Cecità 

Lo scempio continua. Un’altra decisiva tappa è stata compiuta con
l’approvazione della modifica di un terzo degli articoli della
Costituzione repubblicana. Il sistema politico e le forme della
democrazia che le modifiche votate in Parlamento dalla destra
intendono costruire, non hanno più niente a che fare con quello
previsto e in parte realizzato nel nostro Paese dal 1948 ad oggi.
Il riformismo dei berluscones produce risultati terrificanti: il
parlamento si trasforma formalmente in una dèpendance del primo
ministro, il presidente della repubblica diviene una figura
marginale senza alcun potere istituzionale. La democrazia si
trasformerà  in un orpello apparente senza alcuna capacità  di
incidere nella vita dei cittadini. Sarà  una democrazia manovrata
da un oligarca tutto facente. Il premier concentrerà  in sè sia il
potere esecutivo che quello legislativo. Nessun contropotere sarà 
legittimo. Una sistematina anche alla magistratura e il gioco è
fatto. Il sogno del loggia P2 diviene realtà . Gelli può essere
soddisfatto del lavoro svolto dai suoi vecchi associati,
Berlusconi e Cicchitto.
Si dovrà  pur fare uno sforzo per capire come e perchè è potuto
succedere che un Paese come l’Italia si ritrovi in questa
situazione. Qualcuno ha sbagliato?
Soltanto nel mese di settembre l’onorevole Violante dottamente ci
spiegava i motivi che avevano portato un pezzo fondamentale
dell’Ulivo ad astenersi sull’articolo uno della legge
costituzionale voluta dalla Casa delle Libertà . La tentazione al
colloquio e alla collaborazione sulle riforme della destra è stata
interrotta soltanto dalla determinazione di Prodi. I nostri
costituzionalisti avrebbero proseguito sulla loro strada di
emendamenti. Non casuale la volontà  bipartisan. I padri della
controriforma costituzionale sono numerosi anche se alcuni non si
riconoscono più nel mostro uscito dal parlamento il 15 ottobre.
I facitori della nuova repubblica sono molti e molti sono stati
coloro che in tanti anni hanno costruito le loro strategie
politiche partendo dalla destrutturazione della Costituzione
repubblicana. Non tutti i protagonisti appartengono alla destra
italiana o alla lega bossiana.
Per capire di cosa parliamo consigliamo la lettura di un articolo
uscito su “Repubblica” il 18 ottobre a firma Giuliano Amato. Lo
chiamano il dottor sottile, non si sa bene perchè, ma
l’appellativo è carino e si adatta ad un personaggio che ha
attraversato indenne le tragedie della prima repubblica e che ha
un ruolo primario nello schieramento di centrosinistra.
L’Onorevole Amato ci ricorda che fu sua la proposta di modifica
del Titolo Quinto della Costituzione che, ricorderete, l’Ulivo
votò alla fine della passata legislatura. A quel tempo Amato era
ministro per le riforme istituzionali del governo D’Alema. La
modifica introduceva il federalismo nella carta costituzionale.
Oggi, a frittata fatta, il dottor sottile ci ha ripensato.
Attraverso una colta analisi delle esperienze di federalismo nel
mondo e visti i rischi che si corrono, egli ritiene che è molto
meglio che si torni a lavorare sul nostro bel modello di Stato
2
regionale dimenticando il federalismo. Forse la scelta federalista
di allora era dovuta alla risposta alle spinte leghiste, sospetta
Amato? Se è così afferma, abbiamo commesso una leggerezza.
Stupefacente. E no, onorevole Amato, non si è trattato di una
leggerezza. Si deve parlare di un drammatico errore. Uno sbaglio
non isolato ma coerente con una linea di politica istituzionale
piegata da anni alla ideologia della destra liberista. Pervicace è
stata la volontà  dei riformisti di ridimensionare il peso delle
assemblee elettive a vantaggio del capo dell’amministrazione.
