da Francesco Mandarini | Mag 27, 2005
Non è una novità il fatto che la redazione di Micropolis non abbia
alcuna simpatia politica per Rutelli. Più volte abbiamo scritto
che l’ex radicale avrebbe fatto meglio a scomparire dalla scena
politica dopo la sconfitta subita alle elezioni politiche del 2001.
Purtroppo il ceto dirigente italiano è quello che è. Rutelli ha un
sogno: costruire il partito democratico. Propugna la democrazia
americana, ma non ne applica la regola fondamentale: chi perde
alle elezioni va a casa. Così è stato per Al Gore e da ultimo per
l’inconsistente Kerry. Il nostro continua a sacrificarsi per il
bene di tutti noi.
Rutelli è una dell’espressioni del trasformismo italiano. Ciò che
propone Rutelli non può che sollecitare la nostra più profonda
avversione politica. Detto tutto il male possibile del leader
della Margherita, ci sentiamo in dovere di affermare che la
responsabilità del disastro, che sta annichilendo il popolo del
centrosinistra, è anche di chi ha voluto inventarsi il listone e
la federazione dei riformisti e di chi, sperando in un tornaconto
elettorale che non c’è stato, non ha denunciato l’errore compiuto
da Prodi e Fassino. Ogni riferimento a Rifondazione è puramente
casuale.
Le giravolte rutelliane sono state possibili grazie ad un sistema
politico che premia le oligarchie e le oligarchie non sono
espressione soltanto dei riformisti. Sono il modo di essere di
tutta la classe dirigente politica in campo.
I partiti si sono trasformati in strutture a-democratiche al
servizio della carriera amministrativa dei miracolati di
Berlusconi: un ceto inossidabile e inattaccabile nella sua
insaziabilità di prebende e incarichi. Dietro la bandiera onorata
della identità di partito si nasconde la merce avariata della
spartizione di collegi elettorali e di posti ben pagati nella
struttura pubblica. Trovare un qualche residuo di identità in
raggruppamenti informi come i partiti attuali è impresa vana.
Prevale il vaniloquio sul riformismo.
In questi anni non c’è stata alcuna seria iniziativa volta a
combattere la deriva della democrazia rappresentativa italiana.
La stessa debole discussione attorno ai nodi del programma
dell’Unione per il futuro governo del Paese non ha mai contenuto
la questione della qualità del sistema politico consolidatosi in
questi anni. La leaderite acuta rimane la malattia infantile della
politica e il sistema maggioritario la bibbia dei fondamentalisti
dell’americanizzazione all’italiana.
Ne abbiamo avuto un piccolo esempio in Umbria nella discussione
dello statuto regionale. L’iper presidenzialismo previsto è stato
denunciato soltanto fuori delle aule di Palazzo Cesaroni da voci
flebili come la nostra. L’opposizione di Rifondazione ha ricordato
l’opposizione di sua maestà , senza lasciare il minimo segno
politico. La decisione della presidente di promulgare lo statuto a
prescindere da tutte le osservazioni di opportunità tecnica e
politica, non ha trovato contrarietà nelle componenti dell’Unione.
Le ultime vicende dell’elezione degli organi di direzione del
consiglio regionale hanno dimostrato come l’appetito dei partiti
2
riformisti o della sinistra alternativa sia senza fondo. Si è
trattato di un vero arrembaggio all’incarico. Un assalto all’arma
bianca che ha determinato la scelta di costituire sette
commissioni permanenti per trenta consiglieri regionali.
Scandaloso è il minimo che si può dire. Conoscendo il movimento
legislativo della Regione Umbra degli ultimi dieci anni, siamo
certi che il sindacato dei presidenti non potrà rivendicare alcun
premio di produttività . Ci sarà risparmiato un qualche tiket a
copertura della spesa.
I feudatari piccoli e grandi sono stati tutti soddisfatti. Una
sistemazione non è stata negata a nessuno. La mitica “regione
leggera†degli anni ‘90 si va consolidando in una struttura
burocratica elefantiaca per staff e consulenze varie. La spesa per
la gestione degli amministratori cresce come il buco del bilancio
dello Stato senza alcun controllo da parte di alcuno.
