Sobrietà  e impronte

Il segretario Fassino, riferendosi al comitato politico diessino convocato per le analisi della situazione politica dichiara: «Una riunione ottima. I Ds non sono affatto un partito allo sbando o nella bufera. Al contrario, siamo un gruppo dirigente solidale e consapevole dei passaggi delicati che abbiamo di fronte».
Par di sognare: le elezioni amministrative hanno visto la sconfitta netta del centrosinistra e come un sol uomo, gli ulivisti hanno gridato “Non c’è stata la spallata, abbiamo tenuto la provincia di Genova”. I giornali sono pieni di analisi e indagini sullo stato comatoso del governo Prodi e sul marasma attorno alla costruzione del Partito Democratico. Ma il Fassino è ottimista e consapevole dei passaggi delicati. Siamo a posto. Leader prestigiosi diessini sono sotto botta da settimane per le intercettazioni telefoniche concernenti l’affair Unipol, ma soltanto Prodi dichiara la sua stima e fiducia nei confronti di D’Alema e gli altri dirigenti interessati alla campagna stampa.
Il ciarliero Rutelli parla d’altro. I soci di governo e del futuro partito dei riformisti, non sembrano affatto disposti a concedere solidarietà  ai diessini massacrati dai rapporti con il Signor Rigucci. Che appeal avrà  un partito dove non esiste la minima solidarietà , ma solo la guerra all’interno del quartier generale? Come sarà  possibile convivere in un partito dove le disgrazie dell’uno sono le fortune dell’altro? Sarebbe una tragedia per la democrazia, ma se si continua così il PD rischia di essere un partito composto da tanti partiti personali senza alcuna intelligenza collettiva.
Non ne azzeccano una. A mio sommesso parere il grave errore commesso dai DS sulla questione “mondo della cooperazione” è stato quello di non rivendicare una storia centenaria di appartenenza alla vita del movimento operaio. E’ noto a tutti che per decenni c’è stata una circolazione di dirigenti dal partito al movimento e viceversa. Ultimo banale esempio proprio qui in Umbria: un sindaco scaduto che passa a lavorare alla Coop Umbria. Che la politica non debba interessarsi dell’economia è una fesseria ideologica e come tale deve essere combattuta. Ciò che un partito non può fare è compiere atti che aiutano un soggetto sociale rispetto ad un altro magari forzando le leggi. E’ la trasparenza che è mancata. L’aver rimosso una storia di sacrifici e lotte come quella della sinistra italiana e dello stesso movimento cooperativo, rosso o bianco che fosse, è stato un grave errore politico. Questo errore, unito ad una forma di arroganza stile new
rich, non aiuta ad avere una buona immagine alla sinistra riformista.
Nelle limitate e personali indagini tra gli elettori che conosco, la prima critica che sento fare è proprio quella rispetto all’atteggiamento altezzoso di tanti amministratori e dirigenti politici. La cosa è ancora più irritante, quando  si tratta di persone che sono destinate(parafrasando Brancati) a lasciare nella storia soltanto l’impronta del proprio di dietro sulla poltrona occupata per decenni. Non so se il vecchio motto andreottiano che sosteneva che il potere logora chi non c’è l’ha è ancora valido.
Certo è che il prepotere è qualcosa che alla lunga distrugge chi lo esercita. Forse un’attenta analisi del perchè il centrosinistra sia stato sconfitto a Todi confermerebbe questa mia impressione. Un’impressione che ovviamente non riguarda solo Todi.
E’ forse mutata l’idea che la caratteristica del buon governo sia la garanzia delle amministrazioni della sinistra e del centrosinistra in genere? Nel voto ha certamente giocato il pessimo giudizio sul lavoro del governo centrale, ma forse incide anche un’insoddisfazione sul come sono state amministrate dall’Unione le città . Si è allargata l’area della protesta contro un ceto politico intollerabilmente immutabile. Non so come e chi lo potrà  gridare, ma “il tutti a casa” è nell’aria che si respira tra la gente. Gravissimo sarebbe se la sinistra non avvertisse questo stato d’animo.