Determinati sono stati nel mandare in pezzi ogni forma organizzata
della democrazia di massa. Scomparsa la politica come
organizzatrice di valori e ideali, in campo rimane soltanto un
sistema piegato alle esigenze di potere dei vari leader e
leaderini locali e nazionali.
I partiti sono diventati banali strumenti di organizzazione del
consenso ai diversi candidati alle cariche pubbliche. Questa è
stata una scelta precisa. E oggi Berlusconi trae i vantaggi dalla
leaderite che distingue il ceto politico.
Questa è la filosofia ancora prevalente nelle scelte concrete dei
Diesse, dello Sdi e della Margherita. L’inossidabile certezza che
il sistema elettorale maggioritario vigente è la panacea di tutti
i mali, annichilisce coloro che ritengono che la politica sia
altra cosa dal sistema del notabilato. Il rischio di precipitare
in una situazione tipo sudamerica anni ’60, paventato da D’Alema,
non dipende da un eventuale ritorno al sistema elettorale
proporzionale. In realtà  è stato il sistema maggioritario a
produrre la frantumazione del parlamento in partiti e partitini. O
no? Il plebiscito come metodo di organizzazione del consenso è
figlio di una idea che svuota la politica di ogni capacità  di
rappresentanza sociale assegnando ad oligarchie ristrette la
scelta della classe dirigente.
Una politica senza qualità  è il risultato anche del prosciugamento
del ruolo delle assemblee elettive. Le mitiche regioni rosse
(Toscana, Emilia e Umbria) si sono incontrate per veder i modi per
approvare i loro statuti. Impugnati dal governo presso la Corte
Costituzionale, tali statuti prevedono tutti un sistema di governo
presidenzialista. Il massiccio aumento dei consiglieri regionali
immaginato dalle leggi in itinere non fa che enfatizzare la cecità 
di un ceto politico sempre più autoreferenziale.
Referendum, referendum avvertono i riformisti nostrani contro lo
sbrego della Costituzione dei berluscones. Bene. Siamo curiosi di
conoscere quali argomenti si sosterranno nella campagna
referendaria a sostegno del No all’obbrobrio votato dalla Casa
delle Libertà . Ad esempio, come motivare la contrarietà  al
premierato forte quando in tutti gli statuti regionali votati in
questi mesi, i riformisti diessini e rutelliani hanno sostenuto
una forma di governo rigidamente presidenzialista? Oggettivamente
un presidente di regione ha più poteri del premier nazionale.
E’ il presidente che sceglie i “suoi” assessori non una organismo
terzo, perchè non dovrebbe farlo il capo del governo nazionale?
L’assemblea di una regione o di un comune è depotenziata nè più nè
meno del parlamento sognato da Berlusconi. Non è così? Si, certo
3
che è così e sarà  complicato spiegare perchè si può scegliere
direttamente il sindaco o il presidente di regione e non il primo
ministro. Sarà  complesso essere contro i plebisciti personali
della politica alla Berlusconi avendo steso tappeti rossi per Illy
in Friuli e per Soru in Sardegna. Ancora oggi basta ascoltare
qualche leader locale o nazionale del centrosinistra per capire
che la politica non passa per progetti generali, ma per le facce
più o meno gradevoli dei leader e leaderini imperanti a destra e a
sinistra.
Non sarà  una carta vincente che la destra giocherà  in termini
populistici, quella della riduzione del numero dei parlamentari
prevista dalle modifiche costituzionali?
Non è preoccupante per il ceto politico il fatto che siano state
raccolte in Umbria 12000 firme per un referendum diretto a
dimezzare le indennità  dei consiglieri regionali?
Noi non abbiamo raccolto firme. Non è nel nostro stile.
Sommessamente domandiamo: non avete esagerato in prebende?
Micropolis ottobre 2004

IL CONGRESSO DEI DS SARA’ SOLTANTO UN RITO

Un congresso di partito è sempre un evento importante per la democrazia.
Naturalmente non sempre le assise di partito hanno lo spessore di una svolta
rilevante per la vita interna e per l’immagine esterna di una data formazione
politica. Dipende dalle fasi della democrazia e questa che viviamo è una
pessima fase.