L’opinione pubblica ci sembra annichilita e sempre più lontana
dalla politica, ma questo è un parere ininfluente. Lunga vita a
Berlusconi, gridano i leader gli amministratori umbri baciati
dalla fortuna. Fin che c’è Lui non ci tocca nessuno, dicono
sottovoce.
Micropolis maggio 2005
da Francesco Mandarini | Mag 22, 2005
Un suicidio. Questa è stata la definizione di Prodi alla decisione della
Margherita di non accettare la lista unica per le prossime elezioni politiche. Ha
ragione Prodi o ha ragione Rutelli? Sommessamente si può tranquillamente
affermare che hanno tutte e due torto. Prodi ha voluto, assieme a Fassino e
company, forzare la mano per le elezioni regionali imponendo uno schema che
ingabbiava in una sola lista i diversi partiti del centrosinistra. Non tutti però, ad
iniziare dai rutelliani, erano convinti che la federazione dell’Ulivo dovesse
muoversi a realizzare un partito che comprendesse De Mita e Fabio Mussi.
Il risultato elettorale del listone è stato positivo? Sì, ma anche dove i partiti
dell’Ulivo si sono presentati con propri simboli Berlusconi è stato battuto alla
grande. La spinta anti cavaliere di Arcore è stata così forte da provocare la
disfatta del centrodestra in quasi tutte le regioni al di là delle soluzioni
“organizzative” che Fassino o Rutelli volevano.
E’ vero che si è consolidata nel senso comune del popolo dell’Ulivo l’idea che
bisogna essere uniti. E’ questo che importa alla gente e non le beghe del ceto
politico. Non rispondere a questa esigenza sarebbe catastrofico.
Il problema dell’unità delle forze contrarie al centrodestra è un problema reale:
la sconfitta nelle elezioni politiche del 2001 è dovuta anche alla divisione tra
Ulivo e Rifondazione. E i risultati di quella divisione li sta pagando il Paese.
Il problema è quale unità costruire. Si può essere uniti anche in una coalizione
o bisogna federarsi o stare in un unico partito dei riformisti? Ai posteri l’ardua
sentenza. Per intanto risulta evidente che la scelta di costruire il partito dei
riformisti è stata una opzione tutta ideologica. E l’ideologia come ci è stato
spiegato da saggi riformisti non è cosa buona. E’ l’esigenza della salvaguardia
delle identità di partito che ha guidato la scelta di Rutelli a rompere il progetto
prodiano della lista dell’Ulivo? Gli addetti ai lavori dicono di no. D’altra parte è
difficile riconoscere una qualche identità in partiti costruiti da un ceto politico di
provenienze articolate e che, a partire dal nome “botanico”, sono il massimo
della genericità politica. Sembra più convincente un’altra spiegazione alle
scelte dell’ex radicale. Non sarà un problema di salvaguardia del ceto politico
margheritiano? In questi mesi si è consolidato un rapporto molto forte tra i
diesse e Prodi. Si sostiene che il professore voleva la certezza che nel nuovo
parlamento ci fosse un bel gruppo di parlamentari prodiani D.O.C. e aveva
chiesto garanzie ai diessini. Quaranta deputati e trenta senatori, così scrivono i
giornali, scelti direttamente da Prodi a prescindere dai desiderata della
Margherita. Quando si tratta di collegi sicuri e di posti da ministro,
sottosegretario, assessore, presidente di commissione scatta la molla della
identità e della pari dignità dei partiti.
E tra minacce e lusinghe viene sollecitato l’orgoglio di appartenenza e a quel
punto non si scherza più: i clientes devono essere soddisfatti nella loro carriera
politica e la lotta si fa dura senza paura a prescindere da ciò che pensa
l’opinione pubblica.
La fase politica che attraversiamo somiglia ad una commedia all’italiana.
Purtroppo la sceneggiatura non è di Age e Scarpelli e la regia non è di Monicelli.
Di questa commedia ne abbiamo avuto esperienza anche in Umbria.
2
Il consiglio regionale ha eletto i propri organi e così si è soddisfatta anche la
voracità dei partiti umbri per l’occupazione delle sedie e degli strapuntini.
