da Francesco Mandarini | Apr 10, 2005
Nel complesso tutti gli analisti concordano che il carisma del capo di Forza
Italia non funziona più.
Da qui la bruciante sconfitta nelle elezioni regionali di domenica scorsa? La tesi
che le televisioni non bastano per convincere gli elettori sembra essere
insufficiente. Nel voto non avranno influito anche fattori più concreti del
carisma di un eccellente venditore di sogni come Berlusconi? Qualche
riflessione in più rispetto alle condizioni di vita del popolo italiano aiuterebbe a
capire. Negli ultimi quattro anni non sono certamente migliorate le prospettive
di tanta gente. Un lavoro decente e stabile è un lusso. Ad un pensionato la
pensione non garantisce più una vita dignitosa. Nonostante l’enfasi posta da
Berlusconi sui miracoli dell’attività di governo la gente è oggi insicura e in molti
casi più povera.
La maggioranza della nazione non sostiene il presidente di Mediaset perchè lo
stato dell’economia e del vivere è peggiorato per gran parte del popolo italiano.
Il resto è aria fritta. L’entità della disfatta è tale da non lasciare il minimo
spazio ad analisi rabbuffate come quelle tentate dai berluscones alla Fabrizio
Cicchitto.
Il disfacimento del centrodestra è sotto gli occhi di tutti. Perdere in un sol colpo
due milioni di elettori è cosa che non può non incidere profondamente anche
nel destino del governo centrale. Il voto ha punito non solo il modo di
amministrare dei presidenti del centrodestra, ma anche la qualità del governo
di Berlusconi, Fini e Bossi. Tutti loro hanno dato una bella mano all’Unione per
stravincere anche al di là dei meriti di alcuni dei suoi leader nazionali.
Non sono molti a scommettere che la legislatura potrà terminare alla scadenza
del 2006. Non è detto però che l’irresponsabilità del ceto politico non arrivi a
mantenere il Paese in uno stato di non governo per un altro anno. La
resistenza di molti di coloro che nel centrodestra vedono messo a rischio il loro
potere e le loro prebende di parlamentari è molto forte. Con l’aria che tira è
evidente che il seggio sicuro non c’è più per nessuno neanche nel profondo
nord leghista.
Per il centrosinistra la partita resta durissima. Incassato l’enorme risultato
elettorale contro il berlusconismo adesso si tratta di costruire un programma
per uscire dall’ideologia su cui ha costruito le sue fortune l’uomo di Arcore. Non
sarà facile. Le macerie non sono frutto soltanto del governo di centrodestra.
La Federazione dell’Ulivo ha ottenuto un risultato tale da consolidare la
leadership di Prodi, il più tenace nella scelta. Il progetto unitario è stato
premiato ed ora si tratta di consolidare la prospettiva. Sembra logico che si
vada alla conferma anche per le elezioni politiche. I riformisti con i riformisti
dunque. E la sinistra alternativa che fa? Non è tempo di superare anche le
antiche lacerazioni e lavorare ad un progetto che aggreghi in un simbolo
soltanto per il voto del 2006 Rifondazione e PCDI? Quel 15% di voti a sinistra
dell’Unione non potrebbero unificarsi in un solo contenitore? Continuare a
differenziarsi sulla base di rancori personali sembra paradossale. Ed anche
elettoralmente non premia.
Il voto in Umbria non è dissimile dal resto del Paese. Ed è in continuità con la
storia della nostra terra. Nelle elezioni regionali del 1975 il Pci e Psi ottennero
335 mila voti, quest’anno l’Unione 291 mila, ma a quei tempi c’era meno
2
astensionismo. In Umbria l’Unione ha avuto qualche punto percentuale in più di
altre regioni ed un significativo successo personale per la candidata presidente
Rita Lorenzetti. Anche da noi c’è stata una lotta all’ultima preferenza che ha
lasciato rancori e proteste.
Non è un fatto soltanto di voracità personale. Il cannibalismo è dovuto ad una
“folle” legge elettorale che favorisce il lobbismo e il localismo più becero e
sollecita il peggio di ciascuno, spappolando ogni ipotesi di formazione di gruppi
dirigenti sovra collegio elettorale.
Se le elezioni hanno prodotto diverse macerie, tra queste vanno evidenziate
quelle dell’unità dei gruppi dirigenti dei partiti. Una catastrofe. A leggere le
dichiarazioni dei singoli candidati eletti in consiglio regionale viene naturale
pensare che la classe politica sia impazzita. Travolti in Italia, annichiliti in
Umbria, ci sono dirigenti della Casa della Libertà che enfatizzano nelle
dichiarazioni ai giornali il successo ottenuto nelle preferenze personali.
