In occasione della formazione del primo governo di centro-sinistra all’inizio degli anni ’60, l’Avanti, quotidiano del PSI uscì con un titolo a otto colonne: “Da oggi ognuno è più libero”. L’enfasi nasceva dal primo accordo tra socialisti e democristiani e provocò aspre contestazioni dall’opposizione di allora incentrata nel partito comunista. Quella stagione fu segnata da profondi mutamenti. Per un complesso di fattori, non ultimo la costante scesa in campo di studenti e lavoratori, il Paese attraversò un processo di grandi riforme che cambiarono molte cose e alla luce dell’oggi lo slogan dell’Avanti ebbe un senso. Nazionalizzazione dell’energia elettrica, riforma sanitaria, leggi sulla casa e sui diritti dei lavoratori, tutela della maternità , divorzio, istituzione delle regioni e via, via riformando, i vari governi di centro-sinistra, anche stimolati da un sindacato e da un PCI vigile ad un riformismo serio, mutarono il volto dell’Italia. Va ricordato che gran parte delle leggi di riforma furono possibili grazie alla convergenza in Parlamento di governo e l’opposizione di sinistra. Il riformismo dei cattolici che incontrava quello della sinistra il cui orizzonte era il socialismo. Niente a che vedere con il dibattito attuale sul Partito Democratico? No. Allora i partiti avevano identità  e idee forti e a differenza di oggi le definizioni avevano un senso e una prospettiva.
Dopo il decreto relativo alle liberalizzazioni, il capo del governo attuale, Prodi, ha dichiarato: “L’economia italiana è liberata, abbiamo varato provvedimenti di straordinaria importanza. Si tratta di misure che rilanciano il paese”.
Sommessamente consiglierei qualche cautela. Sono provvedimenti che nel complesso vanno benissimo, ma pensare che l’Italia si sta avviando ad una stagione positiva perchè si liberalizzano gli orari di lavoro dei parrucchieri, perchè finirà  la rapina sulle ricariche telefoniche o perchè avremo la targa dell’auto personalizzata, ce ne corre. Che il cittadino-consumatore (associazione che non mi piace) sia soggetto a varie angherie è vero e tutto ciò che elimina assurdi meccanismi, va salutato con entusiasmo. Ma riformare è tutt’altra cosa ed è tempo che i riformisti attuali ci dicano cosa e come riformare. Per intenderci la questione dello stato sociale va affrontata per ridimensionarlo o per cambiare i meccanismi che non funzionano più? Un riformista di destra affronta la questione delle pensioni guardando alla possibilità  di tagliare quelle pubbliche e favorire quelle private. Il riformista di destra è indifferente rispetto alla condizione degli attuali pensionati. Una realtà  difficile che denunciano in molti. E’ assolutamente insostenibile il fatto che gran parte delle pensioni sono sotto i 500 euro mensili. Si può affermare con ragione che tutte le pensioni hanno subito un ridimensionamento nel loro potere d’acquisto. Un riformismo non liberista dovrebbe necessariamente affrontare oltre i limiti d’età  anche la questione delle pensioni povere.
Siamo tutti per la flessibilità , sembrerebbe, ma come la mettiamo con i redditi da lavoro dipendente flessibile o no che sia? Sapete a quanto ammonta il reddito di un metalmeccanico o di un impiegato comunale? Qualcuno ha coscienza dei redditi che i giovani percepiscono con il loro lavoro “flessibile”? Come faranno i giovani a pagare le loro pensioni private con l’attuale domanda di lavoro?  In pochi decenni vi è stato uno spostamento massiccio, nel rapporto con il prodotto interno lordo, dei redditi da lavoro a quelli da capitale. Un riformista serio (di sinistra) rimane indifferente rispetto al fatto che l’arricchimento dei precettori di reddito da capitale non ha aumentato affatto la produttività  delle imprese? Gli investimenti in ricerca e innovazione, infatti, sono rimasti praticamente fermi. Forse qualcosa non funziona nel libero mercato.

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