Meglio “molleggiare” che galleggiare

Lo spettacolo televisivo di maggior successo di pubblico e di
critica sono state le quattro serate di Adriano Cementano e del
suo “RockPolitik”. Si può giudicare come si vuole il lavoro degli
ideatori dello show, ma certamente esso è stata la dimostrazione
di come anche la politica può attrarre l’attenzione delle masse
televisive senza dover usare scollacciate veline e volgarità varie
per fare un ottimo share. L’agorà del “molleggiato” si è
dimostrata più attraente del cabaret di Bruno Vespa. E
incredibilmente anche parlare di valori, di etica e di una
politica fatta come servizio e non come carriera sembra essere
apprezzato. “RockPolitik” ha dimostrato che anche i televisionati
preferiscono un buon professionista dello spettacolo che parla di
politica ad un politico che si trasforma in “macchietta”
televisiva.
L’evento politico più rilevante degli ultimi mesi non sono state
le dichiarazioni di Rutelli, Berlusconi o Fassino, ma la
partecipazione di massa in occasione delle primarie indette senza
alcuna convinzione dall’Unione. Il popolo del centro sinistra
(soltanto?) ha suonato la sveglia: ci siamo anche noi e non
soltanto il ceto politico a decidere candidati, liste e programmi.
Cari generali senza esercito, non è affar vostro soltanto decidere
le strategie per sconfiggere la deriva berlusconiana. Questo è
stato detto ai leader politici con grande tranquillità e
determinazione dagli oltre quattro milioni di partecipanti al voto
del 16 ottobre.
L’esigenza della partecipazione popolare alla politica non è
eludibile in una fase di forti incertezze e di angoscianti
interrogativi sul futuro di tanta parte del Paese.
L’Italia è una strana comunità che, nonostante decenni di
mediocrità della vita politica, mantiene una estesa sensibilità
democratica. Straordinari momenti, come la grandissima
mobilitazione dei giovani calabresi per la legalità, si mescolano
a piccoli episodi che dimostrano la voglia di parlare di politica.
Organizzato da Micropolis, nella sede di Segno Critico, venerdì è
stato presentato a Perugia un libro del Professor Renato Covino.
Si tratta di un saggio titolato “Gli equilibristi sulla palude”.
Essendo stato, in una lontana fase della mia vita, uno degli
“equilibristi”, sono stato invitato alla discussione. La tesi di
Covino è molto radicale:”L’Umbria è uscita dalla povertà e
dall’arretratezza grazie alla politica e all’intervento pubblico”.
Se è vero questo la conseguenza da trarre è che senza una politica
forte e senza una democrazia organizzata, gli attuali problemi
della nostra terra non potranno essere risolti. La gestione
dell’esistente non basterà ad uscire dalla crisi innegabile della
struttura economica e dal certo ridimensionamento dell’intervento
pubblico imposto dalla finanziaria di Tremonti e Berlusconi.
La discussione attorno al saggio di Covino è stata interessante,
ma la cosa che più colpiva in molti interventi, è stata la
pressante richiesta di costruire sedi di discussione politica.
Molti dei partecipanti erano “cani sciolti”, ma molti erano
dirigenti di partiti della sinistra e del sindacato che,
evidentemente, non riescono a trovare nella vita politica
quotidiana della loro organizzazione risposta all’esigenza di
partecipazione.
L’impoverimento della vita democratica dei partiti è cosa nota ed
è grave in assoluto. Diviene una tragedia per una comunità come la
nostra che ha costruito la sua identità grazie ad uno sforzo
soggettivo della classe dirigente politica dei decenni trascorsi.
Di cosa ci sarebbe bisogno? Intanto c’è l’urgenza di un discorso
di verità. Dire come stanno le cose e i rischi che si corrono è
obbligatorio.
E’ utopistico sperare che, nonostante la campagna elettorale già
in atto, si riesca ad organizzare una discussione attorno ai nodi
strutturali della nostra regione? Anche alla luce dei processi
finanziari nazionali, non è tempo di riconsiderare le priorità e
le metodologie del Patto per lo Sviluppo? La scelta strategica
delle privatizzazioni deve essere confermata nonostante i
fallimenti delle cartolarizzazioni tremontiane o è tempo di
riconsiderare la qualità dell’intervento pubblico in alcuni
settori?
