da Francesco Mandarini | Mar 20, 2007
I conti pubblici italiani non sono più a rischio. L’emergenza sembra alle spalle. Così ci ha assicurato il ministro dell’economia Padoa Schioppa nel presentare in parlamento la prima trimestrale di cassa per il 2007. Prodotto interno lordo che sale al 2%, mentre scende il rapporto deficit-Pil, ulteriori maggiori entrate fiscali per 10 miliardi di Euro. Bene.
Ciò che non migliora è il reddito delle famiglie con tutte le conseguenze in termini di consumi e di sicurezza per un futuro che rimane incerto per larghi strati di popolazione. Da un governo di centrosinistra ci si aspettano segnali che indicano un inversione di tendenza rispetto ai processi economici che da oltre venti anni hanno premiato la rendita finanziaria e immobiliare, contemporaneamente penalizzando i redditi da lavoro. Questi segnali, ad oggi, non ci sono stati nè sulla finanziaria nè su altri atti del governo Prodi. Rimaniamo in fiduciosa attesa.
Che il risanamento dei conti fosse una priorità può anche essere vero anche se l’aver concentrato in un solo esercizio la cura rimane discutibile per molti economisti, comunque rimane urgente attivare scelte per consentire un recupero del potere d’acquisto di chi vive di lavoro o di pensione. Al preannunciato tavolo di concertazione tra governo e parti sociali questo non può che essere centrale per raggiungere un accordo per rilanciare il nostro Paese.
Un Paese che rimane annichilito da un confronto politico che non fa un passo in avanti rispetto all’insulto sistematico e alle risse televisive su tutto e su tutti. Non esiste al mondo un sistema di mass media uguale a quello italiano. I palinsesti televisivi sono zeppi di programmi in cui si discute di politica. Ad ogni ora del giorno e della notte parlamentari e dirigenti politici si accapigliano su tutto, tramortendo l’attonito spettatore. La politica è diventata spettacolo a volte pregiato, raramente in verità , spesso, troppo spesso, avanspettacolo di dubbia qualità . Continua a prevalere la politica da bar dello sport in cui nani e ballerini cercano di “bucare” lo schermo confrontandosi con il politico di turno. Non è un bel vedere e anche se i pubblicitari hanno scoperto che la rissa politica può avere un auditel apprezzabile come il grande fratello, il dibattito politico rimane scadente.
Il richiamo ai ministri e sottosegretari di Prodi a parlare meno non sembra aver ottenuto grandi risultati e le preannunciate crisi di coscienza di questo o di quello pendono come una spada di Damocle sul destino del governo. La stessa stagione congressuale di molti partiti non riesce a chiarire i termini del confronto.
da Francesco Mandarini | Mar 16, 2007
Un dirigente diessino chiamato a concludere un’assemblea precongressuale, di fronte alle obbiezioni ed ai timori di alcuni iscritti per la prospettiva dello scioglimento dei DS nel partito democratico, ha affermato: “compagni, partito democratico o DS è soltanto un problema nominalistico. Al fondo rimaniamo sempre noi, quelli che siamo stati, con le nostre salde radici a sinistra”. Ha ragione Il dirigente o ha fatto il furbo? La questione è controversa. Uno dei problemi è se le radici sono ancora vitali o se invece sono soltanto un orpello da magnificare durante i congressi per ottenere voti. Propendo per la seconda tesi. Comunque dallo scioglimento del PCI alla Cosa uno, dal PDS alla Cosa due, dai DS al partito democratico il gruppo dirigente è sempre risultato maggioritario e soltanto all’inizio vi fu una scissione significativa, quella che si coagulò in Rifondazione.
