Non c’è un Euro, ha gridato disperato un ministro della Repubblica. L’ultimo Consiglio dei Ministri ha deliberato un disegno di legge da far approvare al Parlamento entro dicembre, si chiama legge di stabilità . Espressione più glamour per quella che andava sotto il nome di finanziaria che regolava le spese dell’anno successivo.
La finanziaria cambia nome, non cambia la sostanza: per adesso non c’è un Euro da spendere e se ne riparla a dicembre. Così anche la famosa legge di riforma dell’Università  è stata accantonata dal Parlamento. Dopo che Tremonti ha comunicato che non ci sono le risorse necessarie. Tra le proteste di tutti, la riforma è stata rinviata a data da precisare.
Non sono esperto e non posso esprimere una valutazione sulla qualità  della riforma. Le cronache raccontano che ogni giorno, da mesi ormai, si svolgono manifestazioni contrarie alle norme volute dal Ministro Gelmini. Solo la conferenza dei Rettori, a maggioranza, ha apprezzato le norme. Docenti, ricercatori, studenti manifestano quotidianamente il loro dissenso.
Al di là  di queste proteste, colpisce il fatto che dopo un anno dalla presentazione della riforma, il governo del fare scopre che mancano le risorse per una riforma che tutti considerano essenziale per il futuro del Paese.
L’università  è argomento che tormenta molti altri Paesi d’Europa. Ad esempio, in Inghilterra il governo conservatore si appresta a produrre tagli pesantissimi nella spesa per l’istruzione universitaria. Ma le basi di partenza sono radicalmente diverse. L’Italia è in Europa uno dei Paesi a più basso livello per tutte le spese che riguardano, cultura, ricerca, formazione. Siamo buoni ultimi assieme a Grecia e Portogallo. Non riformare e tagliare le già  limitate risorse di questo comparto della spesa pubblica, è un delitto contro il futuro di molte generazioni. Tremonti fa bene a voler tenere i conti pubblici in ordine anche a prescindere dai vincoli europei, ma tagliare orizzontalmente la spesa senza scegliere con intelligenza una linea di sviluppo non ci porta da nessuna parte. Un nuovo sviluppo è difficile da costruire in mancanza di un progetto complessivo. Al di là  di tutto, il centrodestra non sembra in grado di prospettare una linea capace di contrastare la deriva del Paese. Per i leader della destra, l’urgenza sembra essere quella di riformare la giustizia e cambiare la carta costituzionale. Che la giustizia in Italia debba essere riformata è indubbio ma che lo si possa fare contro i magistrati sembrerebbe complicato. La Costituzione Repubblicana Italiana è considerata tra le più moderne e civili al mondo. Disegna una democrazia in cui il potere popolare può esprimersi non perchè elegge direttamente il capo del governo, ma perchè elegge un Parlamento che rappresenta tutti salvaguardando tutti gli interessi legittimi. L’attuale Parlamento è formato da nominati dalle oligarchie di partito che, a destra, al centro, come a sinistra hanno scelto diffusamente clientes privi di qualsiasi autonomia. Dipendenti che hanno come un’unica aspettativa la riconferma nell’impiego da parlamentare. La campagna acquisti di queste settimane aveva come premio d’ingaggio la ricandidatura in ricompensa del cambio di casacca. I padroni delle liste hanno questo potere e lo hanno esercitato alla grande per soffocare ogni vagito di resistenza alle brutture imposte da chi decide. L’urgenza non è di modificare la Costituzione, ma quella di applicarla in tutte le sue parti ad iniziare dal ripristino del diritto del cittadino di scegliere i propri rappresentanti.
Affaticato dal troppo fare il governo sembra galleggiare giorno per giorno. Mentre la situazione del Paese non riesce ad uscire da uno stato di confusione e malessere, i teatranti continuano nella loro commedia. La settimana era iniziata con una novità . Bersani e Vendola avevano trovato un accordo sia sulle primarie di coalizione che sull’esigenza di formulare proposte programmatiche da proporre per costruire una coalizione di governo. In ritardo? Meglio tardi che mai. Applausi soddisfatti in genere, poi sono iniziati i distinguo. Scontato quello di Casini, irritanti altri.
Goffredo Bettini, dirigente di rilievo fondatore del PD e King maker di Veltroni, in un’intervista al Manifesto ha invitato sia il suo segretario, Bersani, che Vendola a fare un passo indietro. Il ragionamento di Bettini è molto articolato e ricco di spunti intelligenti, ma la sintesi è che se si vogliono vincere le elezioni prossime venture bisogna scegliere un candidato a premier espressione di un mondo diverso da quello di Bersani o Vendola. Di nomi ne fa due: Luca Cordero di Montezemolo e Mario Draghi, Governatore della Banca d’Italia. Il primo ha già  rifiutato molte offerte, quelle di Casini e di Fini ad esempio. Mario Draghi, persona discreta non ha mai espresso intenzioni di scesa nell’agone politico. Come dire, non ne faccio una questione di merito, ma di metodo. Come è possibile che ad ogni iniziativa che tende ad unificare c’è un dirigente del PD che cerca di far saltare il tutto? Non si tratta, naturalmente, di impedire il libero dibattito, ma c’è il tempo della discussione e quello in cui chi non è d’accordo sta zitto nell’interesse di tutti. Ancora non si è capito che senza costruire un minimo di solidarietà  di gruppo dirigente il PD rimarrà  quel prodotto politico approssimativo che non può avere alcuna attrattiva elettorale?
Eppure, Bettini ed altri nella loro eterna carriera politica di sconfitte ne possono elencare diverse. Ultima la scelta di Rutelli a candidato sindaco di Roma. Alemanno ancora ringrazia.
Se saltassero loro un giro e per un poco tacessero non sarebbe elegante e utile alla causa?

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