La destra ha ragione di gioire per la vittoria elettorale, ne ha meno quando vuol imporre elezioni politiche subito. Berlusconi dal 2001 al 2006 ha perso tutte le elezioni e non si è mosso da Palazzo Chigi, nonostante sondaggi sfavorevoli e voti disastrosi.
La democrazia ha regole che valgono anche per i miliardari e per i proprietari di partiti politici. Spetta al presidente Napolitano e a Lui solo, decidere se esiste in Parlamento una maggioranza capace di governare. L’Unione ha avuto un mandato per amministrare il Paese per cinque anni. Nè i family day nè le sparate leghiste possono mutare questo mandato. Certo Prodi si deve dare una mossa. E si devono dare una mossa tutti i partiti dell’Unione nel cercare di recuperare credibilità  e fiducia nel popolo. Un popolo che continua ad essere colpito duramente dalla crisi economica e che osserva indignato lo spettacolo di una classe dirigente (non solo politica) che sembra incapace di invertire la tendenza all’impoverimento dei singoli e del Paese. Una classe dirigente che non mette in discussione alcuno dei propri privilegi. Vi è chiaro o no che bisogna operare una svolta radicale rispetto ad una politica che produce posti di lavoro soltanto per sodali e amici di partito, di letto o di salotto? Quando un consigliere di circoscrizione di Roma guadagna più di un ricercatore all’università , è un disastro per la democrazia.
Continuare con un turismo amministrativo costosissimo mascherandolo con esigenze di conquista dei mercati nel mondo globalizzato, è buttar via soldi pubblici sia che siano di competenza del bilancio regionale, della Camera di Commercio, della Sviluppumbria o dell’Università .
Spesso è come andare a vendere frigoriferi in Alaska. Sobrietà  vo cercando.

Dall’improvvisazione all’incompetenza

Dall’immaginazione all’improvvisazione. I giovani studenti nel mitico sessantotto avevano uno slogan bellissimo: “l’immaginazione al potere”. Nei malinconici  anni novanta e ancora più negli anni duemila, ci hanno abituato a vedere al potere dei leader che hanno come orizzonte quello dell’improvvisazione che spesso si trasforma in incompetenza.
Si potrebbero scrivere libri, e alcuni ne sono stati scritti, attorno al disastro provocato negli ultimi quindici anni, dalla politica istituzionale voluta dai riformisti di ogni colore.
E’ accertato: la democrazia italiana è malata, la politica sembra un ectoplasma incomprensibile ai comuni mortali. Due esempi. Il primo riguarda una riunione svolta dal Ministro per gli Affari  Regionali, Linda Lanzillotta con i rappresentanti di regioni, comuni e province. Il Ministro ha proposto: riduzione di 283 consiglieri regionali, riduzione del 25% dei consiglieri comunali e provinciali, abolizione delle Comunità  Montane sotto i 900 metri di altitudine. Per  le circoscrizioni dei comuni sotto i 500 mila abitanti, gratuità  dell’incarico. I rappresentanti delle regioni hanno duramente contestato l’impostazione: “Niente imposizioni dall’alto”, hanno gridato all’unisono. Il Ministro Lanzillotta, felicemente coniugata con l’ex ministro Bassanini estensore di tante leggi istituzionali, si è dimenticata che le modifiche apportate, scelleratamente, dal centrosinistra nel 2001 al Titolo quinto della Costituzione, rendono autonome e con potere statutario, le regioni e tutte le autonomie locali.
