Una vecchia massima degli addetti ai lavori sostiene che un attore non va giudicato dalla sua entrata in scena. La valutazione deve essere espressa sul modo che si ha nell’uscire dal palcoscenico. Arduo è il giudicare le preannunciate rinunce al seggio parlamentare di vari personaggi della politica italiana, come paragonabili alle uscite a cui ci abituò Laurence Olivier al termine di un’opera di Shakespeare. Di là  dello stile nell’uscita, tutte le rinunce nascono da un’impostazione sbagliata, monca, insufficiente nell’analisi. Stupisce che dirigenti di lungo corso e con adeguate letture, non si siano posti, nell’annunciare la prossima rinuncia allo scranno parlamentare, il problema dello stato della politica e della democrazia italiana. Un Paese in cui vari sondaggisti sostengono che alle prossime elezioni il partito più numeroso potrebbe essere quello del non voto. Sostenere che Renzi ha già  vinto perchè gli eterni duellanti del PD rinunciano alla candidatura, è una madornale sciocchezza. E anche se così fosse rimarrebbe irrisolta la grande questione della democrazia repubblicana. Problema essenziale della democrazia italiana è la ricostruzione di luoghi organizzati della buona politica e non le pessime corride interne ai gruppi dirigenti degli attuali partiti. Con il massimo rispetto di coloro che nel PD s’impegnano per rendere questa formazione politica adeguata ai tempi, ritengo che il lavoro da fare rimanga moltissimo e la stagione è di quelle che richiedono scelte urgenti e radicali. La libertà  di opinione e di dibattito è certamente una ricchezza, ma senza una piattaforma unitaria e non generica, il dibattito interno diviene la diaspora delle idee senza alcuna attrazione nè costrutto. Il rinnovamento non è soltanto un problema generazionale, esso richiede ben altro che lasciare un posto nelle assemblee elettive a un candidato più giovane. Ciò di cui ha bisogno la democrazia, è il mutamento radicale dell’agire politico in una fase di profonda crisi del rapporto tra il popolo e la politica. E ciò riguarda i vecchi e i giovani. Una crisi che si è incancrenita negli anni per molti motivi. Certo il ricambio dei gruppi dirigenti dovrebbe essere un percorso scontato in organismi sani. In questi anni non lo è stato perchè è mutato radicalmente il modo di essere del dirigente politico. La politica come spettacolo ha richiesto caratteristiche in cui la cultura politica diviene marginale. Conta il bucare lo schermo, l’arroganza e spesso la volgarità  nell’argomentare. L’avversario è dentro, il tuo amico o compagno di partito. Quanti partiti personali ci sono in Italia? Tanti e tutti ademocratici, alla faccia dell’articolo quarantanove della Costituzione. Una democrazia la nostra che non si è saputa rinnovare e dopo il disastro seguito alla morte dei partiti di massa è iniziato l’avanspettacolo. Si è aperta così una prateria per tutti quelli che hanno inteso la politica come un luogo dove la tutela dell’interesse personale diveniva l’unico obiettivo. L’interesse generale, invece, diviene un orpello da comizio televisivo che non necessità  di essere salvaguardato. Certo non tutti coloro che sono impegnati in politica o nella gestione amministrativa in questi anni hanno privilegiato il personale sul generale, ma nel senso comune prevale il rifiuto ed esso rischia di coinvolgere tutti. La cosa è grave in sè. Diviene un dramma in una situazione d’impoverimento progressivo del Paese. E’ un impoverimento certificato dai numeri della disoccupazione e del precariato. Quando le donne della Campania hanno un tasso di occupazione pari alle donne del Pakistan, c’è da preoccuparsi.O no? Il decadimento è amplificato dal taglio sistematico di tutte le risorse pubbliche del già  fragile sistema di welfare esistente in Italia. Per la mancanza di adeguati servizi pubblici una giovane donna è posta di fronte alla scelta tra maternità  e lavoro anche quando questo sarebbe possibile. E’ legittimo indignarsi per gli scandali emersi in tante regioni del Paese, sarebbe pure utile preoccuparsi per lo stato della finanza locale. Anche le regioni e le amministrazioni virtuose non avranno le risorse necessarie a soddisfare esigenze primarie della cittadinanza. Nella testa di molti nostri governanti prevale l’ideologia del “meno stato più mercato”. Un’ideologia che ha fatto fallimento in ogni parte del mondo, ma essendo un’ideologia continua a guidare le scelte dei “credenti”. Che cosa è stato imposto alla Grecia per aiutarla a pagare il suo debito? Tagli a tutto ciò che è pubblico, liberalizzazioni, licenziamenti di massa nel pubblico impiego. Risultati dopo tre anni di cura? Il disastro economico e sociale. La disoccupazione? Sono più i disoccupati degli occupati. Rappresentanti di un partito neo-nazista siedono nel parlamento greco e incitano alla rivolta anti europea. La troika (BCE, FMI, Commissione Europea) pretende altri tagli e altri licenziamenti. La finanza ha bisogno di certezze, dicono. Ricette sbagliate che sono ripetute in Portogallo, in Spagna e in Italia. Indifferenti ai fallimenti ripetuti restano soggiogati dall’ideologia. Il libero mercato come panacea dei mali dello sviluppo irresponsabile. In tutto il mondo, la politica è in crisi profonda. Si può riempire una biblioteca con testi che descrivono la decadenza della democrazia in occidente a seguito dello spostamento dei centri in cui il potere sui popoli è esercitato dai governi, dai parlamenti, ai conglomerati finanziari e alle strutture non elettive. E’ questo il risultato della deregulation e del dominio della finanza sull’economia reale. Il capitalismo rampante non ha alcun bisogno della democrazia. Non è ancora evidente?
Corriere dell’Umbria 21 ottobre 2012

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