Oggi scade il termine per la preparazione delle liste elettorali. I partiti hanno alla fine scelto chi nominare in Senato e alla  Camera dei Deputati. Agli elettori rimane la sola scelta del simbolo cui dare il consenso. I fortunati sono già  stati scelti. Una grande trasmigrazione tra un collegio e un altro è stata necessaria per assicurare il posto sicuro a pinco e a pallino. Candidati toscani trasferiti in Sicilia, siciliani candidati in Emilia, laziali in lista in Umbria, pugliesi indicati in Campania e così via. Chissà  perchè questo esodo da collegio in collegio che riguarda tutti gli schieramenti politici. Comunque ormai è fatta e lamentarsi non serve a nulla. A leggere i giornali in tutte le regioni è successo quanto è successo in Umbria. I catapultati da Roma hanno reso risibile la rivendicazione di proposte autonome del territorio. Tutti si dicono federalisti convinti, ma i gruppi dirigenti locali hanno autonomia zero, quando si tratta di candidare qualcuno per Camera o Senato. Dicono che la legge elettorale voluta dal centrodestra è repellente, ma poi la utilizzano alla grande per decidere a Roma tutti i fortunati nominati per il Parlamento.
In genere come sono le liste? La determinazione di Walter Veltroni a costruire un partito all’americana come risposta alla crisi della democrazia italiana, ha portato alla messa in campo di liste che sembra contengano il tutto e il contrario del tutto. Ma il Partito Democratico americano è proprio questo: un contenitore in cui l’identità  è scomparsa. Assume rilievo esclusivamente la condivisione dei programmi e della leadership del momento. Un partito del leader che ha il potere di scegliere chi nominare nelle istituzioni democratiche.
Dirigenti di qualità  ed esperienza sono stati sistemati in collocazioni sicure ma anche nuove forze entreranno in Parlamento grazie alle scelte dei capi partito.
Non mancano portaborse, segretarie, amici degli amici, mogli e mariti. Anche essi sono stati sistemati in modo da poter essere eletti il 13 e 14 aprile. Negare che vi sia stato un processo di rinnovamento sarebbe ingiusto ma molte scelte rimangono misteriose e certamente la trasparenza delle nomine non è stata la caratteristica fondamentale. Curioso che una delle polemiche tra il PD e la Sinistra arcobaleno sia stata sul numero di operai presenti nelle liste dei due schieramenti politici. Uno degli artefici della polemica sugli operai in lista è stato un certo Paolo Nerozzi.
Gli addetti ai lavori conoscono Paolo Nerozzi come sindacalista nazionale della CGIL e come uno dei fondatori della Sinistra democratica. Con l’approssimarsi delle elezioni ha cambiato parere e collocazione: ha lasciato la Sinistra democratica ed è entrato nel Partito Democratico. L’ormai ex sindacalista è tra gli eletti sicuri ed avrà  come capolista il celebre industriale veneto Fausto Calearo. Il Calearo è divenuto famoso per diversi motivi. Lo scorso anno al convegno di Comunione e Liberazione aveva dichiarato la sua comprensione per gli evasori fiscali suscitando i rimproveri anche di Montezemolo. Nei mesi successivi, alla presidenza della Federmeccanica Calearo, svolgendo il ruolo di falco, ha ritardato fin che ha potuto la firma del rinnovo del contratto dei metalmeccanici. Poi, indicato da Veltroni come capolista del PD, in una trasmissione televisiva ha santificato Clemente Mastella per aver fatto cadere il governo Prodi, aggiungendo per chiarezza che aveva accettato di essere candidato per i democratici semplicemente perchè Berlusconi non gli aveva fatto prima la stessa proposta. La passione politica dell’industriale veneto è indiscutibile.  Il Nerozzi, in lista con questo bel tipo, pensa bene di polemizzare con Bertinotti perchè ci sono pochi operai nelle liste della Sinistra da cui lo stesso Nerozzi è fuggito per approdare nel PD.
Che nelle liste di un partito di centrosinistra ci siano rappresentanti della classe imprenditoriale non può fare scandalo  e certamente non è una novità . Sono da tempo apprezzati anche a sinistra il presidente della regione Sardegna e di quella del Friuli, Soru e Illy, ambedue imprenditori ed eletti dal centrosinistra. Lo stesso partito comunista italiano ha avuto nella sua storia rapporti fecondi con il mondo delle imprese e spesso utilizzato, nell’interesse del Paese, le competenze presenti nel mondo dell’industria. Impiegare tutte le intelligenze per l’interesse generale non deve significare la negazione degli interessi dei diversi ceti sociali.
Le corporazioni avrebbero dovuto scomparire con la fine del fascismo e chi siede in Parlamento deve rispondere all’interesse del Paese e non a quello della suo ceto. Questo vale per l’operaio ma anche per Calearo. E l’emergenza dell’Italia non è semplicemente la mancata crescita, ma una crescita insufficiente e fortemente squilibrata tra le diverse classi sociali.
E’ arcaica ideologia sostenere che in un Paese come l’Italia, in cui il 10% della popolazione detiene il 45% del reddito, gli interessi dei lavoratori siano uguali a quelli degli imprenditori. Il riformismo senza aggettivi è foriero di cattive soluzioni per le classi disagiate.
Ottima la scelta di Diliberto di lasciare il suo posto ad un operaio di Torino. Sarebbe stato apprezzato anche se altri dirigenti della Sinistra arcobaleno avessero scelto di far politica fuori dalle aule parlamentari rinunciando a candidarsi. Ad esempio non è stanco Pecoraro Scanio di fare il parlamentare? C’è da costruire un nuovo partito della sinistra e anche in Campania (la regione del capo dei Verdi) ci sarebbe bisogno di impegno politico nel territorio per risolvere il disastro di questi anni. Un disastro che non si è prodotto per castigo divino, ma per le non scelte di una classe politica che dovrebbe sentire l’obbligo a rigenerarsi con rapidità  se vuole continuare a vivere.

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