Siamo creativi e così ci siamo inventati, per una assemblea di trenta membri,
una ripartizione in sette commissioni permanenti. Con sette presidenti, sette
segreterie, sette dirigenti, sette di tutto. Visto l’intenso processo legislativo
degli ultimi dieci anni, abbiamo la certezza che ai consiglieri regionali rimarrà
molto tempo per consolidare il loro rapporto con i propri elettori e avranno
anche modo di approfondire i problemi della nostra terra e trovare le giuste
soluzioni. Non sarà facile.
Secondo un’indagine della CGIL del perugino, la situazione economico sociale
del territorio è pessima. Aumento del lavoro precario e nuove forme di povertà
che riguardano fette consistenti della popolazione. Che il sindacato umbro
presenti un quadro così allarmante è in parte una novità . Che fare? Siamo in
una fase di grave recessione e la spesa pubblica per gli investimenti e per il
sociale subisce forti ridimensionamenti. Con un governo come quello attuale è
difficile che da Roma giungano stimoli e risorse per affrontare i nostri problemi.
Lo sforzo per individuare i nodi da sciogliere deve essere fatto dalla classe
dirigente umbra in tutte le sue componenti.
E’ stato chiesto al Ministro Siniscalco di fare un’operazione di verità , ma
nonostante l’impegno preso il “tecnico” ha preferito farfugliare giustificazioni al
disastro prodotto dalle politiche economiche del governo Berlusconi.
Diamo un esempio noi umbri. Facciamolo noi un discorso veritiero sullo stato
della nostra economia. Le elezioni ci sono state. Ognuno ha avuto la propria
sistemazione in consiglio regionale o in qualche ente pubblico. Si può adesso
pretendere dal ceto politico un’accelerazione nel lavoro amministrativo e
legislativo a vantaggio del bene comune?
Corriere dell’Umbria 22 maggio 2005
da Francesco Mandarini | Mag 22, 2005
Un suicidio. Questa è stata la definizione di Prodi alla decisione della
Margherita di non accettare la lista unica per le prossime elezioni politiche. Ha
ragione Prodi o ha ragione Rutelli? Sommessamente si può tranquillamente
affermare che hanno tutte e due torto. Prodi ha voluto, assieme a Fassino e
company, forzare la mano per le elezioni regionali imponendo uno schema che
ingabbiava in una sola lista i diversi partiti del centrosinistra. Non tutti però, ad
iniziare dai rutelliani, erano convinti che la federazione dell’Ulivo dovesse
muoversi a realizzare un partito che comprendesse De Mita e Fabio Mussi.
Il risultato elettorale del listone è stato positivo? Sì, ma anche dove i partiti
dell’Ulivo si sono presentati con propri simboli Berlusconi è stato battuto alla
grande. La spinta anti cavaliere di Arcore è stata così forte da provocare la
disfatta del centrodestra in quasi tutte le regioni al di là delle soluzioni
“organizzative†che Fassino o Rutelli volevano.
E’ vero che si è consolidata nel senso comune del popolo dell’Ulivo l’idea che
bisogna essere uniti. E’ questo che importa alla gente e non le beghe del ceto
politico. Non rispondere a questa esigenza sarebbe catastrofico.
Il problema dell’unità delle forze contrarie al centrodestra è un problema reale:
la sconfitta nelle elezioni politiche del 2001 è dovuta anche alla divisione tra
Ulivo e Rifondazione. E i risultati di quella divisione li sta pagando il Paese.
