La precarietà  del governo Prodi è la prova più efficace che conferma l’esigenza di una svolta radicale nel modo di essere della democrazia italiana. Sono passati quindici anni ma dalle macerie della repubblica, fondata sui partiti di massa, non è ancora emersa una democrazia solida che assicura stabilità  ai governi e allo stesso tempo consente al parlamento di rappresentare al meglio le sensibilità  e le culture presenti nella società  italiana.
Sono diciannove i movimenti politici rappresentati in parlamento e ciò, se rende certamente incerta la vita di chi governa, non riesce a recuperare un rapporto positivo dei cittadini con la politica. Questo fiorir di partiti non è frutto della oscena legge elettorale voluta dal centrodestra. E’ stato il sistema elettorale maggioritario, il famoso mattarellum, che ha frantumato la rappresentanza consegnando il funzionamento della democrazia italiana ai partiti “personali”. Il referendum costituzionale ha impedito che si completasse il percorso voluto dalla destra verso un assetto istituzionale post-repubblicano e post-democratico ma stranamente quello straordinario risultato sembra ormai interessare poco il ceto politico italiano. Si parla d’altro.
Nonostante tutto quanto successo nel mondo della politica, il popolo italiano ha confermato una Costituzione che ha, come base fondante, una democrazia di massa in cui i partiti politici svolgono uno dei ruoli essenziali, ma ai quali è chiesta una funzione di organizzatori della vita democratica. Quel referendum non ha bloccato soltanto la destra. Anche il centrosinistra è stato chiamato in causa dal No al referendum per le sue scelte istituzionali ed anche per il suo modo di funzionare come agente della democrazia.
Stupisce che pochi, anche nella coalizione di centrosinistra, riflettano sul dato, ormai storico, della feudalizzazione della politica e dei meccanismi che l’hanno prodotta e consolidata. sbalordisce che nelle discussioni attorno alla formazione del partito democratico, il sistema politico che si prefigura è un meccanismo che non può che consolidare forme di leaderite magari temperata dal meccanismo delle primarie. Nessuno sembra interessato ad introdurre regole e vincoli che impediscano il riprodursi di conflitti d’interessi nell’agire istituzionale. Dietro il paradossale conflitto d’interessi del cavalier Berlusconi, si sono nascosti piccoli e grandi conflitti cementati dalla personalizzazione della politica. Sono in atto tentativi per superare le poche regole ancora presenti nella legislazione elettorale. Ad esempio, si chiede di legiferare per permettere ai sindaci almeno un altro mandato, dieci anni sono pochi. Se i presidenti di regione possono essere eletti per quante legislature vogliono, perchè i sindaci no? Dicono. A nessuno è venuto in mente di adeguare al ribasso i presidenti. Quando mai! Aumentiamo invece i mandati ai sindaci. Sconcerta che qualcuno si possa stupire dell’incremento esponenziale del qualunquismo o non capire perchè i giovani stanno lontano dalla vita politica e s’impegnino non nei partiti ma nel volontariato. Si è consolidato un notabilato politico che ha fatto della propria carriera la principale ragione dell’agire e come una testuggine romana, impedisce l’ingresso nella politica delle nuove generazioni. Questa è la dura verità .
Si crede davvero che il partito dei sindaci, dei presidenti, degli assessori e dei parlamentari, abbia qualche appeal per coloro che vogliono riformare un Paese corporativizzato come l’Italia? E che cosa sono oggi i diesse o i margheriti se non formazioni politiche che ruotano attorno agli eletti?

Share This

Condividi

Condividi questo articolo con i tuoi amici.