Dirigenti di primo piano della Federazione dell’Ulivo denunciano congiure,
annunciano dossier e rivendicano al loro prestigio la quantità di preferenze
raggiunte contro il volere di forze occulte o di istituzioni insensibile al fascino
del candidato. Il quadro è allarmante. Adesso i nostri eroi dovranno governare
ed è evidente che formare la giunta diverrà un’impresa titanica e superare le
lacerazioni non sarà facile. Tra le altre macerie c’è la questione della
rappresentanza. Il grado di rappresentatività territoriale del consiglio regionale
è assolutamente insoddisfacente. Territori iper rappresentati, territori assenti e
territori (l’area vasta di Perugia per dirne uno) sottorappresentati. Non è un
piccolo problema o problema che riguardi solo Locchi.
Ci vorrà molta sagacia politica per far superare l’impressione, ulteriormente
confermata, di una marginalità dei gruppi dirigenti perugini nella vicenda
regionale. Mi è stato domandato, da un leader diessino di primo piano, se noi
perugini siamo diventati nel tempo una sottorazza politica. Convinto
antirazzista anche in politica, non sicuro delle teorie di Lombroso, ho risposto
che il problema è da risolvere utilizzando l’intelligenza, magari sollecitando
negli altri un interesse superiore a quello del proprio feudo elettorale. Capisco
l’ingenuità della risposta.
Corriere dell’Umbria 10 aprile 2005
da Francesco Mandarini | Mar 27, 2005
Referendum, referendum, reclamano a gran voce tutti i leader del centrosinistra.
Richiesta sacrosanta quanto ovvia per ogni democratico. Al
referendum abrogativo delle modifiche costituzionali, volute da Bossi e
Berlusconi, ci si deve andare non per concessione della destra,ma perchè lo
prevede la Costituzione all’art. 138. Il problema non è questo. L’impressione è
che si invochi con veemenza il referendum per mettere da un canto quanti, tra
i riformisti di ogni colore, non disdegnano affatto il lavoro attuato dai
berluscones. Alcuni di costoro hanno già dichiarato che il capo del governo
previsto nelle modifiche”¦non è forte abbastanza!! Figuriamoci, se prevalesse
questa tesi, magari lavorando a qualche evento bipartisan, vincere il
referendum abrogativo sarà impresa titanica. Va a spiegare tu alla popolazione
che se una legge la vuole Bassanini ed è sponsorizzata da “Il Riformista”, va
bene e se è Calderoli il legislatore e “Il Foglio” l’organo celebratore, non va più
bene.
Domanda di un cittadino di media cultura politica: Prodi è stato a Bruxelles per
cinque anni e si può capire la disattenzione di questi anni su quanto stava
succedendo nel Parlamento italiano, ma i vari leader dell’Ulivo, dei DS,ecc.
ecc”¦ dove erano, quando ad ogni livello, si è lavorava testardamente per la
personalizzazione della politica? Aver imposto il sistema elettorale
maggioritario senza prevedere pesi e contrappesi adeguati, aver svuotato di
ogni potere la rappresentanza delle assemblee, non anticipava quanto vuol
fare Berlusconi del Parlamento? Aver consentito venti sistemi elettorali diversi
per le elezioni regionali (uno per regione) non incrina di fatto l’unità nazionale?
Chi sono stati i responsabili, si fa per dire, di questa lunga estenuante
transizione istituzionale? Si va educando il Paese, elezione dopo elezione,
all’uso della politica come fatto personale. Come ci si può meravigliare se un
gentiluomo come il cavaliere di Arcore impone al Parlamento una riforma della
Costituzione che assegna al leader maximo tutto il potere?
Bisogna essere chiari e rigorosi nel giudizio: quanto contenuto nella “nuova
costituzione” della destra è il pessimo esito di una lunga stagione politica
iniziata con lo slogan craxiano della “Grande Riforma”. Certo è inimmaginabile
che il segretario del PSI avrebbe lavorato a sradicare in questo modo la Carta
Costituzionale. Il PSI era stato un artefice fondamentale di quella normativa
mentre Bossi, Berlusconi e Fini sono estranei per natura e sensibilità ai valori
fondanti la Repubblica Italiana. La destra è noto che considera la Carta come
costruita con un timbro sovietico e figlia di una pessima stagione politica.