Il problema è quale unità costruire. Si può essere uniti anche in una coalizione
o bisogna federarsi o stare in un unico partito dei riformisti? Ai posteri l’ardua
sentenza. Per intanto risulta evidente che la scelta di costruire il partito dei
riformisti è stata una opzione tutta ideologica. E l’ideologia come ci è stato
spiegato da saggi riformisti non è cosa buona. E’ l’esigenza della salvaguardia
delle identità di partito che ha guidato la scelta di Rutelli a rompere il progetto
prodiano della lista dell’Ulivo? Gli addetti ai lavori dicono di no. D’altra parte è
difficile riconoscere una qualche identità in partiti costruiti da un ceto politico di
provenienze articolate e che, a partire dal nome “botanicoâ€, sono il massimo
della genericità politica. Sembra più convincente un’altra spiegazione alle
scelte dell’ex radicale. Non sarà un problema di salvaguardia del ceto politico
margheritiano? In questi mesi si è consolidato un rapporto molto forte tra i
diesse e Prodi. Si sostiene che il professore voleva la certezza che nel nuovo
parlamento ci fosse un bel gruppo di parlamentari prodiani D.O.C. e aveva
chiesto garanzie ai diessini. Quaranta deputati e trenta senatori, così scrivono i
giornali, scelti direttamente da Prodi a prescindere dai desiderata della
Margherita. Quando si tratta di collegi sicuri e di posti da ministro,
sottosegretario, assessore, presidente di commissione scatta la molla della
identità e della pari dignità dei partiti.
E tra minacce e lusinghe viene sollecitato l’orgoglio di appartenenza e a quel
punto non si scherza più: i clientes devono essere soddisfatti nella loro carriera
politica e la lotta si fa dura senza paura a prescindere da ciò che pensa
l’opinione pubblica.
La fase politica che attraversiamo somiglia ad una commedia all’italiana.
Purtroppo la sceneggiatura non è di Age e Scarpelli e la regia non è di Monicelli.
Di questa commedia ne abbiamo avuto esperienza anche in Umbria.
2
Il consiglio regionale ha eletto i propri organi e così si è soddisfatta anche la
voracità dei partiti umbri per l’occupazione delle sedie e degli strapuntini.
Siamo creativi e così ci siamo inventati, per una assemblea di trenta membri,
una ripartizione in sette commissioni permanenti. Con sette presidenti, sette
segreterie, sette dirigenti, sette di tutto. Visto l’intenso processo legislativo
degli ultimi dieci anni, abbiamo la certezza che ai consiglieri regionali rimarrÃ
molto tempo per consolidare il loro rapporto con i propri elettori e avranno
anche modo di approfondire i problemi della nostra terra e trovare le giuste
soluzioni. Non sarà facile.
Secondo un’indagine della CGIL del perugino, la situazione economico sociale
del territorio è pessima. Aumento del lavoro precario e nuove forme di povertÃ
che riguardano fette consistenti della popolazione. Che il sindacato umbro
presenti un quadro così allarmante è in parte una novità . Che fare? Siamo in
una fase di grave recessione e la spesa pubblica per gli investimenti e per il
sociale subisce forti ridimensionamenti. Con un governo come quello attuale è
difficile che da Roma giungano stimoli e risorse per affrontare i nostri problemi.
Lo sforzo per individuare i nodi da sciogliere deve essere fatto dalla classe
dirigente umbra in tutte le sue componenti.
E’ stato chiesto al Ministro Siniscalco di fare un’operazione di verità , ma
nonostante l’impegno preso il “tecnico†ha preferito farfugliare giustificazioni al
disastro prodotto dalle politiche economiche del governo Berlusconi.
Diamo un esempio noi umbri. Facciamolo noi un discorso veritiero sullo stato
della nostra economia. Le elezioni ci sono state. Ognuno ha avuto la propria
sistemazione in consiglio regionale o in qualche ente pubblico. Si può adesso
pretendere dal ceto politico un’accelerazione nel lavoro amministrativo e
legislativo a vantaggio del bene comune?
Corriere dell’Umbria 22 maggio 2005
da Francesco Mandarini | Mag 15, 2005
Il nostro Paese è in recessione economica. Molti sostengono che siamo alla
situazione più difficile degli ultimi cinquanta anni considerando la situazione
internazionale e il livello di crisi del settore industriale che, nell’ultimo trimestre,
perde un altro cinque per cento della propria capacità produttiva e tra i
sessanta Paesi industrializzati l’Italia si colloca al cinquantatreesimo posto.
Ottimo piazzamento.
Il più grande venditore di pannina del mondo, il cavalier Berlusconi, ci consola
dicendo che non di recessione si tratta, ma di stagnazione. Abbiamo fatto le
vacanze di Pasqua a marzo e non ad aprile, e per questo gli indicatori
economici non vanno bene. Le barzellette come metodo di governo. Allegria.
