da Francesco Mandarini | Mag 7, 2006
Sono passate tre settimane dalle elezioni e il mondo della
politica è in fibrillazione per la scelta del successore di
Ciampi. Si schierano tutti e tutti danno consigli al
centrosinistra affinchè scelga un candidato apprezzato anche dalla
destra. La storiella del Paese diviso in due continua ad essere
l’argomento con cui editorialisti di centro, di destra e di parte
della sinistra sollecitano l’elezioni di questo o di quello.
Stupisce il provincialismo di columnist di grido. Sono tutti
ammiratori della democrazia americana, ma non sembra che ne
conoscano il funzionamento. Il presidente Bush, eletto con il
trenta percento di voti ha assegnato a repubblicani di provata
fede: la presidenza di Camera e Senato, il presidente e tutti i
giudici della Suprema Corte, i presidenti di tutte le commissioni
del Congresso. Qui si vuole per forza che il presidente della
repubblica sia concordato con Berlusconi. Misteri italiani. In
genere a noi comuni mortali viene lasciato lo spazio che ha il
tifoso della curva nord. E’ anche questa della corsa al Quirinale
una partita truccata come a quanto sembra quelle del campionato?
Qualche sospetto è lecito visto come l’Unione ha gestito e
gestisce la questione degli incarichi di governo e nelle
istituzioni. Tutti si dicono interessati ad un presidente eletto
con vasto consenso, ma è possibile trovarlo questo plebiscito? E’
fattibile convincere Berlusconi a votare per un candidato indicato
dal centrosinistra? Soltanto venerdì scorso in uno sfavillante
comizio a Napoli Berlusconi ha detto: «Apprestiamoci a resistere
alla sinistra, non arretreremo neanche di un passo. In Parlamento
abbiamo i numeri per non far passare leggi che ritenessimo
contrarie all’interesse del paese». Siamo stati scippati di una
vittoria sonante. Abbiamo vinto ma non abbiamo trovato un giudice
a Berlino, come si suol dire, che facesse giustizia e che
controllasse il milione e 100mila schede». Se la lingua italiana
ha un senso il Capo di Forza Italia considera truffatori quelli
dell’Ulivo. Colpisce il silenzio diessino rispetto alla pretesa
berlusconiana di escludere a priori l’elezione di D’Alema perchè
di “storia comunista”. Uno può apprezzare o no l’idea di eleggere
il presidente diessino a Capo dello Stato, ciò che risulta
bizzarro è il disinteresse di Fassino e compagni nel difendere la
storia dei comunisti italiani. Un attacco sostenuto da un
gentiluomo, Berlusconi, nella cui coalizione sono stati ammessi
neofascisti ed altri adoratori della croce uncinata. Visto il
patrimonio di voti, di prestigio e di moralità che hanno ricevuto
dai dirigenti del passato, un po’ di rispetto i diessini
dovrebbero pretenderlo. I comunisti italiani sono stati tra coloro
che hanno costruito la democrazia italiana. Dimenticarlo è
inaccettabile per milioni di persone perbene.
Che sottobanco la destra faccia sapere che ci sono gli excomunisti
buoni (Napolitano) e quelli cattivi (D’Alema) o che è meglio anche
un excraxiano (Amato), fa parte di questa sorta di gioco dell’oca
che la classe politica perpetua ormai da decenni con gli stessi
giocatori.
Se c’è un partito in difficoltà , questo è quello dei DS.
Una difficoltà che viene da lontano e frutto anche dei sacrifici
che questo partito ha dovuto subire per consolidare una coalizione
difficile. Se si pensa che, dall’alto del successo elettorale
ottenuto, la Rosa nel Pugno si sente obbligata a mettere il veto
alla candidatura di D’Alema, ci si rende conto del disagio del
maggior partito dell’Ulivo. Un malessere che non è piovuto dal
cielo. Esso è frutto della perdita di un’identità politica
riconoscibile e non è casuale che soltanto nelle tradizionali
regioni rosse i DS mantengono una consistenza apprezzabile. Il
retaggio del passato ancora funziona. In realtà la sloganistica
del riformismo non ha risolto il problema del trapasso dal PCI ad
un partito della sinistra europea. La scelta della costruzione
assieme a Rutelli e compagni del partito democratico è, da parti
consistenti dei gruppi dirigenti, subita come ripiego alla
mancanza di qualsiasi piattaforma di rilancio di un vero partito
socialdemocratico.
