da Francesco Mandarini | Mag 17, 2010
Sarà soltanto un’impressione dovuta all’incertezza dei tempi che viviamo, ma ormai nel nostro Paese si vanno consolidando due mondi separati. Quello della gente comune e quello del ceto politico. Traduzione. E’ durata pochi giorni l’euforia suscitata dall’accordo di Bruxelles di significativi interventi per riparare i danni della speculazione finanziaria che stava mettendo a rischio la stessa esistenza della valuta unica. Da un venerdì nero, quello della scorsa settimana, si è passati al venerdì nerissimo della settimana che si chiude. Le forze della speculazione, i grandi investitori istituzionali non hanno alcuna fiducia nei riguardi dei provvedimenti delle istituzioni europee. Hanno ripreso a scommettere sul ribasso dei titoli sovrani e le leggendarie agenzie di rating riprendono a dare voti a questo o quel Paese. I governi, la politica, non sembrano in grado di contrastare le forze del mercato finanziario.
Soltanto il Senato americano sta lavorando, con grande difficoltà , per introdurre vincoli e trasparenza nelle attività finanziarie. L’Europa non sembra in grado di uscire dall’ideologia liberista nonostante che sia stata questa l’ideologia che ha prodotto il disastro che stiamo vivendo ormai da anni. Gli stessi che hanno prodotto il danno continuano a pontificare sull’esigenza di contenere la spesa pubblica che, come sempre è accaduto, significa meno servizi al cittadino, salari più bassi, tagli al sistema pensionistico.
Si preannunciano anche per l’Italia provvedimenti “lacrime e sangue” simili a quelli già adottati dalla Grecia e dalla Spagna.
Le statistiche mondiali collocano i salari italiani ai livelli più bassi dei Paesi Ocse, ma in compenso la pressione fiscale italiana è tra le più elevate degli stessi Paesi. Il welfare italiano è tra i peggiori in termini di quota procapite. La spesa per la scuola per la ricerca, per la cultura, ridicolmente bassa. Disoccupazione giovanile e femminile tra le più alte d’Europa. Il precariato domina il mercato del lavoro.
Insomma, nonostante che siamo governati da un Re taumaturgo, siamo messi male. (altro…)
da Francesco Mandarini | Mag 12, 2010
In una settimana le Borse europee hanno bruciato oltre 450 miliardi di ricchezza finanziaria. Un Paese, la Grecia, è nel pieno di una crisi economico-sociale drammatica e molti osservatori allarmano sul rischio contagio e del fallimento della moneta unica europea.
Quadro allarmante che se dimostra l’irresponsabilità di quanti sostenevano che l’Italia era ormai fuori dalla crisi, sollecita riflessioni sui meccanismi che hanno portato a questa situazione.
Berlusconi ha denunciato l’inaffidabilità delle agenzie di rating. Il presidente ha perfettamente ragione. Dovrebbe andare avanti nell’analisi e domandarsi come sia possibile che le stesse agenzie (private) responsabili delle super valutazioni di titoli che poi si sono rivelati spazzatura, massacrando l’economia di tanti Paesi, bruciando posti di lavoro e i risparmi di tanta gente hanno ancora il potere di affossare le borse. Come è pensabile che siano ancora in grado di esprimere valutazioni credibili sul valore non di un’azienda, ma di uno Stato?
E’ noto poi che, negli Stati Uniti ci sono indagini e processi in atto, alcune grandi agenzie di rating hanno operato in pieno conflitto d’interesse. Iper valutavano titoli perchè erano coloro che emettevano “la spazzatura” che pagavano le agenzie stesse.
A New York, tra i tanti, c’è un grattacielo sede della Goldman & Sacks, la più grande banca d’affari del mondo. Nel grattacielo lavorano 7000 persone. Il loro stipendio medio annuale è di 750 mila dollari all’anno. La Banca è sotto indagine della SEC (organo di vigilanza della borsa americana) per le speculazioni che hanno portato alla crisi che ancora viviamo. Il libero mercato c’entra poco, il mondo sembra in mano a  strutture che hanno come unico scopo l’arricchimento dei manager costi quel che costi. Le valutazioni truffaldine rientrano nel gioco. Come è potuto accadere tutto ciò?