Come se la stagnazione dell’economia fosse un banale raffreddore e non l’inizio
del disastro, il capo del centrodestra ha deciso che non ci sono i soldi per
rinnovare il contratto dei dipendenti pubblici e accusa i sindacati di esosità . Lui
che esoso non è ed è noto per il suo disinteresse per gli affari, Berlusconi
continua a scaricare sugli altri le responsabilità di un disastro delle politiche
governative di dimensioni epocali. Entrerà nella storia come il peggior governo
della repubblica? E’ possibile.
E’ evidente a tutti, infatti, che se non fossimo coperti dallo scudo europeo
dell’Euro, l’Italia si avvierebbe con rapidità verso l’Argentina di alcuni anni or
sono. Lo dicono tutti, ma è più popolare accusare l’introduzione dell’Euro quale
causa dell’erosione del potere d’acquisto dei lavoratori di ogni livello e settore
produttivo.
In questo quadro che ti fà il centrosinistra vincente? Propone concrete soluzioni
alternative a quelle della destra sollecitando le energie democratiche del Paese?
Raramente. Ricomincia a litigare attorno alla lista unica e alla federazione
dell’Ulivo.
E sì, come se non fosse successo niente i leader e leaderini dell’Unione hanno
ricominciato a dichiarare. Partito dei riformisti, federazione, lista unitaria, c’è
ne è per tutti i gusti. Dichiarano sulla guerra giusta, sollecitano l’introduzione
del blairismo nella politica del centrosinistra, minacciano catastrofi se non si
riconoscono le loro esigenze di visibilità .
Dichiarano da Roma sulla formazione delle giunte regionali cercando di imporre
i loro assistiti in qualche posto di governo locale. Quando si trovano d’avanti ad
un microfono aprono la bocca e dicono. Sono miracolati da Berlusconi e si
sentono geni della politica e già ministri. Si va consolidando nell’opinione di
tanti che hanno votato per l’Unione che sarebbe utile un anno di silenzio di
alcuni dirigenti del centrosinistra. I cattivi dicono che l’unica speranza per
Berlusconi è rappresentata dai logorroici del centrosinistra. Esagerano.
Ne abbiamo avuto prova anche in Umbria di questa logorrea.
La novità politica nelle ultime elezioni regionali è stata l’elezione di un
rappresentante dei Verdi nell’assemblea di Palazzo Cesaroni. Novità importante
che non può non essere valorizzata dai partiti dell’Unione. Sembrerebbe giusto
quindi che nella ripartizione degli incarichi sia utilizzato il consigliere verde.
Non farlo sarebbe uno sciocco errore dovuto ad arroganza e cecità politica.
Quello che è intollerabile sono le dichiarazioni al riguardo dell’Onorevole
Pecoraro Scanio. Non è educato ed è politicamente scorretto minacciare
ritorsioni nazionali se non sono soddisfatte le esigenze del partito dei Verdi.
2
Non spetta al ciarliero portavoce del sole che ride interferire con quanto, nella
propria autonomia, il consiglio regionale dell’Umbria deciderà per ciò che
concerne gli incarichi. Un parlamentare dovrebbe ben sapere che le istituzioni
locali non possono essere oggetto di brutali interferenze romane.
E’ invece più utile che l’onorevole Pecoraro Scanio aiuti a risolvere la pessima
situazione interna ai Verdi dell’Umbria. Non è un bello spettacolo che,
raggiunto un risultato apprezzabile con l’elezione di un consigliere regionale, si
apre un conflitto interno le cui logiche risultano di difficile lettura.
Veniamo informati dall’agenzia del consiglio che il consigliere Dottorini
raggiungerà Palazzo Cesaroni in bicicletta. Notizia interessante che rappresenta
una sfida per tutti i perugini che per pigrizia non usano quel mezzo di
locomozione. Le salite della nostra città sono ostiche per i più. Sarà felice Rita
Lorenzetti che è abituata alle biciclette del folignate e potrà sentirsi a Palazzo
Donini ancora più come a casa propria?