Soltanto due anni fa, in Umbria, in occasione della discussione sullo statuto regionale, una maggioranza trasversale voleva portare a 45, tra consiglio e giunta, i membri del consiglio regionale. Non se ne fece niente per vari motivi. Ci si accontentò del presidenzialismo. Al di là  delle competenze, hanno un senso le proposte del governo in tema di tagli alla spesa per il funzionamento della macchina pubblica? Che sia ormai intollerabile la quantità  di addetti ai lavori nelle istituzioni è cosa certa. Ed è appurato che è esplosa l’ambizione di entrare nel ceto politico per ragioni di carriera e per i livelli retributivi ottenibili. La lotta fratricida in occasione di qualsiasi tipo di elezione, anche per divenire consigliere di circoscrizione, è sotto gli occhi di tutti. In un articolo, Valentino Parlato,scrive:”Ad Angri, un comune campano, di poco più di 30mila abitanti, sono state presentate 20 (venti) liste e 400 (quattrocento) candidati. La politica come “casta”, attrae moltissimo”. Prevedere per legge nazionale la gratuità  di alcune fattispecie di incarico pubblico aiuterebbe ad evitare la ressa e ridarebbe alla politica la caratteristica di servizio che dovrebbe avere. Ma il problema è ancora più complesso. L’elezione diretta di sindaci e presidenti ha reso le assemblee, di ogni livello, organismi privi di reale potere. Un consigliere comunale o regionale non è chiamato a grandi impegni. Il potere è concentrato nel vertice politico e l’amministrazione è assicurata dagli apparati burocratici. Non è così? Chi dice il contrario dice una balla. Per riformare la politica si deve certo tagliare ogni spesa volta al privilegio di casta, ma ancor più importante è ridare forza e potere ai luoghi della rappresentanza. Il taglio del numero dei parlamentari può avere un significato positivo se si diversificano le competenze tra Senato e Camera e si va oltre la teoria della governabilità  intesa come decisionismo di pochi contro il potere legislativo. Il parlamento non è necessariamente un aula “sorda e grigia”.
Il secondo esempio, che ricorda la capacità  di improvvisazione di Prodi e riformisti in genere, è quella del concreto svolgersi della costruzione del partito democratico. Dire, come ha detto Prodi, che il nuovo partito dovrà  essere quello che Lui vuole o non sarà , non può che preoccupare. Forza Italia è di proprietà  del Cavaliere, ma ciò è comprensibile. I soldi sono suoi. Se ho capito bene il Partito Democratico dovrebbe essere qualcosa di diverso, più democraticamente gestito e frutto di una profonda immersione nella società . Forse ho capito male, ma mi sembra che più che una fusione tra gruppi dirigenti, il PD sarà  una pentola in perpetua ebollizione come risultato del mettere insieme le divisioni all’interno di DS e Margherita senza attrarre alcun altra energia.
Al di là  del pessimo risultato elettorale nelle ultime amministrative che richiederebbe qualche attimo di attenzione a tutta l’Unione, i diesse e i margheritini non sembrano in grado di andare oltre le beghe interne attinenti gli organigrammi futuri.
Dopo la scelta dei 45 gestori della fase costituente il Partito Democratico, è esplosa la questione della leadership. Non c’è accordo su niente. Soltanto Fassino continua a giurare sulla chiarezza dei processi in atto. Si è capito poco perchè, con un governo così fragile, si sia voluto accelerare un percorso che oggettivamente provoca tensioni tra i diversi aspiranti al “trono”. Amici riformisti, avete avuto cinque anni di opposizione alla destra berlusconiana, perchè non ci avete pensato prima a costruire questo nuovo partito? Non avete capito che con una coalizione rissosa e articolata come quella dell’Unione, con un risultato elettorale scadente alle elezioni politiche, l’impegno doveva essere principalmente volto a ben governare in un rapporto vero con i cittadini.
Non mi sembra che questo sia avvenuto, avete invece continuato nelle vostre recite televisive.

