Con particolare soddisfazione il Ministro Pisanu ha annunciato che
saranno soltanto di quaranta centimetri le schede elettorali che
ci verranno consegnate il 9 e 10 aprile per il nostro voto alle
politiche. Un menù non particolarmente appetitoso. Nessun nome,
soltanto i simboli dei partiti. I candidati saranno rintracciabili
in elenchi che i curiosi potranno leggere nei manifesti affissi
nei seggi elettorali. Non essendoci le preferenze potrà  succedere
che in Umbria uno esprime un voto per i Diesse al Senato ed
eleggerà  un rappresentante della lista Di Pietro. A Milano il
povero elettore diessino vota per il suo partito ed elegge Bobo
Craxi. A Roma un rutelliano vota la Margherita ed elegge un
repubblicano.
Non è una barzelletta. Sono i meccanismi della legge elettorale
voluta dalla destra italiana e che il centrosinistra non ha saputo
contrastare anche perchè ideologicamente innamorato del sistema
elettorale maggioritario. Una reazione politicamente intelligente
poteva essere la scelta di organizzare le primarie per tutti i
candidati del centrosinistra. Si è preferito, invece, come ha
fatto il centrodestra, accentrare a Roma tutte le decisioni su chi
eleggere in Parlamento e il risultato sono liste frutto di
mediazioni tra i vari stati generali dei partiti. Senza regole o
con regole facilmente aggirabili dalla volontà  dei capi e capetti
il cui principale scopo è stato la salvaguardia di amici di
corrente e, già  che ci siamo, di parenti e conoscenti. Berlusconi
è stato facilitato dall’essere proprietario unico di Forza Italia,
il centrosinistra ha avuto più problemi perchè gli azionisti di
riferimento sono più di uno. Il risultato è sotto gli occhi di
tutti. Lo sgomento di fronte ad un Paese che sembra privo di
prospettive può essere superato nella chiarezza. La questione
democratica è una delle questioni essenziali da affrontare e che
deve rientrare nel dibattito elettorale. La crisi non è
responsabilità  esclusiva del berlusconismo. Il non aver lavorato
ad una democrazia di massa basata sulla riorganizzazione dei
partiti e di formazioni politiche anche nella società  civile è una
grave responsabilità  di tutti, anche dell’Unione.
Per intanto il popolo italiano ha subito in queste elezioni un
“esproprio proprietario” nel senso che sono i padroni dei partiti
che hanno deciso, prima delle elezioni, gli eletti. Come nella
nostra luminosa storia, sono i principi che nominano le loro
baronie e le loro signorie locali.
Il popolo è chiamato non ad eleggere i propri rappresentanti, ma a
dare una delega alle segreterie nazionali dei partiti senza alcuna
forma di partecipazione alla scelta dei candidati. Quanto questo
sistema elettorale corrisponda allo spirito e alla lettera della
Costituzione repubblicana è arduo capire. Quello che è certo è
che si tratta di un sistema elettorale che allontana ancor di più
la gente comune dalla politica e rende ancora più malata la nostra
democrazia. Una malattia che viene da lontano. Sono almeno
quindici anni che ci si affanna per trovare sbocco alla crisi
della prima repubblica con leggi improvvisate e illogiche. Prodi
ha preannunciato l’abolizione della legge elettorale con cui
voteremo ad aprile. Speriamo che non si voglia ripristinare un
maggioritario del tipo conosciuto. L’esplosione dei partitini è
figlia più che legittima di quel sistema chiamato mattarellum. Il
“ricatto” della piccola formazione politica, spesso di carattere
personale, è reso possibile da quella infausta legge elettorale.
Meglio pensare ad altro iniziando magari dall’unificare i venti
sistemi elettorali vigenti nelle Regioni individuando un
meccanismo elettorale che assicuri governi stabili e un ruolo
attivo alle assemblee ad iniziare dal Parlamento. Essenziali, poi,
devono essere i vincoli di democrazia nei partiti: un partito non
è un ente privato qualsiasi. La Costituzione assegna ai cittadini
organizzati in partiti un ruolo decisivo nella gestione della cosa
pubblica. I partiti possono essere anche leggeri, l’importante è
che siano democratici e aperti al contributo costante di iscritti
ed elettori.
Come è evidente da quanto successo in questi anni, la questione
della governabilità  ha annichilito la rappresentanza senza
produrre governi efficaci. Esemplare è proprio la stabilità  del
governo Berlusconi. Pur con una maggioranza amplissima, nel
governo del cavaliere, sono cambiati in cinque anni quattordici
ministri e l’azione dell’amministrazione centrale può essere
aggettivata in molti modi. Ma visto lo stato della nostra
economia, dei servizi al cittadino e della morale pubblica,
parlare di efficacia ci sembra eccessivo. Il disastro è sotto gli
occhi di tutti.
Non la pensa naturalmente così Berlusconi che preannuncia l’invio
a tutte le famiglie di un altro libro. Titolo: “La Vera Storia
Italiana”. Sarà  un best seller. Preannunciate tra i dieci e i
quindici milioni di copie. Non sarà  un fotoromanzo come quello che
ricevemmo per le elezioni politiche del 2001. Piuttosto sarà  una
sorta di reality show con foto e slogan che ricorderanno a tutti i
successi del governo dei berluscones. Tutti i giornali di destra e
di sinistra dell’estero considerano pessimo per l’Italia il
quinquennio trascorso e in caduta libera l’appeal del Bel Paese
nel mondo? Bugie dei comunisti e giù foto del Nostro con Bush,
Blair, Putin e Aznar. L’economia va male e i prezzi sono
impazziti? La colpa è di Prodi che ha voluto l’ingresso
dell’Italia nella zona Euro. Ininfluenti i giudizi di tutti gli
economisti, di destra, di centro e di sinistra, che dimostrano
come in mancanza della scelta dell’Euro l’Italia avrebbe dovuto
dichiarare la bancarotta. Tra i successi del Suo governo, il
cavaliere iscrive le medaglie vinte dall’Italia alle Olimpiadi di
Atene e ci informa di aver percorso da leader 550 mila chilometri.
Interessante. Qualche chilometro in meno e più trasparenza
nell’azione di governo sarebbe stata preferibile.
Corriere dell’Umbria 12 marzo2006

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