Non credo che possa essere indifferente alle forze sociali umbre
il ridimensionamento del welfare locale. La crisi della spesa
pubblica non è cosa che riguarda il ceto politico. Ma è il ceto
politico che deve trovare il mondo di organizzare una discussione
di massa che riesca a mobilitare le forze vive della comunità in
difesa dei servizi pubblici. Da questo punto di vista il sindacato
farà sentire la sua voce. Batta un colpo, La cosa sarà certamente
apprezzata.
Avere meno risorse per delle scelte innovative non è cosa che
riguarda soltanto gli amministratori. Se le vivaci forze
imprenditoriali della regione hanno qualcosa da dire al riguardo è
tempo che lo facciano. Chi la organizza questa fase di
discussione? Dovrebbero essere gli addetti ai lavori ad andare
oltre la normale amministrazione o dal galleggiamento che dir si
voglia, impegnando le proprie energie verso un rapporto più
diretto con le masse amministrate.
Sarebbe l’occasione per far uscire dalla segreta stanza i
dirigenti politici dei partiti. Certamente essi saranno afflitti
dalla gestione delle liste elettorali. Consiglieri di non
affaticarsi più di tanto. Conoscendo come va il mondo possono
essere meno preoccupati. Le oligarchie romane sono già al lavoro
nell’ingrato compito di scegliere, dopo attenta ripartizione, i
candidati per la prossima tenzone elettorale. Una bella campagna
di informazione nel territorio farebbe bene al loro prestigio e
migliorerebbe il loro rapporto con le masse.
Corriere dell’Umbria 13 novembre 2005

Più valore al lavoro

Cosa sarebbe la nostra vita senza le battute del cavalier Berlusconi?
Una noia. La settimana si chiude con questa sua dichiarazione: “Gli
italiani devono lavorare di più e più a lungo. In pensione non prima
dei sessantotto anni”. E’ noto che l’età  pensionabile italiana è
vicina alla media europea e quanto a capacità  lavorativa il nostro è
un popolo apprezzato per creatività  e impegno in tutto il mondo.
L’INPS presenta un avanzo nei conti per il 2004 di oltre cinque
miliardi di euro? Per il capo del governo non basta. Il lavoro
nobilita l’Uomo? E allora allunghiamo gli orari di lavoro e andiamo
in quiescenza più tardi possibile. Sai che gioia per coloro che hanno
cominciato a lavorare a sedici anni o per il giovane in attesa di un
primo lavoro stabile dopo cento lavori “flessibili” e mal pagati.
Il problema, non solo italiano, è che il “lavoro” ha perso di
importanza, vale sempre meno. Basta esaminare i dati della
ripartizione della ricchezza e si vedrà  che negli ultimi venti anni
la quota di beni che va ai redditi da lavoro (in tutte le sue forme)
si è ridotta in maniera consistente a vantaggio delle rendite e dei
profitti. Questo tema non sembra essere nell’agenda della politica.
Soltanto pochi dirigenti politici affrontano il problema e quando lo
fanno non riescono a indicare soluzioni credibili. Eppure senza un
recupero del potere d’acquisto dei lavoratori e dei pensionanti
l’aumento dei consumi non potrà  avvenire; con tutto ciò che consegue
per la crisi della nostra economia. Sarebbe forse utile una
discussione seria sul come tornare a legare l’aumento della
produttività  del lavoro con recuperi salariali. Gli stessi tagli alla
spesa pubblica per il sociale, previsti nella finanziaria in
discussione in Parlamento, sono traducibili in una diminuzione delle
condizioni materiali della maggioranza dei lavoratori.
