Una coppia di amici pensionati, marito e moglie, entrambi convinti elettori di Rifondazione, sono andati a votare per il referendum indetto dai sindacati. Il loro è stato un sì al quesito posto rispetto ai protocolli firmati il 23 luglio.
Alla mia meraviglia, conoscendo il loro orientamento politico, mi è stato risposto: “Con la sinistra ridotta come è ridotta possiamo negare il sostegno al sindacato? L’unica struttura organizzata che cerca di difendere il mondo del lavoro deve essere salvaguardata anche a costo di accettare un accordo insoddisfacente”.
Difficile sapere quanti lavoratori abbiano fatto lo stesso ragionamento. Certamente nel voto ha prevalso la volontà  di sostenere le Confederazioni sindacali nella scelta di indire un referendum per approvare i protocolli sul welfare. Evidente che le ragioni del No non erano così forti da contrastare la massiccia campagna dei mass media tesa a valorizzare l’accordo tra   governo e organizzazioni sociali. I rapporti di forza sono quelli che sono e la sinistra è in minoranza nel governo e nel Paese. Con pochissimi strumenti di informazione, marginalizzata nella grande stampa ha poco spazio di influenza mediatica. Bisognerebbe capirlo e adattare le scelte politiche e organizzative partendo da questo dato negativo. Ad esempio la difesa rigida dell’età  pensionabile è stata una scelta giusta?
Non sono un esperto, ma credo che la rigidità  della sinistra sulla scelta dell’età  pensionabile era in conflitto con il senso comune della gente. Un conto lavorare alla catena di montaggio o in miniera e altro lavorare in qualche ufficio, dicevano in molti.
Non va sottovalutato il significato squisitamente politico che ha assunto il referendum sindacale. Maometto è morto, Carlo Marx è morto e  il governo Prodi non sta benissimo. Per molti continua ad essere terrorizzante l’idea di un ritorno a Palazzo Chigi del Cavaliere di Arcore magari con Gasparri a Ministro degli Interni e Cicchitto agli Esteri. La vittoria del No avrebbe significato la caduta del governo dell’Unione con tutto ciò che ne sarebbe derivato.
Come scontato, la vittoria del Sì ha entusiasmato molti. Dai riformisti alla Confindustria, tutti hanno messo il cappello sul risultato rivendicandone la paternità . Consigliabile prudenza. Il pluripresidente Montezemolo ha qualche problema in casa se in tutte le fabbriche targate Fiat ha vinto il No. E in ogni caso non può essere sottovalutato il fatto che la più significativa categoria operaia, i metalmeccanici, abbia espresso un voto in controtendenza facendo prevalere il No. Le regole della democrazia sono chiare e il Si ha prevalso nettamente. I voti forse non vanno pesati e il voto di un pensionato ha lo stesso valore di quello di un operaio, ma interpretare il disagio operaio sarebbe cosa saggia.
Va sottolineato che la scelta del sindacato italiano di indire il referendum si è rivelata giusta. Un metodo da consolidare e formalizzare nel futuro con regole certe e trasparenti. In una fase di grande incertezza e smarrimento in cui monta un’ondata di sfiducia verso la classe dirigente politica, aver avuto oltre cinque milioni di persone al voto non è stata cosa da poco.
Un successo della democrazia che va a premio di chi ha partecipato, ma anche a merito di CGIL-CISL-UIL. Non è consuetudine in Europa che i sindacati chiamino a referendum i lavoratori. E in un mondo in cui la politica è decisa nei salotti televisivi e da oligarchie sempre più ristrette, chiamare al voto milioni di persone in carne ed ossa è stato un passaggio rilevante. Non bisogna aver timore di chiamare il popolo a votare o a manifestare. Per questo suona male la dichiarazione di Epifani, segretario della CGIL, che definisce “inopportuna” la manifestazione del 20 ottobre indetta da una parte della sinistra. Di cosa ha paura il segretario? Dovrebbe augurarsi che molti scelgano di andare a Roma per manifestare contro la precarietà  del lavoro. Non è rilevante avere il sostegno della sinistra alla lotta sindacale contro l’impoverimento del lavoro?
Un passaggio importante si svolgerà  oggi con le così dette primarie del partito democratico.
Non tutti sono convinti che un segretario di partito debba essere eletto come si eleggono i sindaci. Culturalmente non sono tra gli estimatori dei plebisciti e pur non avendo alcuna nostalgia per le elezioni per acclamazione dei segretari di partito, mi è sembrata perigliosa la strada scelta per eleggere il leader del PD.
E’ una procedura molto atipica che può essere rischiosa in una fase della democrazia occidentale in cui le tendenze al cesarismo sono molto accentuate. Quanto è successo in Francia non è un grande segnale. E nel nostro Paese, dopo quattordici anni dalla scesa in campo di Berlusconi tra la gente la ricerca dell’uomo della provvidenza si è molto rafforzata. Berlusconi come è noto risponde direttamente al popolo ed è orgoglioso della sua leadership: non ha bisogno nè di congressi di partito nè di altro per essere il Capo.
Oggi comunque si vota e sono abbastanza certo che ci sarà  una forte partecipazione popolare all’elezione delle assemblee costituenti la nuova formazione politica.
Piaccia o non piaccia il PD costituisce una novità  nel sistema politico italiano. Difficile valutare quanto di esterno a DS e Margherita arricchirà  il partito ed è azzardato fare previsioni elettorali. Dipenderà  dal sistema elettorale, ma anche da come si muoveranno le forze alla sinistra del PD.
Per adesso si muovono male. Ad ogni passo in avanti nel processo di aggregazione a sinistra seguono netti passi indietro e la riproposta di lacerazioni significative. L’ultima nel consiglio dei ministri di venerdì. Possibile che non sono in grado Mussi e compagni, di individuare una piattaforma di aggregazione minima?

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