Da un esame delle piattaforme presentate dalle diverse correnti con cui i
Diesse vanno a congresso non sembrano risolti i problemi che attraversano il
maggior raggruppamento della sinistra italiana. Sarebbe ingeneroso non
considerare lo sforzo di elaborazione, ma le idee con cui Fassino vuol essere
riconfermato segretario non hanno la limpidezza necessaria a sciogliere il nodo
che aggroviglia da anni il partito nato dallo scioglimento del PCI. Partito
democratico o partito del socialismo europeo? Siamo ancora a questo nodo.
Nella mozione del segretario diessino rimane irrisolta la questione dell’identità 
dei DS.
E’ tanto vero questo che esponenti di primo piano (Ruffolo, Trentin, Reichlin e
molti altri quasi tutti “fassiniani”), hanno sottoscritto un documento che chiede
al congresso la scelta di enfatizzare il fiore del socialismo europeo nel simbolo
diessino. Meno quercia e più rosa. Se non vuole essere una banale operazione
di marketing, bisognerebbe che gli stessi dirigenti facciano un passo avanti nel
dibattito congressuale chiedendo, alla solida maggioranza di Fassino, di
risolvere finalmente la questione che ha afflitto i diesse negli ultimi quindici
anni: quali valori e ideali rappresentare in Italia e in Europa. E principalmente
quale società  intendono contribuire a costruire dal punto di vista sociale e
democratico.
Riproporre, come Fassino scrive, il riformismo come discrimine e come ideale
non basta. In Italia tutti si dichiarano riformisti, anche i beluscones che a modo
loro, stanno “riformando” il Paese.
Le parole, specialmente se sono aggettivi e non sostantivi, mutano nel tempo e
nel significato. Riformismo non significa niente se non si precisa che cosa e in
quale direzione si riforma. Affermare che i diesse sono per un riformismo di
tipo socialista, chiarirebbe meglio la differenza tra una sinistra moderna, il
centro democratico e la destra liberista. Ma forse qui sta il punto. Una parte
consistente (?) della maggioranza che si richiama a Fassino ritiene che è
proprio l’orizzonte di obbiettivi socialisti che va abolito? E’ questa una
spiegazione logica per l’ambiguità  e il travaglio di questi anni. Il modello di
riformismo che si ha in testa è il blairismo e non la socialdemocrazia
scandinava? Si comprende la cautela. Esplicitare questa scelta (con la guerra
angloamericana in Iraq) qualche problema lo provocherebbe al segretario e alla
sua maggioranza. L’incertezza rimarrà .
L’accordo con la mozione di Fassino sembra essere preponderante.
Le proposte congressuali sono quattro, ma per esseri franchi non sembra che
ci siano grandi possibilità  nè per la mozione dell’onorevole Salvi nè per la
mozione ambientalista. E anche per il raggruppamento che un tempo si
chiamava il correntone le prospettive congressuali non sono esaltanti. Si sono
sfilati i pezzi da novanta e le scelte di Cofferrati hanno perso di significativa
influenza nella dinamica nazionale. L’ex segretario della CGIL diventerà  un
2
buon sindaco ma le consistenti forze della sinistra che ha attratto nel passato si
vanno sfarinando cercando collocazioni più consone.
Esemplare è ciò che sta succedendo in Umbria. La stagione pre elettorale, per
le regionali e politiche, consiglia a molti una ricollocazione negli schieramenti
interni. Niente di nuovo sotto il sole. Una posizione di minoranza non è facile
da gestire. Anche nel passato nei gruppi dirigenti umbri del PCI, le minoranze
non avevano grandi chance di divenire maggioranza e pochi riuscivano a
tenere posizioni diverse da quelle del centro del partito. Nelle fasi congressuali,
mai nel PCI umbro le idee di Ingrao sono state in maggioranza. Nonostante
l’influenza personale del leader della sinistra del partito nella nostra terra
prevaleva sempre la consonanza con Roma.