In questa stagione della politica si parla d’altro. Berlusconi
continua con le sue boutade e gli unionisti di Prodi sembrano poco
interessati ad argomenti ostici come quelli della crisi economica o
quando lo affrontano restano ancorati a una sloganistica liberista
ininfluente negli orientamenti della gente. Si entusiasmano nella
scelta dei candidati per le prossime elezioni a Milano o in Sicilia.
Il cemento dell’antiberlusconismo ha funzionato alle primarie?
Funzionerà  anche alle elezioni politiche. E’ probabile, ma rimane il
fatto che almeno alcuni nodi programmatici devono essere risolti
prima delle elezioni. Uno dei problemi decisivi per il nostro Paese è
quello della caduta di fiducia nel futuro non solo dei giovani
precarizzati, ma anche di coloro che hanno un lavoro o una pensione.
Anche l’aumento dei risparmi bancari delle famiglie segnala questo
dato di incertezza. Per la politica del centrosinistra è vitale
trovare una piattaforma di valori e idee che aiutino a recuperare la
speranza per il domani. Non libri di sogni, a quelli ha pensato
Berlusconi, ma proposte che diano il senso di un cammino possibile.
Invece l’obbiettivo che i leader hanno sembra essere quello di essere
presenti, con la cravatta giusta, ogni volta che c’è una telecamera
in agguato o un giornalista in vena di interviste.
La voglia di far parlare di sè è tale che l’enfasi ciarliera
aumenterà  via, via che la scadenza elettorale si avvicina.
Dichiarazione dopo dichiarazione, spot dopo spot, il quadro del Paese
non migliora, ma in compenso i giornali sanno di cosa scrivere.
Lo dicono tutti:l’immagine è tutto per conquistare il potere.
Sono molti anni ormai che la televisione ha fagocitato la politica.
Quello che non appare in televisione non esiste e quindi non è utile
alla carriera. Così viviamo in una realtà  virtuale in cui la
discussione politica si piega alle esigenze dello spettacolo.
Esperti e scienziati si interrogano su quanto incide negli
orientamenti dell’elettorato uno spettacolo di satira televisiva.
Celentano, nuovo guru della politica, è utile all’Ulivo o no? Serve
l’arte di Benigni a battere il berlusconismo? In tutti i giornali che
contano sono state scritte al riguardo pagine su pagine. La disputa
non è stata risolta. Una discussione che sembrerebbe paradossale ad
un osservatore non italiano ma che suscita grandi passioni nei
salotti televisivi gremiti da politici di ogni colore. Il ceto
politico sembra incapace di una autonoma capacità  di analisi e di
proposta.
Ad esempio, addetti ai lavori a parte, chi riesce a capire nella
nostra regione quali sono le priorità  che si presentano ad una
comunità  che rischia molto dalla crisi della spesa pubblica? Il
sistema che ha consentito una tenuta sociale invidiabile non
funzionerà  più anche a causa di un debito pubblico che impone un
ridimensionamento dell’intervento pubblico. In quale sede politica si
è aperta una discussione non propagandistica su questo tema. La
destra continua ad esprimere valutazioni che dimostrano una completa
ignoranza della realtà  regionale. Dire che la finanziaria di Tremonti
funzionerà  perchè taglia soltanto gli sprechi dei governi locali dei
“comunisti” è una sciocchezza e come tale va valutata. I tagli agli
stanziamenti per i servizi gestiti da comuni e dalla Regione sono un
colpo micidiale alle condizioni di vita di moltissimi umbri. Essi si
vedranno costretti ad una peggiore assistenza sanitaria e ad un
drammatico ridimensionamento di ogni forma di sostegno sociale.
D’altra parte presentare, come fa il centrosinistra, la realtà  umbra
come realtà  saggiamente gestita che non abbisogna di innovazioni e di
rigore non corrisponde al vero. E’ una forzatura propagandistica.
Antiche debolezze strutturali di una piccola comunità  tornano a
pesare sul futuro senza che il dibattito politico in Umbria esca
dalle beghe di “palazzo”. Una dichiarazione in meno e un’analisi in
più aiuterebbe a capire dove e come impegnare partiti e istituzioni.
Un salto di qualità  nella polemica politica sembrerebbe opportuno.
