quegli investimenti senza i quali non si cresce. Uno sforzo di creatività  per risolvere il buco nero dell’evasione fiscale potrebbe essere una buona cosa.

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