da Francesco Mandarini | Ott 10, 2004
Il personaggio continua a meravigliare. Dopo le lunghe vacanze in
Sardegna, Silvio Berlusconi ha mutato il suo modo di apparire.
Parla poco, nessuna barzelletta in pubblico per accreditare
l’immagine di uno statista lontano dalle miserie della politicapoliticante.
Non è andato ancora negli spogliatoi del Milan a
rimbrottare Ancellotti e non insulta più i propri avversari.
Certo ogni tanto qualche battuta scappa. Il meglio continua a
darlo quando è all’estero. In Libia il nostro dichiara che
Gheddafi è un leader di libertà e non più l’imperatore di una
degli stati canaglia. Apprendiamo che nella lunga lista degli
amici importanti, dopo Bush, Blair e Putin è stato aggiunto anche
il colonnello. Ci sarebbe da dire rispetto alle qualità delle
libertà e della democrazia libica, ma si tratta di un amico e ci
vuole comprensione.
Nel complesso, il cavaliere, è divenuto meno ciarliero e l’astio
contro la sinistra è andato sottotraccia. E’ diventato un buonista
ed è meno giocoso. Perchè? E’ vero che la situazione del Paese
sconsiglia facili entusiasmi e che i miracoli non sempre riescono,
ma la questione sembra più complessa.
Gli esperti dicono che il capo di Forza Italia è stato consigliato
di apparire in televisione il meno possibile e di evitare
l’umorismo da caserma: il troppo struppia, si dice a Perugia.
Il pessimo risultato elettorale del maggio scorso ha indotto gli
spin doctor del leader di Arcore a mutare strategia nella
comunicazione del prodotto. E la cosa sembra funzionare se diversi
segnali e indagini demoscopiche dimostrerebbero che la spinta
positiva per il centrosinistra si è inceppata. E molti, attoniti,
sospettano un nuovo successo politico per la destra berlusconiana
alle prossime elezioni politiche. L’illusione di un’emancipazione
del centro folliniano dallo strapotere della destra populista ha
ballato una sola estate? Così sembra. In queste settimane i
centristi dell’UDC, si adeguano ai voleri riformatori della Lega e
votano tranquillamente la destrutturazione della Carta
Costituzionale e tutto ciò che rientra nei desiderata del capo
liftato.
La nuova strategia di marketing del polo della destra sembra avere
successo anche per la mancanza di una tattica politica credibile
da parte del centrosinistra.
Dopo le vivaci discussioni estive di cui sono stati protagonisti
Rutelli, Prodi, ed altri c’è stato un altro incontro
chiarificatore. Baci e abbracci, avanti verso la federazione, le
primarie, la lista unica per le regionali. Il chiarimento è durato
lo spazio di un mattino.
Rutelli in una lunga intervista chiarisce meglio il suo pensiero e
si ricomincia daccapo. L’elezioni regionali divengono decisive per
la conferma della leadership di Prodi. La federazione tra SDI, DS
e Margherita va bene ma l’autonomia dei partiti non sì tocca. La
lista unica per le regionali? Vedremo caso per caso. Prodi afferma
che alle “riforme” della destra l’Ulivo non deve nemmeno
aggiungere una virgola, ma modificarle alla radice? Rutelli
afferma che bisogna vedere meglio nel merito.
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Il presidente dei DS, Massimo D’Alema, denuncia una manovra contro
Prodi e l’Ulivo entra in fibrillazioni ulteriori. Perchè succede
tutto questo? Banale sarebbe pensare che tutto sia dovuto a beghe
personali. E’ vero di pavoni e pavoncelle è pieno lo scenario
politico, ma non basta a motivare questa sorta di follia autodistruttrice
del mondo dei riformisti nostrani. C’è qualcosa di
più. La divaricazione è sulle strategie e sulla visione del
presente e del futuro della democrazia italiana. D’Alema lo spiega
chiaramente. Il suo progetto è quello di consolidare una
democrazia molto semplificata dal sistema maggioritario. Una
democrazia di tipo anglosassone in cui ci sia spazio
esclusivamente per un’alternanza al potere tra un polo
conservatore e un polo riformista. Semplice da dire, difficile da
realizzare in un Paese come l’Italia in cui il senso di
appartenenza ad un partito è molto radicato dalla storia. E
d’altra parte questa forma di democrazia non è diffusissima nel
mondo. Gran parte dei Paesi democratici hanno sistemi politici
incentrati su partiti che si alleano per governare e la stabilità
degli esecutivi non è affatto minore di quella assicurata dal
maggioritario, mentre è più forte la rappresentanza di istanze
ideali e politiche. O no?