Corriere dell’Umbria 6 novembre 2005

Più valore al lavoro

Cosa sarebbe la nostra vita senza le battute del cavalier Berlusconi?
Una noia. La settimana si chiude con questa sua dichiarazione: “Gli
italiani devono lavorare di più e più a lungo. In pensione non prima
dei sessantotto anni”. E’ noto che l’età pensionabile italiana è
vicina alla media europea e quanto a capacità lavorativa il nostro è
un popolo apprezzato per creatività e impegno in tutto il mondo.
L’INPS presenta un avanzo nei conti per il 2004 di oltre cinque
miliardi di euro? Per il capo del governo non basta. Il lavoro
nobilita l’Uomo? E allora allunghiamo gli orari di lavoro e andiamo
in quiescenza più tardi possibile. Sai che gioia per coloro che hanno
cominciato a lavorare a sedici anni o per il giovane in attesa di un
primo lavoro stabile dopo cento lavori “flessibili” e mal pagati.
Il problema, non solo italiano, è che il “lavoro” ha perso di
importanza, vale sempre meno. Basta esaminare i dati della
ripartizione della ricchezza e si vedrà che negli ultimi venti anni
la quota di beni che va ai redditi da lavoro (in tutte le sue forme)
si è ridotta in maniera consistente a vantaggio delle rendite e dei
profitti. Questo tema non sembra essere nell’agenda della politica.
Soltanto pochi dirigenti politici affrontano il problema e quando lo
fanno non riescono a indicare soluzioni credibili. Eppure senza un
recupero del potere d’acquisto dei lavoratori e dei pensionanti
l’aumento dei consumi non potrà avvenire; con tutto ciò che consegue
per la crisi della nostra economia. Sarebbe forse utile una
discussione seria sul come tornare a legare l’aumento della
produttività del lavoro con recuperi salariali. Gli stessi tagli alla
spesa pubblica per il sociale, previsti nella finanziaria in
discussione in Parlamento, sono traducibili in una diminuzione delle
condizioni materiali della maggioranza dei lavoratori.
In questa stagione della politica si parla d’altro. Berlusconi
continua con le sue boutade e gli unionisti di Prodi sembrano poco
interessati ad argomenti ostici come quelli della crisi economica o
quando lo affrontano restano ancorati a una sloganistica liberista
ininfluente negli orientamenti della gente. Si entusiasmano nella
scelta dei candidati per le prossime elezioni a Milano o in Sicilia.
Il cemento dell’antiberlusconismo ha funzionato alle primarie?
Funzionerà anche alle elezioni politiche. E’ probabile, ma rimane il
fatto che almeno alcuni nodi programmatici devono essere risolti
prima delle elezioni. Uno dei problemi decisivi per il nostro Paese è
quello della caduta di fiducia nel futuro non solo dei giovani
precarizzati, ma anche di coloro che hanno un lavoro o una pensione.
Anche l’aumento dei risparmi bancari delle famiglie segnala questo
dato di incertezza. Per la politica del centrosinistra è vitale
trovare una piattaforma di valori e idee che aiutino a recuperare la
speranza per il domani. Non libri di sogni, a quelli ha pensato
Berlusconi, ma proposte che diano il senso di un cammino possibile.
Invece l’obbiettivo che i leader hanno sembra essere quello di essere
presenti, con la cravatta giusta, ogni volta che c’è una telecamera
in agguato o un giornalista in vena di interviste.
La voglia di far parlare di sé è tale che l’enfasi ciarliera
aumenterà via, via che la scadenza elettorale si avvicina.
Dichiarazione dopo dichiarazione, spot dopo spot, il quadro del Paese
non migliora, ma in compenso i giornali sanno di cosa scrivere.
Lo dicono tutti:l’immagine è tutto per conquistare il potere.
Sono molti anni ormai che la televisione ha fagocitato la politica.
Quello che non appare in televisione non esiste e quindi non è utile
alla carriera. Così viviamo in una realtà virtuale in cui la
discussione politica si piega alle esigenze dello spettacolo.