La base ha sempre dato ragione ai segretari chiunque essi fossero. I cattivi sostengono che si tratta di un dato di conservatorismo innato in un partito-chiesa come era il PCI. “Chi è solo ha due occhi. Il partito ha mille occhi”, cantava Bertolt Brecht. E giù voti bulgari per il segratario. Il dissenso non era molto apprezzato dai segretari di ogni qualità e livello. Non era questione di coraggio ma di “fede” nelle virtù del Capo. La crisi esplose sotto le macerie del muro di Berlino e da allora si è cercato un approdo verso qualcosa di indefinito. E comunque non è mai stato detto con chiarezza al popolo della sinistra quale era l’obbiettivo da raggiungere. Nè si è avuta una discussione reale e di massa sui limiti e gli errori dell’esperienza dei comunisti italiani. Si è preferito rimuovere il tutto senza sciogliere i nodi di una storia straordinaria e irripetibile che ha certo contribuito alla crescita democratica di milioni di persone, ma che non ha saputo rinnovarsi e analizzare gli errori compiuti. Nei fatti si è trattato di un continuo spostamento degli excomunisti verso una formazione politica di tipo anglosassone. Non è un caso che i modelli di riferimento sono stati in questi anni Clinton e Tony Blair. Vi ricordate della Terza via dell’Ulivo mondiale? Siamo ancora a quel punto. Nonostante il disastro degli ultimi anni del governo del NewLabour molti riformisti italiani sognano di importare in Italia il blairismo. Complimenti. Consiglierei un viaggio a Londra.
da Francesco Mandarini | Mar 5, 2007
Non esiste Paese democratico al mondo in cui ci sono tanti sistemi elettorali come è nella situazione italiana. Conteggiando l’autonomia di scelta delle regioni in materia, sono ventisei i sistemi italiani con cui i cittadini sono chiamati a votare.
Una stravaganza che ha reso l’agire democratico faticoso e senza alcun appeal. Anche gli addetti ai lavori sono confusi quando ti spiegano un sistema di elezione, figuriamoci la gente comune.
Più che elettori consapevoli siamo tutti diventati “tifosi” nei match che l’amata televisione ci propina ogni sera. Al politico è richiesto di “sfondare” il video piuttosto che esprimere un pensiero decente. Con grande naturalezza i nostri parlamentari si cimentano in TV come cantanti, dicitori di poesie e spesso come cabarettisti di mediocre livello. Non tutti dimostrano l’intelligenza politica della Litizzetto. La politica come un “grande fratello” permanente sta annichilendo da anni la partecipazione democratica.
Lo sfibramento della democrazia ha moltissime ragioni e riguarda gran parte dei Paesi. E’ indubbio che la politica abbia perso ormai da anni il suo ruolo di guida della crescita delle nazioni. Conta più una banca centrale o un giudizio del Fondo Monetario Internazionale che mille discussioni in un qualsiasi parlamento. L’ampliarsi del processo di astensione dal voto dimostra il distacco tra il popolo e la classe politica senza che le leadership diano importanza a questo processo di impoverimento democratico. In Italia le cose sono ancor più complicate dalla lunga transizione dalla prima alla seconda repubblica. Il protagonista politico vero di questi ultimi tredici anni è stato indubbiamente Berlusconi. Nel bene e nel male il cavaliere è riuscito a modificare nel profondo il senso comune di una parte consistente dell’elettorato. Gli stessi comportamenti politici di quasi tutti gli addetti ai lavori delle istituzioni ad ogni livello risentono dell’imprinting del berlusconismo. La leaderite acuta è la costante di molti capi e capetti eternamente in campo a destra, al centro e a sinistra. Cogliendo la profondità della crisi della politica, il Capo della destra italiana ha saputo imporre il suo terreno di cultura: l’egoismo proprietario come filosofia di vita. E la proprietà riguarda tutto anche lo “strumento” partito. Forza Italia è l’unico partito nell’universo che non ha mai svolto un congresso. Molte le convention, inesistente qualsiasi confronto interno. Al partito personale di Berlusconi si sono aggiunti i partiti famigliari. Il marito importante che fa eleggere la moglie, il convivente che cerca la poltrona per l’altro o l’altra, è tutto un inno alla famiglia, tradizionale o Dico che sia. E la famiglia in Italia è sacra. La legge elettorale voluta dal centrodestra è l’apoteosi di questo stato di cose. Le oligarchie hanno per legge nominato deputati e senatori. Se ci è scappato qualche parente catapultato in parlamento non deve scandalizzare. Questa è la politica del dopo partiti di massa. Il presidente Napolitano ha giustamente posto, nell’incaricare Prodi, la questione della modifica della legge elettorale.