Parlando di cose serie è il caso che risolte le questioni organizzative del
consiglio regionale, si cominci a discutere di come la recessione del Paese
incide nella nostra terra e quali politiche si rendono necessarie per cercare di
contribuire all’uscita dalla crisi. Insistere a presentare la nostra Umbria come
un’isola di benessere è sbagliato. Il dato dei livelli di occupazione nasconde un
mondo di precarietà del lavoro che rende angosciante il futuro di molti giovani,
ma non solo. Le imprese in crisi sono ormai moltissime ed è tempo di dare
sostanza al lavoro fatto attorno al patto per lo sviluppo. Una discussione vera
sullo stato della nostra economia va fatta con rapidità e con rapidità tutte le
istituzioni devono aprirsi ad un confronto con tutti i protagonisti dello sviluppo
economico e sociale dell’Umbria.
Fare politica significa questo, e non conquistare posizioni di potere nella
struttura pubblica. Altrimenti i contraccolpi potranno essere pesanti.
Corriere dell’Umbria 15 maggio 2005
da Francesco Mandarini | Mag 8, 2005
Nessuno scommetteva un penny sulla sconfitta del new labour nelle elezioni
inglesi. La stessa “bibbia” del liberismo intelligente, The Economist, ha
sostenuto che se si voleva favorire una politica di centrodestra bisognava
votare per Tony Blair ed è tutto dire. Non c’era partita. I conservatori non
rappresentavano una alternativa di governo credibile. Una linea politica
razzista come quella dei tory non poteva essere condivisa dalla maggioranza
dei britannici. E così, per la prima volta nella storia nonostante uno dei peggiori
risultati elettorali della propria storia, i laburisti ottengono il terzo mandato di
governo. Un successo travagliato visto il tracollo di voti e il ridimensionamento
della maggioranza alla Camera dei Comuni, ma sempre successo è diranno i
riformisti D.O.C. italiani. La terza via di Tony sembra essere diventata un
viottolo. La guerra in Iraq ha avuto come effetto collaterale il
ridimensionamento della leadership blairiana.
Le elezioni inglesi hanno una certa importanza anche per noi ed è noto
l’apprezzamento per Tony Blair di una parte sostanziosa dei riformisti nostrani.
Anche per questo può essere utile approfondire ciò che è successo al di là della
Manica.
Intanto va sottolineato un dato: il sessantaquattro per cento dell’elettorato ha
votato contro il new labour. Nonostante questo, il sistema elettorale inglese
consente a Tony Blair di conservare la carica di primo ministro. Prima
riflessione. Che sistema elettorale è quello che consente alla “minoranza” di
governare un Paese? Che sistema è quello che consente ai laburisti di ottenere
trecentocinquantacinque deputati con il trentacinque per cento dei voti mentre
i liberal-democratici con il ventidue per cento ne ottengono sessantadue di
deputati? E’ il maggioritario secco assicurano gli esperti. Sappiamo che questo
è il sogno di parti estese delle oligarchie politiche italiane.
Anche dalle nostre parti va scomparendo ogni criterio di rappresentanza delle
idee per privilegiare la governabilità . Pure nel nostro sistema politico una
ristretta cerchia di professionisti può tranquillamente decidere chi può entrare
nel privilegiato mondo degli addetti alla gestione della cosa pubblica.
Esemplare da questo punto di vista quanto sta succedendo nella formazione
delle giunte regionali a seguito delle recenti elezioni stravinte dagli unionisti. E’
vero che nel sistema attuale le giunte non sono più un organo istituzionale, ma
una sorta di consiglio di amministrazione in cui prevale sempre il presidente.
Concentrato il potere politico nel capo dell’esecutivo e il potere gestionale nel
management, l’assessore svolge, nel bene e nel male, un ruolo di
rappresentanza delle decisioni di altri organi. Pur per posizioni così
ridimensionate in molte situazioni è stato pesante l’intervento nazionale per la
scelta dei membri della giunta. Teoricamente la competenza è tutta del
presidente eletto, concretamente le giunte riflettono pressioni di lobbies
politiche e a volte ha prevalso l’esigenza di sistemazione di famigliari rampanti.
Comprensibile che a Roma si discuta dell’equilibrio politico nella ripartizione dei
candidati presidenti. Sembra eccessivo che si intervenga dal centro anche nella
formazione delle giunte. Prevalendo questa filosofia i presidenti avranno
almeno il potere di scegliere autonomamente il portierato? Siamo o non siamo
per il federalismo?