Esperti e scienziati si interrogano su quanto incide negli
orientamenti dell’elettorato uno spettacolo di satira televisiva.
Celentano, nuovo guru della politica, è utile all’Ulivo o no? Serve
l’arte di Benigni a battere il berlusconismo? In tutti i giornali che
contano sono state scritte al riguardo pagine su pagine. La disputa
non è stata risolta. Una discussione che sembrerebbe paradossale ad
un osservatore non italiano ma che suscita grandi passioni nei
salotti televisivi gremiti da politici di ogni colore. Il ceto
politico sembra incapace di una autonoma capacità di analisi e di
proposta.
Ad esempio, addetti ai lavori a parte, chi riesce a capire nella
nostra regione quali sono le priorità che si presentano ad una
comunità che rischia molto dalla crisi della spesa pubblica? Il
sistema che ha consentito una tenuta sociale invidiabile non
funzionerà più anche a causa di un debito pubblico che impone un
ridimensionamento dell’intervento pubblico. In quale sede politica si
è aperta una discussione non propagandistica su questo tema. La
destra continua ad esprimere valutazioni che dimostrano una completa
ignoranza della realtà regionale. Dire che la finanziaria di Tremonti
funzionerà perché taglia soltanto gli sprechi dei governi locali dei
“comunisti” è una sciocchezza e come tale va valutata. I tagli agli
stanziamenti per i servizi gestiti da comuni e dalla Regione sono un
colpo micidiale alle condizioni di vita di moltissimi umbri. Essi si
vedranno costretti ad una peggiore assistenza sanitaria e ad un
drammatico ridimensionamento di ogni forma di sostegno sociale.
D’altra parte presentare, come fa il centrosinistra, la realtà umbra
come realtà saggiamente gestita che non abbisogna di innovazioni e di
rigore non corrisponde al vero. E’ una forzatura propagandistica.
Antiche debolezze strutturali di una piccola comunità tornano a
pesare sul futuro senza che il dibattito politico in Umbria esca
dalle beghe di “palazzo”. Una dichiarazione in meno e un’analisi in
più aiuterebbe a capire dove e come impegnare partiti e istituzioni.
Un salto di qualità nella polemica politica sembrerebbe opportuno.
Corriere dell’Umbria 6 novembre 2005

Verso nuove primarie

Il segretario diessino, Piero Fassino, con una lettera ad un
giornale, annuncia l’intenzione di lavorare per dare risposta alla
domanda contenuta nella grande partecipazione popolare al voto per
le primarie volute da Prodi e Bertinotti. Fassino ritiene che
anche gli elettori debbano contribuire alla scelta dei candidati
per le prossime elezioni politiche. Forse Fassino si è reso conto
che il meccanismo delle oligarchie romane che decidono tutto non è
il massimo della trasparenza e se confermato anche questa volta,
potrebbe produrre disaffezione e magari rendere più precaria una
probabile vittoria elettorale. Come procedere? Primarie e grandi
assemblee di eletti ed elettori, questi gli strumenti da
utilizzare dice il segretario. La problematica non è da poco.
Il metodo delle primarie fu introdotto nella legislazione dello
stato del Wisconsin nel 1903. Si diffuse lentamente negli altri
stati americani fino alla prima guerra mondiale, dopodichè cadde
per molti anni nell’oblio. Il progetto che stava dietro alle
primarie era molto semplice. L’ala riformatrice della democrazia
americana riteneva che i partiti, democratico e repubblicano,
fossero caduti in mano a capi inamovibili (spesso corrotti) e
apparati gerarchici capaci di autoperpetuarsi attraverso il
controllo delle tessere e dei congressi. L’unica strada per
rompere quel potere fu individuata nel far scegliere i candidati
non ai partiti, ma agli elettori. I riformatori non vinsero la
loro battaglia all’interno dei partiti. Riuscirono a vincerla
fuori facendo introdurre nella legislazione degli Stati l’obbligo
delle primarie. Questo suscitò grandi dibattiti. I partiti da
associazioni private volontarie rischiavano di divenire una sorta
di agenzie statali. E così è accaduto. Per partecipare al voto,
organizzato dalle strutture pubbliche e non dai partiti, furono
posti vincoli a seconda i diversi Stati e ciò ridimensionò il
processo riformatore. Ma forse in un Paese come l’Italia potrebbe
andare diversamente. Dipende dalla volontà  politica dagli
innovatori nostrani.