Esemplificativo è lo stato dei DS in Umbria. Le elezioni sono
andate male per i DS eppure non se ne discute se non in qualche
ritiro spirituale. Per intanto alle prossime elezioni
amministrative del 28 maggio, si vota in alcuni importanti comuni
umbri, nelle candidature l’Unione si è dissolta e anche l’Ulivo
non sta benissimo se a Città di Castello avremo un candidato
Sindaco diessino e uno della Margherita. Che poi, a Gubbio, non si
è saputa trovare una soluzione unitaria, suona come la conferma
della fragilità dei rapporti politici nel centrosinistra umbro.
Una spiegazione dovrà pur essere cercata se si vuol affrontare una
fase particolarmente difficile per la nostra regione. E forse non
si è lontani dal vero quando si riconduce all’autoreferenzialità
del ceto politico amministrativo la causa vera della pochezza
della politica anche nella nostra terra. Siamo diventati anche noi
artisti del gioco dell’oca.
Corriere dell’Umbria 7 maggio9 2006
da Francesco Mandarini | Mag 1, 2006
Riusciranno Bertinotti e Marini, neo Presidenti di Camera e
Senato, a ridare ruolo e significato al lavoro del Parlamento?
L’impresa non sarà facile. Sono ormai decenni che le sedi della
rappresentanza popolare hanno visto indebolita la loro immagine.
Non è che le attività parlamentari siano al centro dell’attenzione
di chicchessia. Il giudizio popolare, venato da un qualunquismo
purtroppo diffuso, può essere riassunto nella formula: “I
parlamentari? Dei privilegiati che hanno poco da fare e che
costano moltissimoâ€. Ribaltare questa immagine è compito arduo. Si
tratta di rivitalizzare una democrazia esangue dopo anni di
videocrazia. Qualche sommesso consiglio. Aprir bocca davanti ad
una telecamera per dare fiato, come spessissimo accade, piuttosto
che comunicare qualcosa di interessante va evitato.
Ogni tanto, piuttosto che un dibattito televisivo, si privilegi un
libro o una discussione nel territorio. Sgradevole l’uso
enfatizzato dell’auto blu con le sirene urlanti che attraversano
con il rosso. La sobrietà nei comportamenti dei rappresentanti del
popolo non dovrebbe essere l’eccezione, ma la regola. La politica
deve ritrovare un rapporto di rispetto con la gente comune e ciò
può essere ottenuto con il lavoro di molti cercando di capire
quanto in basso è arrivata la democrazia repubblicana. Bisogna che
anche nel centrosinistra maturi la questione del conflitto
d’interessi in tutti i suoi aspetti. E’ macroscopico per
Berlusconi, ma in Italia di conflitti d’interesse ve ne sono
moltissimi e riguardano molti. Ad esempio tutta la legislazione
sulle incompatibilità e sull’ineleggibilità alle cariche pubbliche
è una miniera di conflitti d’interesse. Le conseguenze sono
tragiche per il funzionamento della cosa pubblica. Pensate al
paradosso di due presidenti di regione, Formigoni e Galan, che
sono incompatibili con il ruolo di senatori, ma per intanto sono
stati eletti e a loro comodo sceglieranno se rimanere a Roma o
tornare a fare i presidenti. Un massacro istituzionale.
Si tratta di individuare le linee di una politica istituzionale
radicalmente diverse da quelle che hanno prevalso negli ultimi
quindici anni e che ha portato al mal funzionamento della cosa
pubblica.
E’ vero che nei cinque anni di governo la destra ha svilito
qualsiasi forma di autonomia ed il potere legislativo è stato
succube del volere del Capo dell’esecutivo. Decretazione e voti di
fiducia hanno impedito qualsiasi vera dialettica parlamentare. Di
fatto la divisione dei poteri tra esecutivi e legislativi è stata
in pratica annullata ad ogni livello istituzionale. Il problema
non è soltanto riconducibile al “cesarismo†di Berlusconi.