2
La giunta regionale dell’Umbria si è formata tenendo presente esigenze diverse.
Esprimere valutazioni sulle qualità dei prescelti non è nè educato nè gentile.
Messe alle spalle le polemiche susseguenti le scelte fatte è il caso di tornare a
discutere delle cose da fare con urgenza per affrontare una situazione
economico-sociale che anche in Umbria non è brillante. E non potrebbe essere
altrimenti. Se è il sistema Paese in difficoltà , l’Umbria non può che risentire
della crisi.
Intanto la difficoltà della spesa pubblica. Tra tagli dei trasferimenti centrali ed
aumento dei costi, si pone anche per noi la questione di dove trovare le risorse
per almeno mantenere gli standard dei servizi pubblici ad iniziare da quello
sanitario.
E già si vedono i rischi dell’accendersi di nuovi campanilismi per la ripartizione
delle scarse risorse. I campanili sono una reale risorsa dell’Umbria nella misura
in cui sono parte di un disegno generale e non espressione esclusiva del
lobbismo locale.
Torna l’infelice slogan di Perugia capitale piglia tutto? Sarebbe una catastrofe.
E’ consigliabile qualche approfondita lettura dei dati statistici rispetto alla
ripartizione della ricchezza regionale e della spesa pubblica allargata. Forzature
non sono utili a nessuno e una sorta di “leghismo” municipale umbro non
sarebbe migliore di quello in cui è maestro l’onorevole Calderisi.
Meglio una discussione anche aspra che stimoli il governo regionale ad aprire
una discussione partecipata che consenta di fare scelte innovative nei settori
ancora arretrati della nostra struttura economica, sociale e culturale.
Se il quadro generale è allarmante il lavoro che spetta alla nuova giunta non
sarà lavoro facile. Ci vorrà molta intelligenza e non guasterebbe un po’ di
passione politica. Non serve alla presidente alcuno slogan. Anche se la
tentazione di gridare “avanti miei Prodi” è forte è meglio lavorar tacendo.
Corriere dell’Umbria 8 maggio 2005
da Francesco Mandarini | Apr 24, 2005
Margaret Thatcher, dopo essere stata rimossa dall’incarico di primo ministro
per decisione del partito conservatore inglese, lasciò Downing street a bordo di
un taxi e pagò le spese di trasloco dalla residenza del capo del governo alla
sua abitazione. La donna che distrusse in un decennio, attraverso una sorta di
rivoluzione conservatrice, le trade unions e il partito laburista, perso il potere,
non fece pagare allo Stato nemmeno un penny. Il dottor Fitto, sconfitto da
Niky Vendola nelle regionali delle Puglie, avrà per cinque anni garantita l’auto
blu pagata dai contribuenti italiani.
Massimo Cacciari, filosofo passato dal pensiero di W.F.Nietzsche a quello di
Rutelli, è ridiventato sindaco di Venezia sollecitando e ottenendo i voti della
destra. Il dottor Cacciari si dichiara uomo del centrosinistra, ma ottiene i
complimenti di Alleanza Nazionale e di tutta la destra veneta per aver sconfitto
l’avversario candidato dal centrosinistra. La soddisfazione è grande: è la prima
volta che Venezia esprime un sindaco votato dalla destra. Cacciari entusiasta,
teorizza, è abituato a farlo, un mondo della politica in cui destra e sinistra si
uniscono in un laboratorio creativo in cui è decisivo il ruolo di”¦..Cacciari.
E’ la nuova politica quella che ci tocca vivere ai tempi del berlusconismo e del
maggioritario all’italiana. Ed hanno ragione coloro che temono che alla
scomparsa politica dell’uomo di Arcore, non corrisponda affatto il ripristino
della politica come servizio all’interesse collettivo. Il dopo elezioni sta là a
dimostrare la pochezza del dibattito politico in una fase così delicata per la
democrazia italiana.
