“Il punto è cosa è diventato oggi il partito, al termine della sua mutazione genetica. I DS sono in tutto simili agli altri partiti, la base è fatta dagli impiegati dei leader che dunque prima di essere leader sono padroni. Non è un’invettiva ma un’analisi sociologica costruita sui dati reali degli iscritti. Il partito come tutti i partiti, è tenuto insieme da un uso disinvolto del pubblico impiego e dalla ramificazione degli interessi nella pubblica amministrazione. Nulla a che vedere con la militanza dei vecchi partiti di massa. Dichiarazione di Achille Occhetto al giornale “il Manifesto” del 19 aprile.
Che dire? Sarebbe ingeneroso addebitare ad Occhetto la variazione genetica degli uomini e delle donne che hanno traghettato la svolta della Bolognina verso un partito nel cui “manifesto fondativo” non è scritta la parola “sinistra”.
Viene spontaneo affermare, però, che il “nuovo che avanza” inventato negli anni “˜90 dagli occhettiani D.O.C. è stato in grado di produrre soltanto lacerazioni a sinistra e da ultimo”¦il Partito Democratico. Ad ognuno le proprie responsabilità .
D’altra parte, se i Ds sono diventati quelli sopra descritti, si comprende perchè, a differenza del congresso che segnò la scomparsa del PCI, non ci siano stati al congresso di Firenze troppi rimpianti per il suo auto inabissamento.
In realtà  tra “Cosa uno”, “Cosa due”, PDS poi DS c’è un filo rosso che certifica l’incapacità  dei gruppi dirigenti di trasformare l’eredità  del PCI in un diverso e moderno partito della sinistra europea. Questo insuccesso lo ha riconosciuto con coraggio lo stesso D’Alema.
Non era facile traghettare il PCI verso altri lidi. Il mondo diventato a un solo polo, gli USA, mutava sotto la spinta di grandi innovazioni nel modo di produrre e di pensare.
Le trasformazioni dell’economia sono state di tale profondità  da rendere la politica un orpello spesso inutile nel senso comune del popolo. E senza politica le forze del cambiamento sociale sono sconfitte. Non vi è stata alcuna fine delle ideologie. Ne è rimasta soltanto una: quella dettata dai Chicago
Boys, realizzata da Ronald Reagan e Margaret Thatcher e imitata da quasi tutti i governi occidentali. Compresi quelli diretti dalla sinistra riformista.
La frantumazione del mondo del lavoro ha reso complessa la difesa dei livelli di vita di coloro che hanno come unica ricchezza le proprie braccia o la loro intelligenza. La crisi della sinistra non è qualcosa che riguarda soltanto l’Italia anche se nel nostro Paese, per la storia del movimento operaio e popolare, la crisi assume caratteri particolari, tutte le grandi socialdemocrazie europee hanno subito negli ultimi anni pesanti sconfitte elettorali e politiche. Regge la Spagna di Zapatero, ma dalla Svezia alla Germania, passando per la Francia e domani per l’Inghilterra di Tony Blair, la crisi delle idee della sinistra radicale o riformista che sia, è squadernata davanti ai nostri occhi. Per la sinistra si pone il problema di come generare idee nuove capaci di fare i conti con il mondo così come è oggi.
Il Partito Democratico vuol essere una risposta a questa esigenza. E’ questa la strada? Veltroni, ha avuto a Firenze un grande successo. Giustamente ha rivendicato la sua passione decennale per il Partito Democratico. Il sindaco di Roma ha spiegato perchè si può essere di sinistra anche in un partito che non si definisce tale. Veltroni ha ricordato come grandi leader non socialisti hanno saputo emancipare popoli. Osservo che nell’emancipazione e nella liberazione dell’umanità , il movimento della sinistra qualche successo lo ha ottenuto. Perchè rimuovere questa storia?
Non un partito all’americana, ma un partito di popolo: questo dovrà  essere la nuova formazione politica. Così sostiene Veltroni. Sommessamente osservo: un partito che si organizza per leadership locali e nazionali ha come obbiettivo esclusivo quello di governare. E la politica quando esaurisce il suo compito nell’amministrare, è una politica monca che non svolge il suo ruolo. Altri, i poteri economici, decidono i processi storici e i destini dell’umanità . Anche una sommaria analisi della società  americana conferma questa tesi.
D’altra parte che l’americanizzazione dell’Italia è un processo in atto da anni è un’ovvietà . I promotori del Partito Democratico si sono domandati: perchè non americanizziamo anche la politica italiana? Che il sistema politico debba essere rifondato è cosa certa. Che l’attuale classe dirigente sia autoreferenziale è accertato. Scomparsi i partiti di massa, luoghi di formazione del ceto politico, bisogna inventare qualche altro meccanismo di selezione. Le primarie, sperimentate per incoronare Prodi, sono state un indubbio successo popolare. Invece della scelta delle oligarchie il popolo scelga il suo leader. Entusiasmante?
Qualche preoccupazione nasce se si studia ciò che il meccanismo delle primarie ha significato per la democrazia americana. Negli Stati Uniti le campagne elettorali sono di due tipi. Una interna ai partiti ed una tra i candidati dei due partiti principali. Ambedue sono molto costose. La signora Clinton, ad esempio, ha speso nell’ultima campagna per il Senato venti milioni di Euro. La campagna per la presidenza degli Stati Uniti costa attorno ai seimila miliardi delle vecchie lire. Chi paga? Il contributo pubblico è marginale rispetto al costo complessivo della corsa elettorale. Pagano le grandi corporation economiche. Non lo fanno per beneficenza ma per ottenere vantaggi dagli eletti. Non esiste possibilità  di essere eletto se non si ha il consenso della lobby dei fabbricanti d’armi o delle case farmaceutiche. Così le armi vengono vendute anche nei supermercati. E’ per questo che il sistema sanitario americano è tra i più costosi al mondo e tra i meno efficienti.

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