Tutti i leader (eccetto Berlusconi) si sono precipitati a fare proposte e comunque a riconoscere il problema. Sono iniziati i distinguo dei partiti (sono venticinque i partiti italiani) e ognuno sta cercando di salvaguardare le proprie rendite di posizione. Mastella, che ha un partito famigliare, ha subito messo paletti: non sia mai che una forza politica come la sua rischi di essere fagocitata da una legge elettorale civile. Ne va della tenuta del governo e naturalmente per il prode Mastella è un problema di coscienza come per i No ai Dico.
da Francesco Mandarini | Feb 25, 2007
La sinistra italiana ha responsabilità pesanti per la palude della situazione politica. La formazione del governo Prodi poteva essere l’occasione per tentare una riaggregazione delle forze sulla base di programmi condivisi. Tra sinistra diessina, PRC,PDCI e Verdi esiste una bacino elettorale attorno al 15% che potrebbe allargarsi con una politica di qualche intelligenza e prospettiva. Si è preferito rimanere chiusi nei propri cortiletti di partito e le “famiglie chiuse”, come ci insegna la psichiatria, producono spesso disastri.
Come scriveva Lenin nell’aprile del 1920: “l’estremismo è la malattia infantile del comunismo”. Ai giorni nostri si potrebbe aggiornare la definizione affermando che il personalismo è la malattia mortale della buona politica.
Come è noto noi non abbiamo votato per i nostri deputati. Abbiamo scelto il simbolo. Le segreterie dei partiti, per non farci affaticare molto, avevano provveduto all’elencazione dei candidati eletti. Si deve ribadire che i deputati e i senatori sono stati nominati dai partiti e non eletti dal popolo. Lasciamo perdere le procedure e domandiamoci perchè un pacifista integrale accetti di entrare in una coalizione di centrosinistra che, lo dice la parola stessa, non può essere pacifista integrale. Pensare negli anni 2000 che l’Italia possa uscire dalle alleanze internazionali o rompere i rapporti con gli Stati Uniti e con questi obbiettivi accettare di entrare in senato mi sembra utopistico. Se accetto di fare il deputato non posso non sapere che sarò obbligato a mediare tra i miei desideri e la realtà che concretamente devo contribuire a governare. Se si accetta la nomina scattano o no i vincoli di coalizione? I problemi di coscienza prevalgono comunque o deve prevalere la salvaguardia degli interessi generali? I senatori Rossi e Turigliatto non sembra si siano posti il problema e hanno messo nei guai la sinistra al governo.
La democrazia è fatta di maggioranze e di minoranze. Queste ultime devono essere garantite nel loro diritto di divenire maggioranza, ma è inaccettabile che i personalismi, anche quando nascondono nobili intenti, vogliono prevalere sulla volontà dei più.
Tanto di cappello a coloro che vogliono svolgere un ruolo di testimonianza senza obbligo diverso da quello della propria coscienza.
Gino Strada, uno degli “eroi” del nostro tempo, non ha mai accettato di scendere nel campo della politica istituzionalizzata. Emergency è una struttura che è cresciuta negli anni senza dover chiedere alcun che alle strutture politiche. Pensate a quante proposte di candidature avrà ricevuto, Gino Strada, in questi anni. Ha sempre rifiutato ed ha scelto di fare politica costruendo la pace non con la retorica, ma con un’agire concreto nell’aiuto ai popoli martoriati dalle guerre di questi anni.
L’intelligenza politica la si dimostra anche rinunciando a prestigiosi incarichi pur di salvaguardare la propria autonomia di pensiero e di azione. Invece di fare il senatore uno può scegliere di potare le rose. Così non rischia crisi di coscienza e si possono potare le rose che ci ha lasciato papa.
da Francesco Mandarini | Feb 25, 2007
I profeti di sventura di destra, di centro e sinistri riformisti alla Giuliano Amato erano stati smentiti. Nonostante i pessimi presagi di incidenti, soltanto una settimana fa la sinistra aveva saputo partecipare ad una manifestazione di massa assieme a uomini e donne di Vicenza senza che si verificasse il minimo atto di estremismo, nemmeno verbale.