A conferma, basta analizzare i congressi di “Svolta” del PCI per verificare
quanto risicati erano i voti sulle tesi alternative a quelle del segretario
nazionale. Pochi del gruppo dirigente umbro votavano assieme a Ingrao. La
leggenda dell’Umbria ingraiana è appunto una favola.
La grandezza del PCI umbro consisteva nel sollecitare l’elezione al parlamento
di Ingrao nel collegio umbro pur non condividendo le sue posizioni politiche.
Altri tempi. Pur approvando la linea che veniva da Roma, i leader locali erano
in grado di gestire il dissenso ed anzi come gruppo dirigente complessivo
rivendicavano una autonomia di elaborazione politica dal centro del partito. E
in molte circostanze, l’Umbria divenne laboratorio di idee e di esperienze
particolarmente innovative nel settore della programmazione e nel rapporto tra
le istituzioni democratiche e i cittadini. “Umbria regione aperta” fu il primo
slogan della prima giunta regionale. Visto con gli occhi di oggi sembra uno
slogan eretico.
Non è casuale che il regionalismo umbro sia stato ravvisato, nel passato, tra
quelli a più alta capacità  progettuale e che molte delle concrete realizzazioni
siano state poi “esportate”.
Le stesse esperienze di autogoverno locale hanno contribuito in modo
significativo al progresso della nostra comunità . Anche quando i sindaci o i
presidenti non venivano eletti direttamente, essi erano percepiti, in genere,
come leader popolari e non come professionisti della politica. Il mondo è
cambiato ed inutile stabilire se in meglio o in peggio. In realtà  l’impressione è
che il prossimo congresso dei DS rischia di essere soltanto un rito. Molti giochi
sono fatti (federazione dei riformisti, liste uniche, ecc.. ecc.) e i gruppi dirigenti
che si affermeranno non saranno novità  scioccanti per nessuno. Prevale il
bisogno di volti noti e di continuità .
Corriere dell’Umbria 24 ottobre 2004

IL CONGRESSO DEI DS SARA’ SOLTANTO UN RITO

Un congresso di partito è sempre un evento importante per la democrazia.
Naturalmente non sempre le assise di partito hanno lo spessore di una svolta
rilevante per la vita interna e per l’immagine esterna di una data formazione
politica. Dipende dalle fasi della democrazia e questa che viviamo è una
pessima fase.
Da un esame delle piattaforme presentate dalle diverse correnti con cui i
Diesse vanno a congresso non sembrano risolti i problemi che attraversano il
maggior raggruppamento della sinistra italiana. Sarebbe ingeneroso non
considerare lo sforzo di elaborazione, ma le idee con cui Fassino vuol essere
riconfermato segretario non hanno la limpidezza necessaria a sciogliere il nodo
che aggroviglia da anni il partito nato dallo scioglimento del PCI. Partito
democratico o partito del socialismo europeo? Siamo ancora a questo nodo.
Nella mozione del segretario diessino rimane irrisolta la questione dell’identità
dei DS.
E’ tanto vero questo che esponenti di primo piano (Ruffolo, Trentin, Reichlin e
molti altri quasi tutti “fassiniani”), hanno sottoscritto un documento che chiede
al congresso la scelta di enfatizzare il fiore del socialismo europeo nel simbolo
diessino. Meno quercia e più rosa. Se non vuole essere una banale operazione
di marketing, bisognerebbe che gli stessi dirigenti facciano un passo avanti nel
dibattito congressuale chiedendo, alla solida maggioranza di Fassino, di
risolvere finalmente la questione che ha afflitto i diesse negli ultimi quindici
anni: quali valori e ideali rappresentare in Italia e in Europa. E principalmente
quale società intendono contribuire a costruire dal punto di vista sociale e
democratico.
Riproporre, come Fassino scrive, il riformismo come discrimine e come ideale
non basta. In Italia tutti si dichiarano riformisti, anche i beluscones che a modo
loro, stanno “riformando” il Paese.