Sembra ormai che la politica dei Governi sia impotente, inutile come un frigorifero al polo nord. L’incapacità della politica a dare risposte ai problemi della condizione umana è il dato con cui si dovrebbero confrontare tutti i partiti. Il continuo calo, in tutto il mondo occidentale e non solo dei partecipanti al voto dimostra la scarsa fiducia dei popoli nella politica. Esemplare il risultato nelle elezioni inglesi. Non ha vinto nessuno, hanno perso tutti. I conservatori prendono la maggioranza dei voti, ma non dei seggi necessari a formare il governo. Nuove elezioni sono l’ipotesi più probabile. Un sistema elettorale pensato come massima salvaguardia della governabilità che è indifferente alla rappresentatività del Parlamento, non riesce a dare un governo alla Gran Bretagna. Perchè? La ragione principale credo vada ricercata sulla qualità scadente della proposta politica di tutti i partiti. Il newlabour, dopo 13 anni di governo, ha diversi scheletri nell’armadio. Guerre ingiuste si aggiungono ad un bilancio che può essere sintetizzato nel fatto che le diseguaglianze sociali sono le stesse che c’erano dopo i 18 anni di governo dei conservatori. I ricchi più ricchi, i poveri più poveri. I Conservatori incapaci di prospettare una politica diversa dal neoliberismo che, di questi tempi, non è il massimo se è certo che la crisi deriva dalle politiche neoliberiste. I liberal democratici qualche idea innovativa l’hanno proposta, ma rimangono ancora deboli nella classe dirigente.
In sintesi è l’incapacità del ceto politico di prospettare un’idea di società diversa da quella che la speculazione finanziaria impone. Ciò è dovuto essenzialmente alla scomparsa, ad ogni latitudine, di formazioni politiche che vivono in un rapporto virtuoso con la realtà che si vuole governare.
In un’indagine sui flussi elettorali nelle recenti elezioni regionali, l’Agenzia Umbria Ricerche e l’Università di Perugia hanno verificato che il non voto ha riguardato 301 mila persone.
IÂ partiti sono stati tutti penalizzati ma con diverse percentuali.
I più colpiti dall’astensione di massa sono stati il PDL e le liste di sinistra. Secondo l’indagine la destra ha perduto con il non voto il 30% dell’elettorato mentre la sinistra ne ha perduto il 35%. Per ciò che riguarda la destra i motivi possono essere molti e qualcuno li analizzerà con cura anche considerando che la forbice dei voti che la separano dal centrosinistra, si ridotta negli anni recenti. (altro…)
da Francesco Mandarini | Apr 15, 2010
Si ricomincia. Sembra ieri, ma ormai sono almeno trenta anni che le forze politiche, ripetitive come l’influenza stagionale, si ingegnano per cambiare la Carta costituzionale. Tra bicamerali, grandi riforme preannunciate con enfasi da Bettino Craxi e mai chiarite nella loro filosofia istituzionale, sono passati da un fallimento ad un altro. I protagonisti sono praticamente gli stessi come in una telenovela brasiliana. Un lungo psicodramma di una classe politica sulle cui capacità pochi scommettono. In stagioni diverse hanno prevalso forzature in Parlamento fatte dal centrosinistra e dal centrodestra senza che nessuno riuscisse a spiegare quale fosse l’interesse del Paese a cambiare il modello istituzionale frutto di una stagione politica straordinaria come quella seguita alla fine della guerra nazi-fascista. Tutti sembrano aver rimosso il fatto che il popolo, soltanto quattro anni fa, il 25 e 26 giugno del 2006, ha votato massicciamente in un referendum contro sostanziali modifiche della Carta. Che se ne dimentichi il centrodestra, si capisce considerando che quelle erano proposte volute da Berlusconi, ma inquieta che il centrosinistra non utilizzi quel voto di popolo per respingere le ipotesi presidenzialiste del leader di Arcore. L’imbarazzo dei riformisti appare una stranezza.
