In questo fine settimana il partito democratico ha due appuntamenti di livello nazionale. Il primo è convocato dal segretario Bersani e riguarda i segretari dei circoli del PD. L’altro si svolgerà  a Firenze ed avrà  come protagonisti gli under 40 dello stesso partito.
Leader del movimento è il sindaco di Firenze Renzi, il rottamatore ha da tempo sollecitato il ricambio della classe dirigente del partito. Renzi ritiene urgente la questione della messa a riposo di leader che sono in campo da così tanti anni da costituire un impiccio al dispiegarsi delle potenzialità  del partito democratico nato con l’ambizione di costituire l’alternativa unica al centrodestra. Non si tratta soltanto del meccanismo levati tu che mi ci metto io, il problema è reale e va affrontato con rigore e coraggio, magari evitando slogan irrispettosi. Come farlo?
I concorsi per “volti nuovi per il cinema” possono a volte farti scoprire un Alberto Sordi o una Silvana Mangano. Nei tempi che viviamo il rischio è quello di trovarsi di fronte a qualche velina o velino che magari buca lo schermo, ma che certo non assicura un radioso futuro al movimento. Di esempi ne son piene le cronache. Che il rinnovamento dei gruppi dirigenti, di tutti i partiti, sia un problema reale è fuori discussione. Si è interrotto da decenni un circuito che, con limiti e insufficienze, assicurava un intreccio di responsabilità  tra le diverse generazioni di un partito. Sono ormai moltissimi anni che la gestione della politica è svolta da una sola generazione, quella che era in campo alla caduta del muro di Berlino. Una generazione che con cinismo e arroganza ha emarginato le generazioni più anziane e impedito l’emergere di nuove energie. Indifferente alle numerose sconfitte, incapace di analizzare gli errori gravi compiuti, rimane in campo e con tracotanza continua a progettare la propria interminabile carriera politica. Nella costruzione dei gruppi dirigenti prevalgono il salotto buono o la fedeltà  al leader di turno. Piuttosto che la qualità  del lavoro politico che si può produrre, ciò che è richiesto al giovane che vuole impegnarsi in politica, è lo schierarsi a favore di questo o quel leader.  L’aver favorito con le sciocche tesi del partito leggero la personalizzazione della politica, è una responsabilità  che nessuno sembra voler assumere. Il risultato è stato la produzione di un ceto politico che non riesce a costruire un gruppo dirigente credibile e una linea politica adeguata alla realtà . L’esplodere dei feudi, dei signorotti e dei vassalli non è dovuta alla cattiva volontà  dei singoli, ma ai meccanismi di funzionamento di partiti che non sanno darsi regole e vincoli trasparenti. Tornata in auge la figura mitica del signore o signora delle tessere, il rapporto politico si esaurisce nella tenzone elettorale. Sia essa interna con le primarie, sia esterna per la conquista del seggio, del seggiolino o dello sgabello. Ciò che emerge dalle intercettazioni dell’indagine in corso in Umbria sul sistema di gestione di settori della cosa pubblica è, anche da questo punto di vista, agghiacciante. L’indagine troverà  certo le giuste conclusioni. Per intanto rimane lo smarrimento di tanta parte del popolo di fronte a fatti che sembrano dimostrare che, al di là  degli aspetti penali, una parte della politica ha inciso profondamente sulla trasparenza e sulla correttezza amministrativa. Il danno è serio, ma sentire qualche rappresentante della destra chiedere le dimissioni della presidente Marini per un’indagine che non la riguarda altri, lascia annichiliti. Al peggio non c’è mai fine? Il parlamento si svuoterebbe se tutti coloro che sono sotto indagine della magistratura si dimettessero. Non lo fanno nemmeno a sentenza emessa in primo e secondo grado, figuriamoci per un’indagine che riguarda fatti con non concernono il loro lavoro. I fatti oggetto d’indagine paiono riferiti ad anni in cui Catiuscia Marini lavorava a Strasburgo come eurodeputata. C’entra poco il garantismo.
Dopo venti anni non si è riuscito a risolvere il disastro della distruzione dei partiti di massa della prima repubblica. Di improvvisazione in improvvisazione si è inseguita l’America o il leaderismo alla Tony Blair e ancora oggi non c’è nel centrosinistra una proposta condivisa di legge elettorale.
Un consiglio. L’assemblea regionale dell’Umbria ha insediato la commissione per la riforma dello statuto. Non sarebbe auspicabile che il centrosinistra rimettesse mano alla legge elettorale regionale che, come accertato da molti, costituisce una piccola porcata? Ad esempio, listino e premio di maggioranza non vanno bene, non sono rispettosi di un principio base della democrazia che recita: ogni testa un voto. La legge vigente contrasta con l’esigenza di assicurare rappresentanza delle diverse idealità  presenti nella società  regionale. Farlo adesso non costerebbe nulla e renderebbe più credibili le giuste proteste contro la grande porcata della legge elettorale nazionale. Non si ricominci con la storia della governabilità : l’elezione diretta del presidente risolve alla radice il problema. Il problema è se il centrosinistra riesce a trovare una proposta condivisa, cosa non facile come sappiamo.
Si dirà  che le emergenze per l’Umbria sono altre ed è vero. Ma anche tornare ad essere credibili sul terreno della democrazia è cosa utile per sollecitare l’impegno di tutti a lavorare per trovare soluzioni alla crisi economica e sociale dell’Umbria.
La spesa locale è vicina al collasso. I tagli tremontiani obbligano un ridimensionamento dei servizi al cittadino e un pessimo impatto nella crisi della nostra economia. Rendere consapevoli le forze sociali e culturali dello stato della finanza pubblica è necessario ma non sufficiente. E’ urgente realizzare con atti e decisioni trasparenti, una riqualificazione della spesa pubblica privilegiando tutti i provvedimenti che producono lavoro e innovazione nel rapporto tra cittadino e amministrazione pubblica. Se il Governatore della Banca d’Italia Draghi denuncia come male principale del Paese la precarietà  del lavoro non solo giovanile, significa che l’azione della pubblica amministrazione, ma anche quella dei privati, deve assumere la questione lavoro come leva principale per uscire dalla deriva di questi anni.

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