Un tramonto di quelli tristi in cui il sole è avvolto da nubi pesanti che intristiscono. Triste immagine che rimanda alla guerra in Iraq accettata dal Parlamento Inglese grazie alle bugie del leader sulle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein.
Ha avuto queste caratteristiche il crepuscolo di Tony Blair.
Leader incontrastato degli ultimi 13 anni del New Labour ha annunciato giovedì le sue dimissioni per il 27 di giugno.
Uscendo di scena Tony Blair ha tra l’altro dichiarato: “Questo nostro paese è benedetto, gli inglesi sono speciali. Il mondo intero lo sa. Questa è la più grande nazione della terra. Ed è stato un onore servirla”. Lo sciovinismo del premier è coerente con la sua visione del mondo e con la politica che ha portato avanti il suo governo nei passati dieci anni. Una politica che deve essere indagata considerando l’appeal che il leader inglese ha avuto ed ha presso gran parte dei riformisti italiani, sia di destra che di centro che di sinistra. Berlusconi, Amato, Fassino e Casini sono stati tutti ammiratori appassionati del blairismo. Sarebbe angosciante che come sta succedendo per il berlusconismo, anche il blairismo continuasse a rappresentare l’orizzonte della politica italiana anche per il futuro.
E’ quello del New Labour il modello di riformismo cui deve far riferimento il centrosinistra italiano?
Dal punto di vista delle politiche economiche il bilancio di dieci anni di governo di Blair si presenta come molto problematico.
“The Economist”, la bibbia del liberismo, riconosce che il reddito è distribuito in Inghilterra in modo più ingiusto che in ogni altro Paese ricco, eccetto l’America. L’Inghilterra è in Europa, tra i Paesi a più alto tasso di povertà . Negli anni di Blair la mobilità  sociale è diminuita. Era migliore ai tempi della lady di ferro. Soltanto un terzo dei lavoratori inglesi può contare su un lavoro stabile. La precarietà  domina il mercato del lavoro. Il leggendario NHS, il servizio sanitario, dopo le privatizzazioni blairiane è diventato un colabrodo. Consiglio, a chi protesta per le liste di attesa del nostro Silvestrini, di domandare a qualche amico inglese quale è la situazione negli ospedali britannici. Risulterà  che la sanità  umbra è una macchina da guerra rispetto al servizio sanitario della grande Inghilterra. A mio sommesso parere la “Blair’revolution” è stata figlia del thacherismo e non di una sinistra riformata.
La parola riformismo è così generica che ognuno la più aggettivare come vuole, ma certo se il modello di Prodi e Fassino rimane Blair, difficilmente il centrosinistra potrà  contare su un grande sostegno popolare. Ci dicono: ma Blair ha vinto per tre volte consecutive! Ed è vero, ma sapete che nelle elezioni del 2005 il New Labour ottenne la maggioranza sul 20% (non è un errore di stampa) del corpo elettorale? La crisi dei conservatori produsse un’astensione di massa di tale ampiezza da permettere ai laburisti di rivincere pur perdendo milioni di elettori. Infatti, tornando in campo il partito Tory, le sconfitte elettorali per il New Labour non fanno più notizia. Da ultimo hanno perso la Scozia che sarebbe, paragonato alla nostra situazione, come se i diesse perdessero l’Emilia Romagna.
Lavorare ad altri orizzonti rispetto al riformismo ambiguo di Blair sarebbe utile sia ai costruttori del Partito Democratico che, la cosa è ovviamente scontata, a coloro che sono impegnati a ricomporre una sinistra credibile.
Sono processi che devono essere accelerati e devono verificarsi nell’azione di governo, ma anche nella società .
Cosa non facile, ma non impossibile se si riesce a sfuggire dagli interessi di partito e principalmente da una visione ragionieristica del governo del Paese. Il buon governo, di cui era orgogliosa la sinistra, non è più sufficiente per risolvere i problemi e la politica non può rimanere a rimorchio di ciò che decide il mercato.
Prodi rivendica giustamente il risanamento dei conti pubblici. Una rigorosa politica di bilancio era necessaria dopo l’allegra gestione dei conti del ministro Tremonti. Ma sbaglierebbe Prodi se pensasse che basta risanare per far uscire il Paese dallo stato di precarietà  in cui si trova. Larghi strati del mondo del lavoro hanno subito un radicale ridimensionamento del proprio tenore di vita. Le aspettative per il futuro delle nuove generazioni non sono positive. Precarietà  e marginalizzazione del mondo del lavoro aggravano il distacco dei cittadini dalla politica attiva. Sia il nuovo partito democratico che la nuova sinistra non possono che lavorare a ricomporre questo distacco se vogliono continuare a governare.
E’ cosa buona che le forze che dirigono la giunta regionale abbiano confermato la volontà  di procedere alle riforme della struttura amministrativa sub regionale. Problema urgente e difficile.
Un consiglio che può apparire una provocazione. Il volontariato è molto apprezzato e praticato da giovani e meno giovani. Esso riguarda molti settori ed è di grande utilità  per la tenuta sociale della nostra regione. E’ proprio impossibile rilanciare il lavoro volontario nell’azione politica? Non è possibile rendere alcuni incarichi nella gestione pubblica di enti e strutture come un servizio alla comunità  che i cittadini rendono gratuitamente?
La democrazia italiana è riuscita a consolidarsi nel dopoguerra grazie al lavoro volontario di tanti umili e meno umili cittadini. I bistrattati partiti di massa potevano vivere grazie al volontariato e grazie ai sacrifici di tanti dirigenti impegnati, per quattro soldi, nel lavoro di partito, in quello delle organizzazioni di massa e in quello amministrativo.
Non dico di tornare ai tempi in cui un assessore comunale non aveva alcun compenso, ma tra allora e oggi si è esagerato nelle prebende. O no?

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