Nostalgie

Negli anni ’60, ’70 e ’80 c’erano le mitiche regioni rosse. Sindaci che divennero leggendari per la loro intelligenza innovativa, ma anche per la grande sobrietà . Il sindaco di Bologna, Dozza, usava andare in ufficio in bicicletta. Ilvano Rasimelli, presidente della provincia di Perugia, rifiutava di andare in giro in auto blu, preferiva la sua vecchia Citroen. Il sindaco di Torino, Novelli avvertito di un comportamento scorretto di un assessore, lo denunciò alla magistratura senza timori. L’amministrare era inteso come un servizio che doveva servire a cambiare lo stato di cose esistente nella trasparenza e in un rapporto continuo con gli amministrati. E le cose venivano cambiate. Università  americane studiavano le ragioni del successo dei comunisti in un Paese, l’Italia, governato da decenni dalla democrazia cristiana, ma che aveva i suoi punti di eccellenza amministrativa in aree dove il PCI guidava comuni e regioni spesso assieme al PSI. Gli asili nido dell’Emilia Romagna portati ad esempio nei giornali americani assieme alla vivibilità  delle città  di quella regione. La nuova psichiatria anglosassone di Laing e Cooper  si confrontava con quanto si elaborava in Umbria, a Parma o a Triste: gli amministratori erano tutti della sinistra comunista e socialista. La chiusura dei manicomi fu intesa come l’apertura di un nuovo modo di affrontare il disagio e la sofferenza, ma anche come sforzo di innovazione generale della società  italiana.
Il buon governo era l’orgoglio del popolo della sinistra. Oggi siamo al disastro della Campania sommersa dai rifiuti. Governata da 15 anni dal centrosinistra, quella regione rischia di essere l’emblema di un fallimento storico, una parabola sconvolgente per chi ha qualche anno sulle spalle ed ha votato sempre a sinistra.
Pagine e pagine di giornali trattano dell’antipolitica montante nel Paese. Il ministro D’Alema ha lanciato l’allarme e tutti, intellettuali e politici, hanno concordato sul fatto che bisogna fare qualcosa per cercare di ricreare un rapporto tra le istituzioni e il popolo. Quando in un sondaggio il settanta per cento degli intervistati dichiara di non apprezzare nè il Parlamento nè il governo il problema è drammaticamente serio. Ed è pesante il fatto che il mega presidente Montezemolo all’assemblea di Confindustria dice: “politica in crisi, serve un governo dei migliori”. Qualche brivido è legittimo. Chi sceglie i migliori? Chi sono i migliori? Che la politica sia in crisi è vero ed è vero che una parte delle imprese italiane hanno saputo competere nei mercati globalizzati. Ma gli ultimi dati dell’ISTAT, diffusi ventiquattro ore prima del comizio di Montezemolo, hanno confermato l’inadeguatezza del sistema industriale italiano e dell’assenza di imprese italiane in settori strategici. Si è investito molto per ridurre i costi e si è investito pochissimo per l’innovazione di prodotto. Il lavoro italiano è il peggio pagato nella Comunità  europea e tutto l’aumento di produttività  è andato ai profitti. Certo non tutto il lavoro è sottopagato. Un top manager può essere liquidato, se lascia un incarico, spesso con qualche milione di Euro. Lo stipendio di qualche manager pubblico o privato raggiunge cifre ragguardevoli, ma in genere la ripresa vantata dagli industriali non ha spostato di una virgola le condizioni dei lavoratori e dei pensionati.
Il governo Prodi rimane in mezzo ai guai. Gli industriali rivendicano esclusivamente a loro il miglioramento della situazione economica, le organizzazioni sindacali preannunciano agitazioni e scioperi per il ritardo del governo sul rinnovo dei contratti di lavoro. Plasticamente le reazioni all’attacco confindustriale, confermano la diaspora all’interno dell’Unione. Il prode Fassino, apprezzando la frustata, si schiaccia sul presidente della Confindustria, della Ferrari, della Fiat, della Frau, della Fieg ecc.ecc.. il ministro Padoa Schioppa sprizza entusiasmo, Bertinoti irritato non commenta, Rutelli condivide con qualche ma, D’Alema non apprezza, Veltroni ascolta e sollecita più attenzione verso gli ultimi, Mastella gradisce assieme a Dini. E Prodi? Enigmatico dice: “si commenta da solo”.