Pochi giorni dopo in Senato, il governo Prodi è stato battuto e si è aperta una crisi di governo i cui esiti sono tutti da verificare. Chi ha fatto cadere Prodi? La grande stampa ha fatto in modo da far ricadere le colpe sulle spalle dei partiti di Bertinotti e Diliberto. Ciò ha prodotto nel popolo che ha votato centrosinistra indignazione, collera e scoramento. Occorre dire la verità : il governo Prodi è caduto non per l’estremismo dei due Senatori della sinistra, ma per la sua debolezza politica e numerica. Che sarebbe successo se i senatori Rossi e Turigliatto avessero votato a favore della relazione di D’Alema? Il quorum non sarebbe stato raggiunto e la crisi si sarebbe aperta ugualmente. Come non domandarsi quale futuro ha un governo di centrosinistra che deve fare affidamento sui voti di Andreotti e Pininfarina? Responsabilità dei due senatori è stata quella di aprire la strada alla canea anti-sinistra che non riguarda tanto o soltanto la destra politica, ma parti consistenti degli opinion maker italiani e settori importanti del mondo dei riformisti.
Sono mesi che Prodi viene presentato come ostaggio della sinistra radicale. Non c’è atto del governo che possa confermare questa subalternità , ma il progetto politico dei vari editorialisti di Repubblica o del Corriere della Sera è di tagliare, annichilire la parte sinistra del centrosinistra. Non interessa ai nostri che l’Unione ha vinto le elezioni anche grazie ai voti del popolo della sinistra. Le idee, i valori di questa parte degli italiani non hanno dignità politica, devono essere in ogni caso disattesi. Non è sufficiente il fatto che gli elettori abbiano votato sulla base di un programma sottoscritto da Bertinotti e Diliberto? Non deve Prodi attuare quel programma?
La manovra è riuscita i dodici comandamenti di Prodi, accettati da tutti i partiti dell’Unione, sono presentati come una netta sterzata al centro del governo del professore. Complimenti, il problema sarà verificare come questo impatterà con quella parte della popolazione italiana già fortemente delusa dalla sordità dei governanti a cui si è dato il voto. Quello che impressiona è l’assoluta incapacità della classe dirigente dell’Unione di rapportarsi al comune sentire della gente. Le caste hanno questo limite.
da Francesco Mandarini | Feb 13, 2007
Nella mia infanzia frequentavo una chiesa in Porta Sant’Angelo. Ricordo che nel confessionale era affisso un manifesto che dichiarava scomunicati tutti coloro che erano iscritti al PCI o alle organizzazioni sociali della sinistra. La decisione del Papa Pio XII non impedì che la sinistra prosperasse elettoralmente e gli iscritti al PCI e al sindacato esplodessero. Si dirà altri tempi, altre speranze, altri uomini e donne. Negli ultimi anni sembra che, anche nella dirigenza della sinistra, dichiarare pubblicamente la propria religiosità sia diventata consuetudine. Il massimo lo si è visto quando dei leader sposati civilmente, dopo aver concepito figli e figlie, a cinquanta anni decidono di risposarsi in chiesa. Folgorazioni. La morale laica non va di moda. Per chi, come il sottoscritto, non ha il dono della fede, sono tempi duri. Il conforto viene dal sapere che la Carta Costituzionale regolamenta i rapporti tra lo Stato e la Chiesa in maniera limpida. L’autonomia dell’uno è garanzia anche per l’altra. Sarebbe sbagliato rispondere con arroganza al fondamentalismo dei teodem alla Binetti. Nonostante tutto la tolleranza rimane un valore da salvaguardare. Senza farsi intimorire dall’aggressività dei talebani nostrani, gli uomini e le donne che rivestono cariche pubbliche, devono rispettare il dettato costituzionale al di là delle proprie convinzioni religiose. Aprire una guerra di religione in un Paese litigioso come l’Italia non è scelta che dimostra grande sensibilità per i problemi del popolo.