Le parole, specialmente se sono aggettivi e non sostantivi, mutano nel tempo e
nel significato. Riformismo non significa niente se non si precisa che cosa e in
quale direzione si riforma. Affermare che i diesse sono per un riformismo di
tipo socialista, chiarirebbe meglio la differenza tra una sinistra moderna, il
centro democratico e la destra liberista. Ma forse qui sta il punto. Una parte
consistente (?) della maggioranza che si richiama a Fassino ritiene che è
proprio l’orizzonte di obbiettivi socialisti che va abolito? E’ questa una
spiegazione logica per l’ambiguità e il travaglio di questi anni. Il modello di
riformismo che si ha in testa è il blairismo e non la socialdemocrazia
scandinava? Si comprende la cautela. Esplicitare questa scelta (con la guerra
angloamericana in Iraq) qualche problema lo provocherebbe al segretario e alla
sua maggioranza. L’incertezza rimarrà.
L’accordo con la mozione di Fassino sembra essere preponderante.
Le proposte congressuali sono quattro, ma per esseri franchi non sembra che
ci siano grandi possibilità né per la mozione dell’onorevole Salvi né per la
mozione ambientalista. E anche per il raggruppamento che un tempo si
chiamava il correntone le prospettive congressuali non sono esaltanti. Si sono
sfilati i pezzi da novanta e le scelte di Cofferrati hanno perso di significativa
influenza nella dinamica nazionale. L’ex segretario della CGIL diventerà un
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buon sindaco ma le consistenti forze della sinistra che ha attratto nel passato si
vanno sfarinando cercando collocazioni più consone.
Esemplare è ciò che sta succedendo in Umbria. La stagione pre elettorale, per
le regionali e politiche, consiglia a molti una ricollocazione negli schieramenti
interni. Niente di nuovo sotto il sole. Una posizione di minoranza non è facile
da gestire. Anche nel passato nei gruppi dirigenti umbri del PCI, le minoranze
non avevano grandi chance di divenire maggioranza e pochi riuscivano a
tenere posizioni diverse da quelle del centro del partito. Nelle fasi congressuali,
mai nel PCI umbro le idee di Ingrao sono state in maggioranza. Nonostante
l’influenza personale del leader della sinistra del partito nella nostra terra
prevaleva sempre la consonanza con Roma.
A conferma, basta analizzare i congressi di “Svolta” del PCI per verificare
quanto risicati erano i voti sulle tesi alternative a quelle del segretario
nazionale. Pochi del gruppo dirigente umbro votavano assieme a Ingrao. La
leggenda dell’Umbria ingraiana è appunto una favola.
La grandezza del PCI umbro consisteva nel sollecitare l’elezione al parlamento
di Ingrao nel collegio umbro pur non condividendo le sue posizioni politiche.
Altri tempi. Pur approvando la linea che veniva da Roma, i leader locali erano
in grado di gestire il dissenso ed anzi come gruppo dirigente complessivo
rivendicavano una autonomia di elaborazione politica dal centro del partito. E
in molte circostanze, l’Umbria divenne laboratorio di idee e di esperienze
particolarmente innovative nel settore della programmazione e nel rapporto tra
le istituzioni democratiche e i cittadini. “Umbria regione aperta” fu il primo
slogan della prima giunta regionale. Visto con gli occhi di oggi sembra uno
slogan eretico.
Non è casuale che il regionalismo umbro sia stato ravvisato, nel passato, tra
quelli a più alta capacità progettuale e che molte delle concrete realizzazioni
siano state poi “esportate”.
Le stesse esperienze di autogoverno locale hanno contribuito in modo
significativo al progresso della nostra comunità. Anche quando i sindaci o i
presidenti non venivano eletti direttamente, essi erano percepiti, in genere,
come leader popolari e non come professionisti della politica. Il mondo è
cambiato ed inutile stabilire se in meglio o in peggio. In realtà l’impressione è
che il prossimo congresso dei DS rischia di essere soltanto un rito. Molti giochi
sono fatti (federazione dei riformisti, liste uniche, ecc.. ecc.) e i gruppi dirigenti
che si affermeranno non saranno novità scioccanti per nessuno. Prevale il
bisogno di volti noti e di continuità.