Che la problematica della democrazia del nostro Paese sia in parte
simile a quella che dovettero contrastare i riformatori americani
è evidente.
Che cosa sono oggi i partiti politici? Come funziona la loro vita
interna? Come si seleziona la classe dirigente?
In un dibattito a Città  di Castello a cui ho partecipato, un
vecchio compagno di militanza ha detto: “nei partiti di oggi
esiste una norma: qui non si parla di politica, si discute di
organigrammi”. Esagerava o è vero che le strutture organizzative
dei partiti non funzionano se non in occasione delle elezioni?
Come si sono scelti i candidati e chi li ha scelti?
Al di là  dell’ignominia della legge elettorale berlusconiancasiniana
o anche per questa bruttura, i candidati dell’Ulivo
dovranno essere selezionati con procedure rigorosamente
democratiche e trasparenti, con una forte partecipazione di
popolo. Ogni voto dovrà  essere acquisito sulla base di un consenso
ai programmi, ma anche attraverso un apprezzamento di popolo per
il concorrente alla carica. Le liste non dovrebbero essere stilate
nelle segrete stanze delle sedi di partito pena il rischio di
scarsa mobilitazione per il voto.
E’ noto che nella Casa delle Libertà , essendoci un proprietario,
la questione non si pone. Berlusconi da buon padre di famiglia
saprà  redimere le diverse esigenze. I candidati, ne siamo certi,
saranno scelti in rapporto al grado di fedeltà  al capo clan, ma
nel centrosinistra le problematiche sono, per fortuna, diverse.
Siamo certi o almeno lo speriamo che, nonostante il successo,
Prodi, non vorrà  interferire con la scelta di tutti i candidati
dell’Ulivo.
Come procedere non è scelta facile e forse sarebbe saggio
discutere di questo piuttosto che schierare le truppe dietro o
contro il Sindaco Cofferati. Persona da molti apprezzata che deve
gestire una città  complessa e vivace. Una città  che ha imparato a
conoscere soltanto recentemente accettando il sacrificio della
carica di primo cittadino. L’elettorato bolognese gli ha dato un
forte mandato di governo e si attende da Lui grandi risultati. Il
fronte aperto dal sindaco non è cosa da poco e sarebbe sciocco
considerare la questione del vivere urbano come questione
secondaria. La sicurezza non è questione di destra o di sinistra.
E’ vero. Ma come si ottiene una convivenza sicura può essere
invece frutto di scelte condivise o no. L’immigrazione è problema
complesso da gestire e utile sarebbe affrontare il problema con
uno sforzo di comprensione dei passaggi necessari a rendere
l’inclusione frutto della legalità , ma anche della solidarietà . E’
una illegalità  diffusa l’obbligare a lavorare in nero o pretendere
affitti mostruosi per posti letto in fondi e cantine? Non è che ci
sia una grande attenzione verso queste forme di illegalità . Ma
forse sbagliamo valutazione e per ignoranza non conosciamo le
intenzioni dei governanti al riguardo.
La tolleranza zero è uno slogan che può funzionare nella
propaganda della destra. Non può essere lo slogan dei democratici.
Consiglierei, al riguardo, la lettura di un testo di Bronislaw
Geremek titolato “Uomini senza padrone”. E’ una sorta di storia
dell’umanità  attraverso l’analisi dei comportamenti delle classi
dirigenti nei confronti delle masse di poveri affamati, dei
mendicanti e dei diversi da noi. Libro istruttivo il cui studio
forse sarebbe utile a chi ha le responsabilità  di gestire le
contraddizioni della globalizzazione. Legge e ordine è una boutade
bella in bocca ad uno sceriffo di Tombstone o di El Paso. A
Bologna suona male.