Decisive sono state anche le scelte istituzionali del
centrosinistra. Il presidenzialismo regionale è stato un aiutino
non da poco allo svuotamento delle competenze delle assemblee.
Ad esempio, un esame attento del movimento legislativo della
Regione dell’Umbria dimostrerebbe l’assoluta marginalità del
lavoro dell’assemblea regionale. Le competenze in capo ad un
consiglio comunale sono insignificanti per la vita dei cittadini.
Le cose sono complicate anche perché nel senso comune di molta
della classe politica prevale una visione leaderistica della
democrazia. L’elezione diretta di sindaci e presidenti ha prodotto
una vera e propria feudalizzazione della rappresentanza con
conseguenze funeste nel rapporto tra politica e cittadini. La
scelta degli elettori sempre più piegata alle esigenze delle
carriere personali dei politici, siano essi grandi feudatari o
signorotti locali. Il voto di scambio si conferma un micidiale
veleno per la democrazia.
Che fare? Le cose sono molto complicate e il dato che segna questa
fase è quello di un’incertezza e di una precarietà istituzionale.
Berlusconi giovedì aveva assicurato che sabato sarebbe salito al
Colle per rassegnare le dimissioni. Ci ha ripensato. Lo farÃ
martedì. Per intanto, dopo la “guerriglia†al Senato ha
preannunciato lotta dura senza paura in Parlamento e nelle piazze
se il nuovo Presidente della Repubblica non sarà uno della rosa
che Forza Italia si appresta a presentare. Per dimostrare la Sua
benevolenza il primo nome della lista sarà quello di Gianni Letta,
persona degnissima che poi ha il pregio di essere il
Sottosegretario alla Presidenza del governo Berlusconi. Una vera
figura super partes. Contemporaneamente il cavaliere sconfitto
preannuncia altri ricorsi contro le elezioni truffa e continua a
non riconoscere la legittimità di un governo Prodi.
In democrazia i vuoti di potere sono pericolosi. Bisogna che chi
può e deve, acceleri per concludere la transizione tra Berlusconi
e Prodi. Fino al diciotto maggio Ciampi sarà Presidente della
Repubblica con pieni poteri. Insediati i presidenti di Camera e
Senato la quindicesima legislatura è iniziata. La legge elettorale
voluta da Berlusconi non prevede consultazioni di alcun tipo. Il
Presidente della Repubblica deve dare l’incarico al leader della
coalizione che ha vinto le elezioni, questo dice la legge. Meglio
applicarla nell’interesse del Paese.
Corriere dell’Umbria 1° Maggio 2006
da Francesco Mandarini | Mag 1, 2006
Riusciranno Bertinotti e Marini, neo Presidenti di Camera e
Senato, a ridare ruolo e significato al lavoro del Parlamento?
L’impresa non sarà facile. Sono ormai decenni che le sedi della
rappresentanza popolare hanno visto indebolita la loro immagine.
Non è che le attività parlamentari siano al centro dell’attenzione
di chicchessia. Il giudizio popolare, venato da un qualunquismo
purtroppo diffuso, può essere riassunto nella formula: “I
parlamentari? Dei privilegiati che hanno poco da fare e che
costano moltissimo”. Ribaltare questa immagine è compito arduo. Si
tratta di rivitalizzare una democrazia esangue dopo anni di
videocrazia. Qualche sommesso consiglio. Aprir bocca davanti ad
una telecamera per dare fiato, come spessissimo accade, piuttosto
che comunicare qualcosa di interessante va evitato.
