Ricordo che, a metà  degli anni sessanta, si sviluppò un’intensa discussione tra filosofi,  dirigenti politici e giovani intellettuali incentrata su due visioni dei valori e delle idealità  da introdurre nell’agire  politico.
Una tesi sosteneva che un movimento politico doveva  assumere ed operare come se la verità  fosse sempre rivoluzionaria, l’altra che  essendo la rivoluzione la verità , è legittimo che per la rivoluzione si possa anche falsificare la realtà . Non c’era da spartirsi incarichi ma solo rendere evidente il modo di essere di un partito che voleva cambiare il Paese, forse per questo fu una discussine avvincente. Non ricordo tutti i protagonisti del confronto, ricordo che alla fine prevalse la prima tesi: la verità  è sempre rivoluzionaria. Formalmente fu così, nella sostanza le mezze verità  o la distorsione di questa, non scomparvero affatto nell’agire politico. Ma almeno si discusse di valori e non di posti e prebende.
Non ricordo come la pensavo in quei tempi, adesso sono assolutamente certo che la verità  è sempre la cosa giusta da dire. Convinto di questo, non nascondo il mio sbigottimento rispetto  al commento del leader del PD sul risultato elettorale delle elezioni regionali. Perdere due milioni di voti e quattro regioni fondamentali è semplicemente una sconfitta grave per una forza politica. Che non bisogna arrendersi alla catastrofe è altra cosa.
Bisogna che si dica la verità . E la verità  è che il voto di marzo è, se possibile, più grave di quello delle politiche. Il motivo di questo giudizio? Nelle elezioni regionali si sono avvalorate molte cose, due rilevanti sulle altre. L’elettorato ha espresso un giudizio negativo sulla qualità  del governo regionale incentrato sulla coalizione di centrosinistra. Continuando a vivere in un eterno presente abbiamo rimosso il disastro amministrativo delle giunte di Bassolino e Loiero. C’entra poco Berlusconi con la cattiva amministrazione della Campania e della Calabria. Un ceto politico scadente non consente vittorie in una situazione complessa come quella italiana. Non si parli delle difficoltà  del sud d’Italia. La vittoria di Nichi Vendola in Puglia è avvenuta a dispetto delle straordinarie follie del PD. E Vendola ha dimostrato che se si amministra bene, si può vincere anche nel mezzogiorno. Lo stesso sfondamento della Lega e dei Grillini in Emilia Romagna contiene un giudizio non positivo sulla capacità  di aggregazione del partito emiliano. Il voto di protesta e l’astensione dal voto sono frutto di un rifiuto delle politiche locali del PD e del centrosinistra. L’altro segnale che viene dal voto? Fa forse bene Bersani ha dichiarare che il PD è in piedi. Dovrebbe però aggiungere che questo partito ha bisogno di uno scatto che non riguarda soltanto una più intelligente presenza territoriale. E’ bene esserci nel territorio, ma senza le giuste idee, senza valori leggibili e privi della capacità  di rappresentanza di interessi e sensibilità , l’insediamento territoriale serve a poco. La Lega è un partito che vive tra la gente, ne difende gli interessi immediati imponendo un’ideologia di destra che il centrosinistra non riesce a contrastare con netti valori alternativi. La difficoltà  del PD e del centrosinistra sta nella mancanza di una visione condivisa della società  italiana.
La rincorsa al centro di questi anni non ha prodotto grandi risultati. Il più rilevante quello di aver fatto scomparire in grande parte delle assemblee elettive la sinistra. Interessa poco salvare il posto a questo o quel dirigente della sinistra, il problema è la rappresentanza di uomini e donne che esprimono ideali e sensibilità  diverse che, pur partecipando alle elezioni, non sono più rappresentate nelle sedi della democrazia organizzata per leggi elettorali sbagliate. Leggi che nascondono un settarismo di partito inammissibile se si vuol costruire un’egemonia nella società  che si vuole amministrare. Mi spiego con un esempio locale. E’ più importante che il PD abbia dieci rappresentanti o che Sinistra ecologia e liberà , avendo ottenuto oltre il 3% dei voti non sarà  presente nell’assemblea regionale? Questa caduta di rappresentatività  del consiglio non è un grande stimolo all’astensionismo futuro? Sarebbe utile un seminario di studio del PD su come la democrazia cristiana o il PCI cercavano di salvaguardare nelle loro coalizioni i partiti minori. Il partito repubblicano, credo, non abbia mai superato il 4% dei voti ma ha sempre svolto un ruolo di governo importante grazie all’intelligenza della DC, il partito egemone. Ciò consentiva alla DC di avere rapporti con mondi con cui non avrebbe potuto interloquire. Studiare la storia non sarebbe male.
Il risultato in Umbria non è stato tra i peggiori. Nonostante i profeti di sventura interni al PD, la candidatura di Catiuscia Marini ha prodotto risultati. La carta dell’innovazione sembra aver funzionato. Il livello di astensionismo è stato elevato, così anche in Umbria i voti al centrosinistra sono diminuiti a conferma di una tendenza che dura da anni. La Lega ottiene un seggio. L’avanzata leghista non si ferma, ma non ne farei un dramma. Se il centrosinistra capirà  il significato delle astensioni e del voto leghista sarà  possibile riconquistare forze che si sono perdute.
I segnali dovranno essere però netti. Ad iniziare dalla formazione della giunta regionale bisognerà  che le scelte siano innovative e trasparenti. Non è che il consiglio regionale dia la sensazione della novità . Abbiamo ottenuto attraverso i miracolati del listino e con la lotta per la preferenza, un’assemblea regionale con un’età  media ragguardevole: 50,3 anni contro il 45,4% della legislatura precedente. Non proprio un organismo di virgulti della politica che, se paragonato con quello della prima legislatura regionale, qualche perplessità  la suscita. L’impressione che l’Umbria sia un Paese per vecchi non può suscitare grandi entusiasmi e grandi passioni politiche. Ma così è andata.
Alla presidente l’augurio sincero di poter ben amministrare nell’interesse della comunità .
Consigli non si dovrebbero dare, ma me ne permetto uno: cominci, la presidente, con la formazione della giunta a rompere con la società  feudale e con i personalismi caratteristici di questi sfortunati anni. Un consigliere o un assessore rappresentano tutta la regione, non raffigura un feudo di cui è vassallo.

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