Tempi difficili insomma, l’economia e il mercato si stanno mangiando la buona politica e quel che rimane è un balbettio della politica sottoposta ad un attacco da cui non riesce a sollevarsi perchè da anni domina un ceto politico che ha come ambizione principale il proprio perpetuarsi.
Per fortuna che arriva il Partito Democratico e tutto sarà  più chiaro, ci siamo detti senza ironia e con fiducia. Poi, arriva la formazione del Comitato deputato a stabilire i criteri per dare vita alla Assemblea Costituente del nuovo partito. Gli annunci erano tutti volti a tranquillizzare. Non si tratta di una fusione dei gruppi dirigenti, ma di qualcosa volta ad innovare la politica. Sono quarantacinque i saggi scelti da Fassino, Rutelli e Prodi. Quindici per uno. L’apparaticiki ben presenti. Sottorappresentato il nord d’Italia, la presenza femminile non enfatizzata, le organizzazioni della società  civile marginalizzate. Non è un grande inizio.

Autoparco

Il presidente Prodi ha festeggiato un anno di governo. Nel fare il bilancio dell’attività  svolta, Prodi si è riconosciuto molti meriti e un solo limite: quello della scadente comunicazione delle buone cose fatte. A questo imputa la scarsa popolarità  del suo governo. Sarà  anche così, ma la sensazione parlando con la gente, specialmente con l’elettore dell’Unione, è di un grande disagio e di una forte insoddisfazione per quanto i governanti hanno fatto in questo anno di governo. La delusione nasce dalle condizioni materiali non mutate nel dopo Berlusconi per gran parte della gente, ma anche dalla incapacità  di Prodi e del suo esercito di ministri e sottosegretari nel coinvolgere il popolo nelle scelte piccole o grandi che fossero. Cosa che non sarebbe costata nemmeno un Euro. Ma impegnati nella costruzione del partito democratico, diessini e margheritini hanno continuato nelle loro performance televisive e nelle loro consuete beghe, indifferenti alle critiche che montavano nell’opinione pubblica. Mastella ottimo ministro della giustizia minaccia catastrofi e forte del suo due per cento di voti, chiede ogni giorno una verifica di governo. Tiene famiglia, Mastella, e pretende rassicurazioni per il futuro. Rutelli continua a fare il Rutelli dai granitici e certi principi. Fassino, tra un pianto e un altro, rassicura che tutto il gruppo dirigente del PD verrà  deciso attraverso le primarie e la fila dei pretendenti già  comincia ad allungarsi.
Ministri che si precipitano a manifestazioni contro atti votati dal consiglio dei ministri per obbedienza alla crociata di una parte della gerarchia cattolica. La sinistra appare frastornata dagli eventi.
Il risultato è un distacco abissale tra il mondo della politica e quello dei comuni mortali. Pietro Citati scrive un articolo per Repubblica titolato: “L’odio per i politici”. Il best seller di queste settimane non è un libro di Andrea Camilleri o di Umberto Eco, ma un libro di Gian Antonio Stella che si chiama: “La Casta”. Uno scritto che descrivere i privilegi di chi vive di politica. Lettura sconsolante.
Prodi, nel suo bilancio, poteva ricordare un record italico confermato anche per quest’anno di suo governo.
Il numero delle auto blu. La pubblica amministrazione da un contributo essenziale alla vendita di auto. Negli ultimi due anni lo Stato ne ha triplicato il numero. In tutte le articolazioni della struttura, l’amministrazione pubblica possiede 574215 (cinquecentosettantaquattromiladuecentoquindici) automobili.
Costo di funzionamento circa 19 miliardi di Euro. Un bel tesoretto non c’è che dire. Lo sapete quante auto blu circolano negli Stati Uniti (popolazione 300 milioni)? Settantatremila. E in Francia (popolazione 60 milioni)? Sessantacinquemila.
E’ qualunquismo affrontare questi temi? Non si pone l’esigenza di una riforma radicale della spesa pubblica e della sua moralizzazione?