E’ il sistema politico vigente, frutto di anni e anni di improvvisazioni istituzionali,
che produce le astrusità che ci tocca constatare leggendo dichiarazioni e giudizi
da vari candidati eletti o no in consiglio regionale. Non è solo demerito degli
interessati l’asprezza degli scontri interni ai partiti. Certo lascia trasecolati
leggere dichiarazioni di un dirigente che intima il silenzio ad un suo compagno
di partito che risulterebbe sconfitto nella sua azione lobbistica. Comprensibile
l’amarezza e la delusione di molti non eletti,ma bisogna fare uno sforzo per
capire ciò che è successo al ceto politico italiano. Senza modificare i sistemi
elettorali non c’è speranza di uscire da una situazione in cui l’interesse
personale prevale su quello generale. E quale è l’interesse generale?
Banalizzando si potrebbe dire che sia quello di avere una classe politica che per
competenze e per passione civile mette al primo posto il bene collettivo.
Ad esempio sarebbe buona cosa se la giunta regionale dell’Umbria fosse
formata a prescindere dal brutale interesse di partito o di qualche famiglia
importante. I beni informati assicurano che la nuova giunta non ci stupirà . Al di
là di qualche new entry la struttura si confermerà ben sperimentata e
conosciuta. E questo non sarebbe una tragedia se le scelte di conferma fossero
dettate dalle qualità amministrative degli “eletti” e non dal semplice criterio
della carriera o peggio da familismo.
Purtroppo i partiti sono diventati strumenti che servono soltanto ad assegnare
incarichi. Una sorta di assemblea degli azionisti che sceglie i membri dei vari
“consigli di amministrazione” in un gioco dell’oca i cui giocatori sono
praticamente gli stessi e senza arbitri. Vale il principio dell’ognuno per sè e
l’effetto Berlusconi per tutti.
Rita Lorenzetti ha ottenuto uno straordinario risultato personale. Successo
individuale conseguenza e frutto di tanti fattori ad iniziare dalla capacità
dimostrata dalla presidente di avere un rapporto con la società regionale in
tutte le sue espressioni partendo da quella popolare. Logica vorrebbe che dopo
tanto ben di dio in consensi elettorali nominare la giunta sia un gioco da
ragazzi. Non è così.
Le leggi prevedono l’esclusiva competenza del presidente nel formare
l’esecutivo, ma la realtà spesso confligge con le norme scritte. La confermata
presidente ha un grande problema la cui soluzione non dipende soltanto dalla
sua volontà . Si tratta di costruire una classe dirigente di valenza regionale
anche a prescindere da un rigido equilibrio territoriale. Non è questo all’ordine
del giorno dei partiti politici? Se è così è tutta la coalizione vincente che
dovrebbe dimostrare una sensibilità istituzionale nella scelta delle rose di
candidati da proporre per l’ingresso in giunta regionale.
E’ scontato che non sarà così. A sentire alcuni c’è il rischio che per scelta dei
diversi partiti, la giunta regionale sarà composta da molti assessori provenienti
dalla parte sud della nostra regione. Funzionerà una giunta così squilibrata?
Le elezioni, vittoriose per il centrosinistra, hanno provocato molti problemi
all’interno dell’Unione. Il cannibalismo della preferenza unica ha prodotto molti
danni e determinato una capacità di rappresentanza del consiglio regionale
sbilanciata che potrebbe rappresentare un serio problema nel rapporto con gli
amministrati.
E al di là della giusta soddisfazione per i risultati elettorali è il caso di
cominciare a preoccuparsi per i problemi irrisolti del Paese e dell’Umbria. La
crisi del governo Berlusconi sarà risolta rapidamente. Questa volta il cavaliere
non ci meraviglierà e le novità non entreranno nella storia. Storace ministro
della sanità o La Malfa imbarcato nel governo della destra sono cose che non
cambiano la vita a nessuno di noi.
Inizia un anno di galleggiamento nei marosi della crisi profonda della società
italiana. Come Umbria non siamo un mondo a parte. La decadenza della
nazione potrà avere effetti devastanti anche nella nostra comunità . E’ il caso di
mettere in campo tutte le intelligenze e le potenzialità della nostra terra per
contrastare i pessimi processi in atto. Una buona giunta sarebbe d’aiuto, ma i
versi non sono belli.
Corriere dell’Umbria 24 aprile 2005