Al momento in cui scrivo in quarantasei piazze italiane e in due all’estero (Washington e Bruxelles) si svolgono manifestazioni di lavoratori precari italiani. Un esercito di giovani e meno giovani costretti a vivere con salari di fame e sempre a rischio di diventare disoccupati permanenti. L’Europa non sembra in grado di assicurare un futuro ad almeno due generazioni di persone con un grado di istruzione elevato. Nonostante il disastro delle politiche liberiste, la classe dirigente europea affronta la globalizzazione accecata dall’ideologia e appare priva di idee capaci di risolvere la catastrofe della mancanza del lavoro. Quello del lavoro è un problema di tutta l’Europa, ma in tutto il continente, ormai da anni, i governi di destra o di centrosinistra hanno costruito un sistema di protezione sociale che consente ai giovani di gestire civilmente anche i periodi di non lavoro. Si investe in formazione, si assicurano risorse a coloro che sono vittime di licenziamenti, si è protetti dal punto di vista sanitario. La flessibilità  non si è trasformata in precarietà . Il lavoro dei giovani viene considerato una risorsa primaria e non un fastidioso problema.
In Italia la disoccupazione giovanile riguarda quasi il trenta per cento dei giovani, sono in vigore una quarantina di tipologie contrattuali. Non esiste alcuna forma di intervento a sostegno di coloro che perdono il lavoro precario. Quando il contratto a tempo scade, si perdono tutti i diritti. Niente sanità , nessuna assicurazione pensionistica, nessun sussidio di disoccupazione. Il futuro diviene un buco nero.
Non è per esterofilia se chi può lascia il Paese e cerca fortuna nel mondo. Un tempo la migrazione italiana riguardava lavoratori spesso non qualificati che lasciavano con una valigia di cartone la propria famiglia. Oggi partono per l’estero o per il Nord con la valigia che contiene il computer e con diplomi di laurea, spesso di specializzazione. La cosa riguarda anche l’Umbria. La nostra regione sembra ritornare ad essere terra di emigrazione come lo fu fino agli anni sessanta del secolo scorso. La nostra terra corre il rischio di una nuova marginalizzazione. Il mercato del lavoro è anche dalle nostre parti disinteressato ad un offerta qualificata ed adeguata al livello della formazione delle nuove generazioni. Lo sviluppo si conferma da anni come uno sviluppo a macchie di leopardo, i punti di eccellenza, che pur esistono, non riescono ad assorbire giovani laureati spesso di esemplare qualità . Segni di meridionalizzazione della società  umbra devono essere letti, interpretati e combattuti con coraggio. Galleggiare non porta da nessuna parte: in presenza del degrado del Paese, l’Umbria può trovare un suo percorso. Se le forze migliori private e pubbliche vengono ascoltate e sollecitate nel processo di trasformazione dell’esistente, la qualità  dell’Umbria potrà  essere salvata e rinnovata.
L’innovazione è parola abusata ma scarsamente applicata sia nella struttura pubblica che nel settore privato. La giunta regionale ha attivato un processo di semplificazione amministrativa tesa a rendere il rapporto tra pubblico e privato più efficace. Non conoscendo il dettaglio dei provvedimenti, non posso che augurarmi che sia la volta buona. Troppo spesso vengono annunciati provvedimenti e scelte d’innovazione che negli anni si trasformano in bufale gigantesche.
Ad esempio, qualcuno può spiegare i motivi che hanno reso la carta d’identità  elettronica o la tessera sanitaria inutili pezzi di plastica? La carta d’identità  elettronica ha un chip, una banda magnetica che potrebbe contenere tutte le informazioni utili al cittadino per rapportarsi alla pubblica amministrazione. Chip e banda magnetica sono praticamente vuoti, inutilizzati.
Attraverso il Web siamo in grado di acquistare libri da librerie sparse nel mondo. Berlusconi ha acquistato addirittura una villa a Lampedusa attraverso internet, Lui dice.
Perchè la pubblica amministrazione non si organizza affinchè una serie di pagamenti richiesti per tasse o tariffe possano svolgersi attraverso la Rete con carta di credito?
Per ragioni di lavoro ho incontrato due giovani sindaci di piccole città , Valfabbrica e San Giustino. Si parlava di come rendere facile al cittadino o al turista l’accesso a internet e per questa via informarlo delle opportunità  che il territorio offre. Sono rimasto basito per la competenza e la disponibilità  dei due amministratori ad affrontare il problema dell’innovazione nella comunicazione pubblica. Una boccata d’ossigeno, mi è sembrato come uno sprofondare nel come eravamo quando l’amministrare significava  andare oltre l’esistente e costruire un consenso popolare basato sulla capacità  d’innovare la condizione materiale dell’amministrato anche nel suo rapporto con il pubblico.
Gli amministratori umbri hanno una grande responsabilità . Di fronte alle difficoltà  della nostra economia, pur con bilanci impoveriti dal centralismo del governo della destra, possono trovare le strade per riqualificare la spesa pubblica e farne uno dei volani della ripresa.
La miseria del berlusconismo non la si supera con gli slogan, ma dimostrando che un altro modo di governare la crisi è possibile.
Certo non sarà  facile. Le istituzioni repubblicane sono in grave sofferenza. L’avanspettacolo continua in parlamento e nel Paese. Degrado a trecentosessanta gradi: per le barzellette, siamo passati da Gino Bramieri al Sultano di Arcore e nei lavori della Camera dei Deputati, da Ugo La Malfa ai copia e incolla Scilipoti e Calearo. Il convento per adesso non passa altro.
In compenso nelle agorà  del Paese si muovono forze che hanno ben presente che la democrazia italiana può essere salvata iniziando dall’applicazione del dettato costituzionale.
E’ un bene che Berlusconi abbia resa esplicita la sua visione della democrazia. Tutti possono capire che affidare al Capo del governo l’esclusiva del processo legislativo, senza alcun contrappeso, significherebbe avere in Italia una brutta copia della democrazia dell’amico Gheddafi.

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