Corriere dell’Umbria 24 ottobre 2004

PROGETTO RIFORMISTA TRA FOLLIE E MIOPIE

Il personaggio continua a meravigliare. Dopo le lunghe vacanze in
Sardegna, Silvio Berlusconi ha mutato il suo modo di apparire.
Parla poco, nessuna barzelletta in pubblico per accreditare
l’immagine di uno statista lontano dalle miserie della politicapoliticante.
Non è andato ancora negli spogliatoi del Milan a
rimbrottare Ancellotti e non insulta più i propri avversari.
Certo ogni tanto qualche battuta scappa. Il meglio continua a
darlo quando è all’estero. In Libia il nostro dichiara che
Gheddafi è un leader di libertà  e non più l’imperatore di una
degli stati canaglia. Apprendiamo che nella lunga lista degli
amici importanti, dopo Bush, Blair e Putin è stato aggiunto anche
il colonnello. Ci sarebbe da dire rispetto alle qualità  delle
libertà  e della democrazia libica, ma si tratta di un amico e ci
vuole comprensione.
Nel complesso, il cavaliere, è divenuto meno ciarliero e l’astio
contro la sinistra è andato sottotraccia. E’ diventato un buonista
ed è meno giocoso. Perchè? E’ vero che la situazione del Paese
sconsiglia facili entusiasmi e che i miracoli non sempre riescono,
ma la questione sembra più complessa.
Gli esperti dicono che il capo di Forza Italia è stato consigliato
di apparire in televisione il meno possibile e di evitare
l’umorismo da caserma: il troppo struppia, si dice a Perugia.
Il pessimo risultato elettorale del maggio scorso ha indotto gli
spin doctor del leader di Arcore a mutare strategia nella
comunicazione del prodotto. E la cosa sembra funzionare se diversi
segnali e indagini demoscopiche dimostrerebbero che la spinta
positiva per il centrosinistra si è inceppata. E molti, attoniti,
sospettano un nuovo successo politico per la destra berlusconiana
alle prossime elezioni politiche. L’illusione di un’emancipazione
del centro folliniano dallo strapotere della destra populista ha
ballato una sola estate? Così sembra. In queste settimane i
centristi dell’UDC, si adeguano ai voleri riformatori della Lega e
votano tranquillamente la destrutturazione della Carta
Costituzionale e tutto ciò che rientra nei desiderata del capo
liftato.
La nuova strategia di marketing del polo della destra sembra avere
successo anche per la mancanza di una tattica politica credibile
da parte del centrosinistra.
Dopo le vivaci discussioni estive di cui sono stati protagonisti
Rutelli, Prodi, ed altri c’è stato un altro incontro
chiarificatore. Baci e abbracci, avanti verso la federazione, le
primarie, la lista unica per le regionali. Il chiarimento è durato
lo spazio di un mattino.
Rutelli in una lunga intervista chiarisce meglio il suo pensiero e
si ricomincia daccapo. L’elezioni regionali divengono decisive per
la conferma della leadership di Prodi. La federazione tra SDI, DS
e Margherita va bene ma l’autonomia dei partiti non sì tocca. La
lista unica per le regionali? Vedremo caso per caso. Prodi afferma
che alle “riforme” della destra l’Ulivo non deve nemmeno
aggiungere una virgola, ma modificarle alla radice? Rutelli
afferma che bisogna vedere meglio nel merito.
2
Il presidente dei DS, Massimo D’Alema, denuncia una manovra contro
Prodi e l’Ulivo entra in fibrillazioni ulteriori. Perchè succede
tutto questo? Banale sarebbe pensare che tutto sia dovuto a beghe
personali. E’ vero di pavoni e pavoncelle è pieno lo scenario
politico, ma non basta a motivare questa sorta di follia autodistruttrice
del mondo dei riformisti nostrani. C’è qualcosa di
più. La divaricazione è sulle strategie e sulla visione del
presente e del futuro della democrazia italiana. D’Alema lo spiega
chiaramente. Il suo progetto è quello di consolidare una
democrazia molto semplificata dal sistema maggioritario. Una
democrazia di tipo anglosassone in cui ci sia spazio
esclusivamente per un’alternanza al potere tra un polo
conservatore e un polo riformista. Semplice da dire, difficile da
realizzare in un Paese come l’Italia in cui il senso di
appartenenza ad un partito è molto radicato dalla storia. E
d’altra parte questa forma di democrazia non è diffusissima nel
mondo. Gran parte dei Paesi democratici hanno sistemi politici
incentrati su partiti che si alleano per governare e la stabilità 
degli esecutivi non è affatto minore di quella assicurata dal
maggioritario, mentre è più forte la rappresentanza di istanze
ideali e politiche. O no?