Corriere dell’Umbria 30 ottobre 2005

I Kennediani

Nessuno dubbio. I milioni di elettori che hanno partecipato alle
elezioni hanno voluto sollecitare il centrosinistra a unirsi verso
la formazione del partito democratico. Non ha dubbi Fassino, non
ne ha Bassolino, Rutelli ne è certo. Un solo partito per tutti i
riformisti d’Italia questo è il sogno che avevano in testa gli
italiani che si sono messi in fila il 16 ottobre per votare alle
primarie. Se questo è il sogno dobbiamo tutti cambiare le icone
della nostra passione politica: via tutti i vecchi volti dei
leader del movimento operaio italiano,europeo e mondiale.
Attacchiamo alle pareti delle nostre case i volti di Roosevelt,
Kennedy, Tony Blair, Schmidt e passando per Benjamin Franklin,
Thomas Jefferson, inneggiamo a Abraham Lincoln. Topolino e Nembo
Kid farebbero glamour. Facciamo nostra “l’identità  che segna gli
Stati Uniti: il pionierismo”. ” Dobbiamo essere Socialisti e
Kennediani”, titola il Corriere della Sera un’intervista a
Fassino. Leggendola si rimane stupefatti e non si sa se prevale
nelle dichiarazioni del segretario diessino l’ignoranza della
storia o la malafede di chi non avendo un’idea autonoma rispetto
alle esigenze di una società  complessa come quella italiana,
insegue modelli che non hanno niente da dire e poco a che fare con
la storia del nostro Paese. Che la sinistra italiana (gli arcaici
comunisti innanzitutto) abbiano studiato e in certe fasi,
apprezzato quello che accadeva in America non è una novità . Molti
hanno studiato e imparato la lezione di “Americanismo e Fordismo”
e certo il movimento operaio italiano ha tratto frutto da quelle
analisi. Altra cosa è il voler importare un modello democratico
che ha un senso in una storia nazionale completamente diversa
dalla nostra e che è criticato anche negli Usa. La scarsa
partecipazione alle elezioni non è una grande attrattiva. O questo
è un particolare insignificante per giudicare una democrazia?
Qualche intervista televisiva in meno e qualche lettura in più
aiuterebbe a dire qualche banalità  in meno.
Il bipartitismo è frutto di quella storia e ha poco senso in un
Paese come il nostro. La prova? Si è sperimentato per oltre dieci
anni un sistema maggioritario e il risultato è sotto gli occhi di
tutti: i partiti sono diventati una ventina, la democrazia si è
impoverita e tutta la politica è gestita da oligarchie
autoreferenziali,litigiose e politicamente mediocri.
Sono quindici anni che i leader del centrosinistra accendono i
fuochi della ricerca di un contenitore diverso da quello di un
partito di massa senza che si sia trovato uno sbocco positivo. Il
comportamento dei leader ricorda quello imperante negli anni
cinquanta nell’Unione Goliardica Italiana. L’Ugi era la
organizzazione della sinistra che organizzava gli studenti
universitari. L’organizzazione entrò nella leggenda per la sua
litigiosità  interna e perchè quasi tutti i dirigenti svilupparono
una formidabile capacità  di manovra e di furbizia che aiutarono
carriere politiche importanti. Se si analizzano i curriculum di
molti attuali dirigenti politici troverete il riferimento alla
struttura studentesca di cui sopra. Del centrosinistra la furbizia
sembra il carattere dominante anche all’interno dell’Unione. Il
furbo Rutelli “radicale” avversario di Prodi si è subito adeguato
al successo del professore e ha rilanciato assieme alla lista
dell’ulivo il partito democratico.
Domanda. Di fronte ad un Paese smarrito dal berlusconismo
imperante e da una crisi economica che rende precaria la vita alla
maggioranza del popolo, nella prospettiva di elezioni politiche
difficilissime, è proprio necessario dividersi un’altra volta tra
riformisti duri e puri e chi vuol costruire qualcosa di diverso
dal blairismo?