Uno dei problemi fondamentali dell’Italia è certo il
particolarismo e ciò non riguarda solo la politica.
Non si risolve però la questione cercando di mettere nello stesso
partito forze che hanno sensibilità diverse. E’ immaginabile una
sola organizzazione politica che vede insieme Mastella, Pecoraro
Scanio, Rutelli, D’Alema e Cossutta? Non è miglior cosa cercare di
alleare in un progetto di governo credibile partiti che conservano
una loro identità ? E’ vero che le bandierine di partito e i
“mandarini” irritano molti di chi ha a cuore i destini di un Paese
stremato da pessimi governi e da una classe politica intangibile.
Uno sforzo di aggregazione va certamente operato. Forse se si
evitano forzature organizzative, si otterrebbero migliori
risultati.
Al riguardo, colpisce che l’area riformista ci sta con fatica
provando, mentre il mondo della sinistra più radicale sia
immobilizzato da schemi organizzativi a compartimento stagno senza
che alcuno tenti di mettere insieme le risicate membra.
Anche in Umbria assicurano gli esperti si andrà alla lista unica
dei riformisti. Le ragioni di ciò non sono chiarissime. Ancora
oggi viene in mente la faccia stravolta di Fabrizio Bracco di
fronte ai risultati umbri delle elezioni europee. Per fortuna il
voto per le amministrative per il centrosinistra umbro fu
radicalmente diverso. E’ vero che per un progetto politico di
valenza strategica si può sacrificare qualche voto. In ogni caso è
consigliabile usare qualche cautela ed avere misura nel rischio.
da Francesco Mandarini | Ott 3, 2004
PUGNO DI FERRO IN GUANTO DI VELLUTO
Il Ministro Siniscalco è persona cortese che non usa, come il
Dottor Tremonti, la clava per imporre le sue convinzioni
economiche. E le buone maniere sembrano tornate di moda dopo che
Berlusconi ha smesso di insultare i suoi avversari politici. Le
buone maniere non risolvono però la sostanza dei problemi.
Nel caso della finanziaria votata dal governo per il 2005, la
realtà è questa: si tratta di un provvedimento che inciderà
pesantemente sulle condizioni di vita di gran parte del popolo
italiano. I sacrifici non serviranno affatto a rilanciare
l’economia italiana.
E’ vero che Berlusconi continua a promettere di tagliare le tasse,
ma per intanto chi pagherà per i tagli alla spesa pubblica
contenuti nel provvedimento? Da dove arriveranno i 7 miliardi di
Euro di maggiori entrate? Non saranno forse i ceti medi e la
povera gente quelli colpiti ancora una volta dalle scelte del
governo? Dire il contrario è mistificare.
L’operazione è semplice: si è spostato il fronte del conflitto dal
centro alla periferia. Traduzione. Il ridimensionamento dei
trasferimenti dallo Stato alle amministrazioni locali (regioni,
comuni, province) obbligherà sindaci e presidenti o a tagliare le
spese sociali (sanità , assistenza, ecc.) o ad aumentare la
pressione fiscale locale. Aumenteranno le tariffe dei servizi
pubblici. Con la rivalutazione degli estimi catastali aumenteranno
le tasse sulla casa. Saranno reintrodotti i ticket, aumenterà
l’imposta sulla nettezza urbana, ecc.ecc. Volete il federalismo
fiscale? Ecco un’anticipazione dell’Italia federale in costruzione.
Le organizzazioni sociali, sindacati e confindustria, hanno
espresso con motivazioni diverse, ma non conflittuali, un giudizio
negativo sul provvedimento governativo. Dicono che la situazione
del Paese è tale da richiedere scelte radicalmente diverse da
quelle volute dal governo di centrodestra.
La nostra è ormai da anni una economia bloccata che non trova la
strada per invertire un processo di impoverimento generale delle
famiglie e delle imprese. Il tasso di disoccupazione è superiore
alla media europea, l’economia sommersa ha un’incidenza
formidabile sul PIL. Il sommerso è il motore che copre lo scandalo
dell’endemica evasione fiscale. Argomento questo che non fa più
scandalo e che sembra non interessare più nessuno.