Tornato dalle meditazioni svolte nel monte Atos, Bertinotti ha scoperto che in Italia c’è il problema del costo della politica. Il segretario del PRC denuncia l’elevato numero degli stipendiati dalla politica e promette iniziative adeguate. Aspettiamo con fiducia. La sinistra ha un’esigenza straordinaria di caratterizzare la sua azione anche partendo dall’analisi delle ragioni del malessere presente nel popolo. E’ accertato che uno dei motivi che allontanano giovani e vecchi dalla politica, è il comportamento del ceto politico per ciò che concerne il carrierismo e la feudalizzazione del potere con i suoi clientes e vassalli da premiare e salvaguardare nei propri privilegi e incarichi.
In tutto ciò parte del ceto politico della sinistra c’è a pieno titolo e la lotta per l’occupazione di posti al sole vede in campo in molte occasioni anche la sinistra. Anche la sinistra è responsabile dell’espansione del meccanismo che allarga gli addetti a tempo pieno della politica stipendiata.
La nuova aggregazione che i vari pezzi della sinistra stanno faticosamente cercando di costruire, dovrà  necessariamente caratterizzarsi per una radicale riscoperta della politica come servizio alla comunità . Un bel possibile slogan? La politica come impegno per migliorare le condizioni del popolo a prescindere dalle prebende che si possono ottenere. La difesa degli interessi delle varie comunità  avviene spesso rivendicando pezzi di struttura e di spesa pubblica. A volte questo è legittimo altre volte, molte altre volte, la difesa di un ente pubblico è sollecitata per interesse di un ceto politico affetto da bulimia e con una tendenza irrefrenabile ad essere invasivo.
Il processo di entificazione dei problemi è in corso da decenni e sarà  difficile invertire la tendenza alla conquista di un territorio attraverso l’insediamento di una struttura pubblica. Bisogna almeno provarci a cambiare lo stato di cose esistente. Se si vuole rinsanguare una democrazia sempre più flebile, è necessario riqualificare la spesa pubblica smantellando ciò che non è più necessario al buon funzionamento della società .
Per intanto non si potrebbe andare avanti con la riforma degli enti inutili? L’elenco è lungo.

Tramonto riformista

Un tramonto di quelli tristi in cui il sole è avvolto da nubi pesanti che intristiscono. Triste immagine che rimanda alla guerra in Iraq accettata dal Parlamento Inglese grazie alle bugie del leader sulle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein.
Ha avuto queste caratteristiche il crepuscolo di Tony Blair.
Leader incontrastato degli ultimi 13 anni del New Labour ha annunciato giovedì le sue dimissioni per il 27 di giugno.
Uscendo di scena Tony Blair ha tra l’altro dichiarato: “Questo nostro paese è benedetto, gli inglesi sono speciali. Il mondo intero lo sa. Questa è la più grande nazione della terra. Ed è stato un onore servirla”. Lo sciovinismo del premier è coerente con la sua visione del mondo e con la politica che ha portato avanti il suo governo nei passati dieci anni. Una politica che deve essere indagata considerando l’appeal che il leader inglese ha avuto ed ha presso gran parte dei riformisti italiani, sia di destra che di centro che di sinistra. Berlusconi, Amato, Fassino e Casini sono stati tutti ammiratori appassionati del blairismo. Sarebbe angosciante che come sta succedendo per il berlusconismo, anche il blairismo continuasse a rappresentare l’orizzonte della politica italiana anche per il futuro.
E’ quello del New Labour il modello di riformismo cui deve far riferimento il centrosinistra italiano?
Dal punto di vista delle politiche economiche il bilancio di dieci anni di governo di Blair si presenta come molto problematico.