Uno dei problemi fondamentali dell’Italia è certo il
particolarismo e ciò non riguarda solo la politica.
Non si risolve però la questione cercando di mettere nello stesso
partito forze che hanno sensibilità  diverse. E’ immaginabile una
sola organizzazione politica che vede insieme Mastella, Pecoraro
Scanio, Rutelli, D’Alema e Cossutta? Non è miglior cosa cercare di
alleare in un progetto di governo credibile partiti che conservano
una loro identità ? E’ vero che le bandierine di partito e i
“mandarini” irritano molti di chi ha a cuore i destini di un Paese
stremato da pessimi governi e da una classe politica intangibile.
Uno sforzo di aggregazione va certamente operato. Forse se si
evitano forzature organizzative, si otterrebbero migliori
risultati.
Al riguardo, colpisce che l’area riformista ci sta con fatica
provando, mentre il mondo della sinistra più radicale sia
immobilizzato da schemi organizzativi a compartimento stagno senza
che alcuno tenti di mettere insieme le risicate membra.
Anche in Umbria assicurano gli esperti si andrà  alla lista unica
dei riformisti. Le ragioni di ciò non sono chiarissime. Ancora
oggi viene in mente la faccia stravolta di Fabrizio Bracco di
fronte ai risultati umbri delle elezioni europee. Per fortuna il
voto per le amministrative per il centrosinistra umbro fu
radicalmente diverso. E’ vero che per un progetto politico di
valenza strategica si può sacrificare qualche voto. In ogni caso è
consigliabile usare qualche cautela ed avere misura nel rischio.

PUGNO DI FERRO IN GUANTO DI VELLUTO
Il Ministro Siniscalco è persona cortese che non usa, come il
Dottor Tremonti, la clava per imporre le sue convinzioni
economiche. E le buone maniere sembrano tornate di moda dopo che
Berlusconi ha smesso di insultare i suoi avversari politici. Le
buone maniere non risolvono però la sostanza dei problemi.
Nel caso della finanziaria votata dal governo per il 2005, la
realtà  è questa: si tratta di un provvedimento che inciderà 
pesantemente sulle condizioni di vita di gran parte del popolo
italiano. I sacrifici non serviranno affatto a rilanciare
l’economia italiana.
E’ vero che Berlusconi continua a promettere di tagliare le tasse,
ma per intanto chi pagherà  per i tagli alla spesa pubblica
contenuti nel provvedimento? Da dove arriveranno i 7 miliardi di
Euro di maggiori entrate? Non saranno forse i ceti medi e la
povera gente quelli colpiti ancora una volta dalle scelte del
governo? Dire il contrario è mistificare.
L’operazione è semplice: si è spostato il fronte del conflitto dal
centro alla periferia. Traduzione. Il ridimensionamento dei
trasferimenti dallo Stato alle amministrazioni locali (regioni,
comuni, province) obbligherà  sindaci e presidenti o a tagliare le
spese sociali (sanità , assistenza, ecc.) o ad aumentare la
pressione fiscale locale. Aumenteranno le tariffe dei servizi
pubblici. Con la rivalutazione degli estimi catastali aumenteranno
le tasse sulla casa. Saranno reintrodotti i ticket, aumenterà 
l’imposta sulla nettezza urbana, ecc.ecc. Volete il federalismo
fiscale? Ecco un’anticipazione dell’Italia federale in costruzione.