Le indagini statistiche dimostrano che la distribuzione del
reddito in Italia è andata via, via peggiorando per tutti quelli
che vivono del proprio lavoro. Oggi siamo la nazione europea a più
alta concentrazione del reddito e della ricchezza. Non è un bel
record. Le disuguaglianze sociali si sono aggravate mentre la
crisi del welfare ha raggiunto dimensioni tali da incidere
pesantemente sulla qualità di tutti i servizi al cittadino. Ogni
anno aumenta ad esempio la partecipazione dei malati alla spesa
per le proprie cure. A poco a poco l’intervento pubblico si
ridimensiona in tutti i settori senza che le privatizzazioni
stimolino una qualche forma di ripresa economica.
Una pessima situazione che si aggrava anche per la debolezza
programmatica del centrosinistra. Non si sono fatti passi in
1
avanti nel formulare idee e progetti concretamente alternativi
alla linea di politica economica della destra.
Autorevoli rappresentanti dei riformisti continuano a sostenere
che una volta al governo, il centrosinistra dovrà in economia fare
le cose che Berlusconi ha detto di voler fare e non ha fatto.
Esemplare da questo punto di vista il dibattito che “Il
Riformista” ha aperto sia sulle questioni programmatiche sia sulla
classe dirigente espressa dai riformisti.
Sembra di sognare eppure ancora oggi l’argomento al centro della
discussione nell’Ulivo è la forma organizzativa da dare
all’opposizione e se Prodi è o no il leader adatto a vincere la
sfida con Berlusconi.
Sembra prendere forza l’ipotesi di una federazione tra i partiti
del “listone” ma lo sbocco di questa scelta è diversificato
all’interno dei singoli partiti e tra i partiti del centrosinistra.
D’Alema e la maggioranza dei DS sostiene l’esigenza della
formazione di un nuovo partito: il partito dei riformisti. La
minoranza diessina vorrebbe sì un nuovo partito, ma vicino
all’esperienza delle socialdemocrazie europee. Rutelli sogna una
Margherita fulcro di un centro così forte da determinare le
politiche del centrosinistra.
La discussione si trascina ormai da un decennio e i punti risolti
sono pochissimi. Si apre la stagione dei congressi per molti dei
partiti del centrosinistra e forse qualcosa si chiarirà . Certo il
pessimismo ha qualche ragion d’essere visto che i protagonisti
sono gli stessi di sempre e considerando quanto i personalismi
pesino in tutte le vicende politiche. A volte si ha l’impressione
che le lotte intestine al “quartier generale” nascano da antiche
rivalità che poco hanno a che fare con l’interesse del Paese.
Anche se molti si reputano grandi statisti prevale la stizza
dell’uno contro l’altro a prescindere dal merito delle cose.
Comunque qualche barlume di spirito critico rispetto alle scelte
passate comincia ad affiorare anche in leader inossidabili. Più di
uno ormai ritiene sbagliate alcune scelte fondamentali degli anni
trascorsi.
Il federalismo alla Bassanini o la negazione ideologica di ogni
intervento pubblico nella gestione del paese, stanno passando di
moda e si ricomincia a ragionare a partire dal fallimento in tutto
il mondo del modello liberista che tanto ha affascinato i nostri
stagionati eroi.
Corriere dell’Umbria 3 ottobre 2004
da Francesco Mandarini | Ott 3, 2004
Il Ministro Siniscalco è persona cortese che non usa, come il
Dottor Tremonti, la clava per imporre le sue convinzioni
economiche. E le buone maniere sembrano tornate di moda dopo che
Berlusconi ha smesso di insultare i suoi avversari politici. Le
buone maniere non risolvono però la sostanza dei problemi.
Nel caso della finanziaria votata dal governo per il 2005, la
realtà è questa: si tratta di un provvedimento che inciderà
pesantemente sulle condizioni di vita di gran parte del popolo
italiano. I sacrifici non serviranno affatto a rilanciare
l’economia italiana.
E’ vero che Berlusconi continua a promettere di tagliare le tasse,
ma per intanto chi pagherà per i tagli alla spesa pubblica
contenuti nel provvedimento? Da dove arriveranno i 7 miliardi di
Euro di maggiori entrate? Non saranno forse i ceti medi e la
povera gente quelli colpiti ancora una volta dalle scelte del
governo? Dire il contrario è mistificare.