Chi è andato a votare per Prodi o Bertinotti voleva soltanto far
sapere agli addetti ai lavori che forze della democrazia
importanti sono ancora in campo nonostante le bestialità  di
Berlusconi e malgrado le mediocri risse dei leader dell’Unione.
Bisogna saper patrimonializzare queste forze cercando di dare
sbocchi organizzati a questa spinta democratica o far finta che
niente è successo? Veramente credete che i quattro milioni e mezzo
che hanno votato lo hanno fatto perchè affascinati dal
maggioritario? Non ha forse prevalso l’indignazione contro
Berlusconi piuttosto che l’amore per Pecoraro Scanio, Bertinotti o
Prodi? Senza alcun merito l’Unione ha avuto una spinta formidabile
dal voto alle primarie. Delittuoso sarebbe mettere tra parentesi
la domanda di partecipazione espressa da tanta gente e riprendere
con le banalità  che caratterizzano troppo spesso il dibattito
interno al centrosinistra.
Che fare? La truffa della nuova legge elettorale falsamente
proporzionale, ha provocato lo smarrimento del ceto politico di
sinistra, di centro e di destra. Il posto al sole non è più sicuro
per molti. Ad esempio i diessini rischiano con la lista unitaria
di fare da portatori d’acqua ai piccoli partiti dell’Unione e alla
stessa Margherita.
Si rifanno i conti e si scopre che se vittoria sarà , quella
dell’Unione rischia di essere una vittoria dimezzata.
Anche per evitare questo rischio assume rilievo il modo come
costruire le liste elettorali. I candidati non possono essere
soltanto affare delle oligarchie di partito. La grande questione è
come innescare processi democratici che diano un senso alla
politica: la crisi del Paese è anche crisi della democrazia.
Il parere sulle primarie come scelta dei candidati è molto
differenziato anche all’interno di questo giornale. In genere e a
ragione non ci piace la personalizzazione della politica. Troppi
danni ha già  prodotto. Anche con durezza siamo stati contrari al
presidenzialismo regionale e consideriamo il meccanismo
elettorale incentrato nel collegio uninominale un disastro.
Non si può però non prendere atto che i partiti hanno una vita
interna democratica inesistente. Sono caste quelle che gestiscono
la politica. In questa situazione l’unica possibilità  di
partecipazione sembrerebbe essere il voto. Uno stimolo a
modificare le cose si potrebbe individuare nel rendere
obbligatorio per i partiti il meccanismo delle primarie per la
scelta dei candidati ad ogni livello? Discutiamone.
Intanto suggeriamo ai consiglieri regionali dell’Umbria impegnati
nella Commissione Statuto ad affrontare la questione delle forme
3
della partecipazione nella nostra terra. Abbiamo l’impressione che
le priorità  siano altre per i consiglieri. Vescovi e cardinali,
preti e quanto d’altro risollecitano la questione delle radici
cristiane dell’Umbria. Altri sollecitano l’enfatizzazione della
sussidiarietà  anche per la gestione di servizi pubblici primari.
Noi non siamo mangiapreti, tutt’altro, ma laici lo siamo davvero
ed è per questo che non riteniamo affatto che la questione delle
radici sia questione da introdurre nello statuto dell’Umbria. Non
ne vediamo l’esigenza anche perchè ognuno di noi ha il diritto di
ricercare dove vuole le proprie radici senza che ci vengano
imposte per legge.
Per quanto riguarda la privatizzazione dei servizi la pensiamo
come l’Organizzazione Mondiale della Sanità : i migliori servizi
sanitari sono esclusivamente quelli pubblici. Ad esempio nelle
graduatorie mondiali la sanità  Usa (tutta privata) è al
diciannovesimo posto e la sanità  della vecchia Francia (gran parte
pubblica)al primo.
Non si capisce perchè l’Umbria dovrebbe importare nel servizio
sanitario il modello privatistico quando questo costa di più e
funziona peggio. Scommettiamo che nemmeno Fassino riuscirà  a
vincere le resistenze dell’Assessore Rosi.
Micropolis ottobre 2005