“The Economist”, la bibbia del liberismo, riconosce che il reddito è distribuito in Inghilterra in modo più ingiusto che in ogni altro Paese ricco, eccetto l’America. L’Inghilterra è in Europa, tra i Paesi a più alto tasso di povertà . Negli anni di Blair la mobilità  sociale è diminuita. Era migliore ai tempi della lady di ferro. Soltanto un terzo dei lavoratori inglesi può contare su un lavoro stabile. La precarietà  domina il mercato del lavoro. Il leggendario NHS, il servizio sanitario, dopo le privatizzazioni blairiane è diventato un colabrodo. Consiglio, a chi protesta per le liste di attesa del nostro Silvestrini, di domandare a qualche amico inglese quale è la situazione negli ospedali britannici. Risulterà  che la sanità  umbra è una macchina da guerra rispetto al servizio sanitario della grande Inghilterra. A mio sommesso parere la “Blair’revolution” è stata figlia del thacherismo e non di una sinistra riformata.
La parola riformismo è così generica che ognuno la più aggettivare come vuole, ma certo se il modello di Prodi e Fassino rimane Blair, difficilmente il centrosinistra potrà  contare su un grande sostegno popolare. Ci dicono: ma Blair ha vinto per tre volte consecutive! Ed è vero, ma sapete che nelle elezioni del 2005 il New Labour ottenne la maggioranza sul 20% (non è un errore di stampa) del corpo elettorale? La crisi dei conservatori produsse un’astensione di massa di tale ampiezza da permettere ai laburisti di rivincere pur perdendo milioni di elettori. Infatti, tornando in campo il partito Tory, le sconfitte elettorali per il New Labour non fanno più notizia. Da ultimo hanno perso la Scozia che sarebbe, paragonato alla nostra situazione, come se i diesse perdessero l’Emilia Romagna.
Lavorare ad altri orizzonti rispetto al riformismo ambiguo di Blair sarebbe utile sia ai costruttori del Partito Democratico che, la cosa è ovviamente scontata, a coloro che sono impegnati a ricomporre una sinistra credibile.
Sono processi che devono essere accelerati e devono verificarsi nell’azione di governo, ma anche nella società .
Cosa non facile, ma non impossibile se si riesce a sfuggire dagli interessi di partito e principalmente da una visione ragionieristica del governo del Paese. Il buon governo, di cui era orgogliosa la sinistra, non è più sufficiente per risolvere i problemi e la politica non può rimanere a rimorchio di ciò che decide il mercato.
Prodi rivendica giustamente il risanamento dei conti pubblici. Una rigorosa politica di bilancio era necessaria dopo l’allegra gestione dei conti del ministro Tremonti. Ma sbaglierebbe Prodi se pensasse che basta risanare per far uscire il Paese dallo stato di precarietà  in cui si trova. Larghi strati del mondo del lavoro hanno subito un radicale ridimensionamento del proprio tenore di vita. Le aspettative per il futuro delle nuove generazioni non sono positive. Precarietà  e marginalizzazione del mondo del lavoro aggravano il distacco dei cittadini dalla politica attiva. Sia il nuovo partito democratico che la nuova sinistra non possono che lavorare a ricomporre questo distacco se vogliono continuare a governare.
E’ cosa buona che le forze che dirigono la giunta regionale abbiano confermato la volontà  di procedere alle riforme della struttura amministrativa sub regionale. Problema urgente e difficile.
Un consiglio che può apparire una provocazione. Il volontariato è molto apprezzato e praticato da giovani e meno giovani. Esso riguarda molti settori ed è di grande utilità  per la tenuta sociale della nostra regione. E’ proprio impossibile rilanciare il lavoro volontario nell’azione politica? Non è possibile rendere alcuni incarichi nella gestione pubblica di enti e strutture come un servizio alla comunità  che i cittadini rendono gratuitamente?
La democrazia italiana è riuscita a consolidarsi nel dopoguerra grazie al lavoro volontario di tanti umili e meno umili cittadini. I bistrattati partiti di massa potevano vivere grazie al volontariato e grazie ai sacrifici di tanti dirigenti impegnati, per quattro soldi, nel lavoro di partito, in quello delle organizzazioni di massa e in quello amministrativo.
Non dico di tornare ai tempi in cui un assessore comunale non aveva alcun compenso, ma tra allora e oggi si è esagerato nelle prebende. O no?