L’operazione è semplice: si è spostato il fronte del conflitto dal
centro alla periferia. Traduzione. Il ridimensionamento dei
trasferimenti dallo Stato alle amministrazioni locali (regioni,
comuni, province) obbligherà sindaci e presidenti o a tagliare le
spese sociali (sanità , assistenza, ecc.) o ad aumentare la
pressione fiscale locale. Aumenteranno le tariffe dei servizi
pubblici. Con la rivalutazione degli estimi catastali aumenteranno
le tasse sulla casa. Saranno reintrodotti i ticket, aumenterà
l’imposta sulla nettezza urbana, ecc.ecc. Volete il federalismo
fiscale? Ecco un’anticipazione dell’Italia federale in costruzione.
Le organizzazioni sociali, sindacati e confindustria, hanno
espresso con motivazioni diverse, ma non conflittuali, un giudizio
negativo sul provvedimento governativo. Dicono che la situazione
del Paese è tale da richiedere scelte radicalmente diverse da
quelle volute dal governo di centrodestra.
La nostra è ormai da anni una economia bloccata che non trova la
strada per invertire un processo di impoverimento generale delle
famiglie e delle imprese. Il tasso di disoccupazione è superiore
alla media europea, l’economia sommersa ha un’incidenza
formidabile sul PIL. Il sommerso è il motore che copre lo scandalo
dell’endemica evasione fiscale. Argomento questo che non fa più
scandalo e che sembra non interessare più nessuno.
Le indagini statistiche dimostrano che la distribuzione del
reddito in Italia è andata via, via peggiorando per tutti quelli
che vivono del proprio lavoro. Oggi siamo la nazione europea a più
alta concentrazione del reddito e della ricchezza. Non è un bel
record. Le disuguaglianze sociali si sono aggravate mentre la
crisi del welfare ha raggiunto dimensioni tali da incidere
pesantemente sulla qualità di tutti i servizi al cittadino. Ogni
anno aumenta ad esempio la partecipazione dei malati alla spesa
per le proprie cure. A poco a poco l’intervento pubblico si
ridimensiona in tutti i settori senza che le privatizzazioni
stimolino una qualche forma di ripresa economica.
Una pessima situazione che si aggrava anche per la debolezza
programmatica del centrosinistra. Non si sono fatti passi in
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avanti nel formulare idee e progetti concretamente alternativi
alla linea di politica economica della destra.
Autorevoli rappresentanti dei riformisti continuano a sostenere
che una volta al governo, il centrosinistra dovrà in economia fare
le cose che Berlusconi ha detto di voler fare e non ha fatto.
Esemplare da questo punto di vista il dibattito che “Il
Riformista” ha aperto sia sulle questioni programmatiche sia sulla
classe dirigente espressa dai riformisti.
Sembra di sognare eppure ancora oggi l’argomento al centro della
discussione nell’Ulivo è la forma organizzativa da dare
all’opposizione e se Prodi è o no il leader adatto a vincere la
sfida con Berlusconi.
Sembra prendere forza l’ipotesi di una federazione tra i partiti
del “listone” ma lo sbocco di questa scelta è diversificato
all’interno dei singoli partiti e tra i partiti del centrosinistra.
D’Alema e la maggioranza dei DS sostiene l’esigenza della
formazione di un nuovo partito: il partito dei riformisti. La
minoranza diessina vorrebbe sì un nuovo partito, ma vicino
all’esperienza delle socialdemocrazie europee. Rutelli sogna una
Margherita fulcro di un centro così forte da determinare le
politiche del centrosinistra.
La discussione si trascina ormai da un decennio e i punti risolti
sono pochissimi. Si apre la stagione dei congressi per molti dei
partiti del centrosinistra e forse qualcosa si chiarirà . Certo il
pessimismo ha qualche ragion d’essere visto che i protagonisti
sono gli stessi di sempre e considerando quanto i personalismi
pesino in tutte le vicende politiche. A volte si ha l’impressione
che le lotte intestine al “quartier generale” nascano da antiche
rivalità che poco hanno a che fare con l’interesse del Paese.
Anche se molti si reputano grandi statisti prevale la stizza
dell’uno contro l’altro a prescindere dal merito delle cose.
Comunque qualche barlume di spirito critico rispetto alle scelte
passate comincia ad affiorare anche in leader inossidabili. Più di
uno ormai ritiene sbagliate alcune scelte fondamentali degli anni
trascorsi.
Il federalismo alla Bassanini o la negazione ideologica di ogni
intervento pubblico nella gestione del paese, stanno passando di
moda e si ricomincia a ragionare a partire dal fallimento in tutto
il mondo del modello liberista che tanto ha affascinato i nostri
stagionati eroi.