Ogni tanto, piuttosto che un dibattito televisivo, si privilegi un
libro o una discussione nel territorio. Sgradevole l’uso
enfatizzato dell’auto blu con le sirene urlanti che attraversano
con il rosso. La sobrietà nei comportamenti dei rappresentanti del
popolo non dovrebbe essere l’eccezione, ma la regola. La politica
deve ritrovare un rapporto di rispetto con la gente comune e ciò
può essere ottenuto con il lavoro di molti cercando di capire
quanto in basso è arrivata la democrazia repubblicana. Bisogna che
anche nel centrosinistra maturi la questione del conflitto
d’interessi in tutti i suoi aspetti. E’ macroscopico per
Berlusconi, ma in Italia di conflitti d’interesse ve ne sono
moltissimi e riguardano molti. Ad esempio tutta la legislazione
sulle incompatibilità e sull’ineleggibilità alle cariche pubbliche
è una miniera di conflitti d’interesse. Le conseguenze sono
tragiche per il funzionamento della cosa pubblica. Pensate al
paradosso di due presidenti di regione, Formigoni e Galan, che
sono incompatibili con il ruolo di senatori, ma per intanto sono
stati eletti e a loro comodo sceglieranno se rimanere a Roma o
tornare a fare i presidenti. Un massacro istituzionale.
Si tratta di individuare le linee di una politica istituzionale
radicalmente diverse da quelle che hanno prevalso negli ultimi
quindici anni e che ha portato al mal funzionamento della cosa
pubblica.
E’ vero che nei cinque anni di governo la destra ha svilito
qualsiasi forma di autonomia ed il potere legislativo è stato
succube del volere del Capo dell’esecutivo. Decretazione e voti di
fiducia hanno impedito qualsiasi vera dialettica parlamentare. Di
fatto la divisione dei poteri tra esecutivi e legislativi è stata
in pratica annullata ad ogni livello istituzionale. Il problema
non è soltanto riconducibile al “cesarismo” di Berlusconi.
Decisive sono state anche le scelte istituzionali del
centrosinistra. Il presidenzialismo regionale è stato un aiutino
non da poco allo svuotamento delle competenze delle assemblee.
Ad esempio, un esame attento del movimento legislativo della
Regione dell’Umbria dimostrerebbe l’assoluta marginalità del
lavoro dell’assemblea regionale. Le competenze in capo ad un
consiglio comunale sono insignificanti per la vita dei cittadini.
Le cose sono complicate anche perchè nel senso comune di molta
della classe politica prevale una visione leaderistica della
democrazia. L’elezione diretta di sindaci e presidenti ha prodotto
una vera e propria feudalizzazione della rappresentanza con
conseguenze funeste nel rapporto tra politica e cittadini. La
scelta degli elettori sempre più piegata alle esigenze delle
carriere personali dei politici, siano essi grandi feudatari o
signorotti locali. Il voto di scambio si conferma un micidiale
veleno per la democrazia.
Che fare? Le cose sono molto complicate e il dato che segna questa
fase è quello di un’incertezza e di una precarietà istituzionale.
Berlusconi giovedì aveva assicurato che sabato sarebbe salito al
Colle per rassegnare le dimissioni. Ci ha ripensato. Lo farà
martedì. Per intanto, dopo la “guerriglia” al Senato ha
preannunciato lotta dura senza paura in Parlamento e nelle piazze
se il nuovo Presidente della Repubblica non sarà uno della rosa
che Forza Italia si appresta a presentare. Per dimostrare la Sua
benevolenza il primo nome della lista sarà quello di Gianni Letta,
persona degnissima che poi ha il pregio di essere il
Sottosegretario alla Presidenza del governo Berlusconi. Una vera
figura super partes. Contemporaneamente il cavaliere sconfitto
preannuncia altri ricorsi contro le elezioni truffa e continua a
non riconoscere la legittimità di un governo Prodi.
In democrazia i vuoti di potere sono pericolosi. Bisogna che chi
può e deve, acceleri per concludere la transizione tra Berlusconi
e Prodi. Fino al diciotto maggio Ciampi sarà Presidente della
Repubblica con pieni poteri. Insediati i presidenti di Camera e
Senato la quindicesima legislatura è iniziata. La legge elettorale
voluta da Berlusconi non prevede consultazioni di alcun tipo. Il
Presidente della Repubblica deve dare l’incarico al leader della
coalizione che ha vinto le elezioni, questo dice la legge. Meglio
applicarla nell’interesse del Paese.
Corriere dell’Umbria 1° Maggio 2006