Le organizzazioni sociali, sindacati e confindustria, hanno
espresso con motivazioni diverse, ma non conflittuali, un giudizio
negativo sul provvedimento governativo. Dicono che la situazione
del Paese è tale da richiedere scelte radicalmente diverse da
quelle volute dal governo di centrodestra.
La nostra è ormai da anni una economia bloccata che non trova la
strada per invertire un processo di impoverimento generale delle
famiglie e delle imprese. Il tasso di disoccupazione è superiore
alla media europea, l’economia sommersa ha un’incidenza
formidabile sul PIL. Il sommerso è il motore che copre lo scandalo
dell’endemica evasione fiscale. Argomento questo che non fa più
scandalo e che sembra non interessare più nessuno.
Le indagini statistiche dimostrano che la distribuzione del
reddito in Italia è andata via, via peggiorando per tutti quelli
che vivono del proprio lavoro. Oggi siamo la nazione europea a più
alta concentrazione del reddito e della ricchezza. Non è un bel
record. Le disuguaglianze sociali si sono aggravate mentre la
crisi del welfare ha raggiunto dimensioni tali da incidere
pesantemente sulla qualità  di tutti i servizi al cittadino. Ogni
anno aumenta ad esempio la partecipazione dei malati alla spesa
per le proprie cure. A poco a poco l’intervento pubblico si
ridimensiona in tutti i settori senza che le privatizzazioni
stimolino una qualche forma di ripresa economica.
Una pessima situazione che si aggrava anche per la debolezza
programmatica del centrosinistra. Non si sono fatti passi in
1

avanti nel formulare idee e progetti concretamente alternativi
alla linea di politica economica della destra.
Autorevoli rappresentanti dei riformisti continuano a sostenere
che una volta al governo, il centrosinistra dovrà  in economia fare
le cose che Berlusconi ha detto di voler fare e non ha fatto.
Esemplare da questo punto di vista il dibattito che “Il
Riformista” ha aperto sia sulle questioni programmatiche sia sulla
classe dirigente espressa dai riformisti.
Sembra di sognare eppure ancora oggi l’argomento al centro della
discussione nell’Ulivo è la forma organizzativa da dare
all’opposizione e se Prodi è o no il leader adatto a vincere la
sfida con Berlusconi.
Sembra prendere forza l’ipotesi di una federazione tra i partiti
del “listone” ma lo sbocco di questa scelta è diversificato
all’interno dei singoli partiti e tra i partiti del centrosinistra.
D’Alema e la maggioranza dei DS sostiene l’esigenza della
formazione di un nuovo partito: il partito dei riformisti. La
minoranza diessina vorrebbe sì un nuovo partito, ma vicino
all’esperienza delle socialdemocrazie europee. Rutelli sogna una
Margherita fulcro di un centro così forte da determinare le
politiche del centrosinistra.
La discussione si trascina ormai da un decennio e i punti risolti
sono pochissimi. Si apre la stagione dei congressi per molti dei
partiti del centrosinistra e forse qualcosa si chiarirà . Certo il
pessimismo ha qualche ragion d’essere visto che i protagonisti
sono gli stessi di sempre e considerando quanto i personalismi
pesino in tutte le vicende politiche. A volte si ha l’impressione
che le lotte intestine al “quartier generale” nascano da antiche
rivalità  che poco hanno a che fare con l’interesse del Paese.
Anche se molti si reputano grandi statisti prevale la stizza
dell’uno contro l’altro a prescindere dal merito delle cose.
Comunque qualche barlume di spirito critico rispetto alle scelte
passate comincia ad affiorare anche in leader inossidabili. Più di
uno ormai ritiene sbagliate alcune scelte fondamentali degli anni
trascorsi.
Il federalismo alla Bassanini o la negazione ideologica di ogni
intervento pubblico nella gestione del paese, stanno passando di
moda e si ricomincia a ragionare a partire dal fallimento in tutto
il mondo del modello liberista che tanto ha affascinato i nostri
stagionati eroi.
Corriere dell’Umbria 3 ottobre 2004