Che sia la volta buona per andare verso un sistema politico più moderno ed innovativo come auspicano in molti? Coerenti con la loro antica tesi del Sindaco d’Italia, pezzi importanti del PD sembrano attratti dal semipresidenzialismo alla francese proposto dalla Lega e da Berlusconi. Le prospettive sono ancora incerte, ma la discussione e’ aperta. Immaginare un presidente eletto direttamente dal popolo non e’ di per sè angosciante. Esistono democrazie che funzionano bene anche con il presidenzialismo. L’incubo scatta quando si immagina un plebiscito per il Capo che non solo si fa eleggere direttamente, ma che nomina anche, ad uno ad uno i parlamentari. Attualmente, è noto, la Camera e il Senato sono formati non da eletti dal popolo, ma nominati dalle oligarchie di partito. Berlusconi non vuol cambiare la legge elettorale, vuole soltanto l’elezione diretta del Capo. Arriveremmo al paradosso che il popolo vota per il presidente che, a sua volta, nomina i suoi parlamentari? Il famoso ingegno italico tornerebbe in campo alla grande. Al confronto, le democrazie popolari, dell’impero ex sovietico, sembrerebbero essere state delle situazioni di democrazia partecipata. La Romania di Ceausescu o la Cecoslovacchia del dopo Dubcek, regni della libertà . La stessa URSS di Breznev un paradiso degli eredi di Pericle. Non esiste nessuna democrazia in cui il presidente o primo ministro abbia poteri assoluti sul parlamento. Il Presidente Obama ha impiegato oltre un anno per far approvare la riforma sanitaria dovendo contrattare anche le virgole del provvedimento con i senatori e con i membri della camera. In Italia Berlusconi vara un decreto legge, mette la fiducia ed in quindici giorni fa approvare ciò che vuole. Non basta? Il Presidente Napolitano ha ragione quando dichiara: “Basta approssimazioni. Una serie di riforme non più procrastinabili: fisco,sicurezza sociale, ricerca e giustizia”. (altro…)
da Francesco Mandarini | Apr 8, 2010
Ricordo che, a metà degli anni sessanta, si sviluppò un’intensa discussione tra filosofi, dirigenti politici e giovani intellettuali incentrata su due visioni dei valori e delle idealità da introdurre nell’agire politico.
Una tesi sosteneva che un movimento politico doveva assumere ed operare come se la verità fosse sempre rivoluzionaria, l’altra che essendo la rivoluzione la verità , è legittimo che per la rivoluzione si possa anche falsificare la realtà . Non c’era da spartirsi incarichi ma solo rendere evidente il modo di essere di un partito che voleva cambiare il Paese, forse per questo fu una discussine avvincente. Non ricordo tutti i protagonisti del confronto, ricordo che alla fine prevalse la prima tesi: la verità è sempre rivoluzionaria. Formalmente fu così, nella sostanza le mezze verità o la distorsione di questa, non scomparvero affatto nell’agire politico. Ma almeno si discusse di valori e non di posti e prebende.
Non ricordo come la pensavo in quei tempi, adesso sono assolutamente certo che la verità è sempre la cosa giusta da dire. Convinto di questo, non nascondo il mio sbigottimento rispetto al commento del leader del PD sul risultato elettorale delle elezioni regionali. Perdere due milioni di voti e quattro regioni fondamentali è semplicemente una sconfitta grave per una forza politica. Che non bisogna arrendersi alla catastrofe è altra cosa. (altro…)
da Francesco Mandarini | Mar 28, 2010
Quando un capo di governo chiama il suo popolo in piazza rende evidente lo stato comatoso della democrazia rappresentativa. Una maggioranza parlamentare schiacciante non sembra sufficiente al berlusconismo per realizzare il suo programma. La destra populista ha bisogno della chiamata alle armi, alla guerra santa contro il comunismo. Si può parlare di crisi di regime? Sarebbe sbagliato non farlo. Sostenere che la democrazia italiana è salda e vigorosa è una mistificazione anche quando nasce da buone intenzioni.
La classe dirigente del Paese non sembra in grado di fermare la deriva politica e sociale dell’Italia che, giorno dopo giorno, si aggrava ed emargina masse sempre più consistenti di popolo, imbarbarendo ogni convivenza civile. Indifferenti a scandali e ruberie gli uomini e le donne del PDL rivendicano con ferocia un’impunità a prescindere da leggi e morale pubblica. Le forze sociali, con l’eccezione della CGIL, assistono allo scontro politico con una sorta di indifferenza. Chiuse ognuno nel loro particolare non sembrano in grado di affrontare una crisi economica che sta producendo nuove povertà e nuova emarginazione.
Le forze di opposizione non riescono ad organizzare una piattaforma di resistenza nè in parlamento nè nel Paese. Le molte iniziative di contrasto alla deriva voluta dalla destra si svolgono salvaguardando l’autonomia dei movimenti, ma risultano frantumate e prive di quel collante unitario senza il quale l’apatia tende a prevalere rispetto alla voglia di lottare e le stesse manifestazioni di massa rimangono fatti isolati, non ancora influenti rispetto all’agire politico.
Si è svolta una campagna elettore come in un perpetuo happy hours a base di tartine, porchette birra e vino spesso scadente. Anche quando i programmi elettorali contengono cose interessanti (ad esempio la riscoperta nel centrosinistra dei “beni comuni”) la partecipazione al dibattito politico è risultata marginale rispetto alla lotta per acquisire la preferenza personale. Sommersi da manifesti, santini e depliant gli elettori non possono che essere confusi e disorientati. Anche noi lo siamo. Ripetutamente abbiamo espresso la nostra radicale contrarietà rispetto alla legge elettorale votata in Umbria a gennaio. Pur convinti regionalisti siamo giunti, non da oggi, alla conclusione che l’autonomia regionale non possa contenere anche la scelta del sistema elettorale da adottare. Non esiste al mondo una situazione come quella italiana. I sistemi elettorali in vigore sono così numerosi e diversificati da rendere la libera scelta dell’elettore difficile come vincere all’enalotto. Senza alcuna ragione, se non la stupidità istituzionalizzata di questi anni, si sono votati sistemi di elezione delle assemblee che contrastano con il principio ogni testa un voto e con l’esigenza della rappresentatività . L’ideologia della governabilità , di craxiana memoria, ha creato dei mostruosi meccanismi elettorali che escludono fette sempre più consistenti dell’elettorato e annullato le competenze delle assemblee elettive. La strada del presidenzialismo e del populismo non è stata costruita da Berlusconi. Lui la sta percorrendo fino in fondo cercando l’incoronazione a Re d’Italia, ma gli scienziati che l’hanno progettata sono quasi tutti riconducibili ai riformisti nostrani. (altro…)
da Francesco Mandarini | Mar 4, 2010
Ancora dobbiamo smaltire la mazzata d’immagine presa dal PD umbro nella corsa alla candidatura presidenziale vinta da Catiuscia Marini su Giampiero Bocci. Dopo mesi e mesi di contrasti violenti nel gruppo dirigente del maggior partito del centrosinistra pensavamo che, svolte le primarie, si cominciasse a pensare a come vincere le elezioni. Non sta andando così. Nuovamente abbiamo dovuto registrare violente divisioni, per la formazione delle liste, nella coalizione di centrosinistra. Non si tratta di divisioni politiche e su come rispondere alla crisi economico-sociale dell’Umbria. Il terreno di lotta è incentrato sul come salvaguardare carriere amministrative da protrarre anche per decenni, senza misura. Senza alcun comprensibile criterio di valutazione delle candidature, chi far entrare nel gioco dell’oca di questi decenni? Difficile far tornare i conti, la ressa è grande, tanti intendono sacrificarsi in consiglio regionale. Scegliere è difficile. Così nuove lacerazioni, nuove divisioni, nuove dimissioni di pezzi del gruppo dirigente del PD. Domande. (altro…)