Non considerare un feticcio la Costituzione del 1948 è stato forse giusto, ma è
altra cosa dal lavoro fatto per distruggerne l’essenza e i valori invece di cercare
una sua moderna applicazione. L’assillo della governabilità nasce negli anni ’80
ed ha travolto molti anche nel centro-sinistra. Non bisogna dimenticare il
percorso, le scelte legislative e referendarie compiute oltre che l’ideologia che
caratterizza la “riforma” berlusconiana. Berlusconi ha in tutta evidenza
raccolto, a modo suo, in un terreno che altri hanno concimato, arato e
seminato con altri obbiettivi o magari soltanto per non apparire conservatori.
E’ vero che Berlusconi ha incassato una serie di leggi personalizzate ed oggi
può vantare l’ipotesi di una Costituzione personale, ma il cavaliere era un
imprenditore gravato di debiti quando di Bicamerale in Bicamerale, il centro2
sinistra lavorava per destrutturare di fatto la Carta del 1948 ritenuta ormai
obsoleta, poco moderna.
Non è stato mai spiegato da nessuno perchè la Costituzione americana, con
oltre duecento anni alle spalle va benissimo e la nostra è vecchia dopo
cinquanta. Misteri del riformismo nostrano.
L’ansia di dare più potere al capo del governo unita a leggi elettorali
farraginose, hanno negli anni privato la democrazia italiana della sua essenza
vitale. Una democrazia vive nel rapporto del popolo con la politica. La politica
ha un senso se è capace di organizzare gli interessi e la rappresentanza oltre
che governare la cosa pubblica. Negli anni è scomparso nei partiti ogni criterio
di rappresentanza sociale e culturale. Ciò a reso la lotta politica una lotta
feudale di leader e leaderini obbligati dal sistema elettorale alla conquista del
feudo e delle lobbies portatrici di pacchetti di voti personali. Sempre più la
politica si è separata dalla sensibilità delle masse popolari, ma anche
dall’interesse delle elite culturali e sociali.
Questa è la peggiore campagna elettorale a cui ho partecipato, mi ha
assicurato un dirigente politico di primo piano. Gli ho creduto senza fatica ed
ho domandato se è ipotizzabile un ravvedimento delle forze politiche per il
prossimo futuro per ciò che concerne il sistema politico.
Alla scadenza delle elezioni politiche si aggiunge quella per il referendum
costituzionale ed andarci con le stesse idee e convincimenti che hanno
caratterizzato gli ultimi dieci anni non sembrerebbe buona cosa a chi apprezza
la democrazia prevista dalla Carta Costituzionale ante modifiche berlusconiane.
Per il centro-sinistra sarebbe grave una sconfitta alle elezioni politiche. Una
tragedia per tutti se il popolo non avvertisse i rischi per la democrazia insiti
nella mostruosità istituzionale a cui ha brindato Bossi il 23 marzo. Una
catastrofe democratica se la gente non partecipasse in maggioranza al
referendum abrogativo.
Conoscendo l’inossidabilità di certi dirigenti del centro-sinistra
autocritiche non sono prevedibili. E l’autocritica non sarebbe decisiva se nelle
scelte concrete che compiranno, subito dopo le elezioni regionali, i leader
dimostreranno di voler cambiare strada almeno per le questioni istituzionali.
Corriere 27 marzo 2005
da Francesco Mandarini | Mar 20, 2005
Destre momento critico
Settimana da incorniciare per l’Italia governata, si fa per dire, dai barluscones.
Ha iniziato la Banca d’Italia comunicando che la produttività si è abbassata del
25% e che gli altri indicatori economici sono tutti pessimi: scrollata di spalle
dei dirigenti forzisti. Interviene l’Avvocatura generale dell’alta corte europea
per definire illegittima l’IRAP, la tassa regionale sulle attività produttive che
porta nelle casse dello Stato 21 miliardi di Euro all’anno. L’efficiente Ministro
Siniscalco rassicura che prontamente il governo interverrà . Da ultimo ti arriva
L’Eurostat, istituto di statistiche europee, per annunciare l’impossibilità di
certificare i dati del bilancio italiano per gli anni 2003 e 2004. I dati non sono a
posto. I conti non tornano. Berlusconi inveisce contro i burocrati di Bruxelles.
Eppure era una settimana iniziata in grande allegria. Il cavaliere, utilizzando il
consueto salottino televisivo, accudito come un bambino dall’elegante e
servizievole Vespa, aveva comunicato al mondo che le truppe italiane
avrebbero iniziato a ritirarsi dall’Iraq il prossimo settembre. La notizia,
rilanciata da tutti i network televisivi e dalla carta stampata, era giunta alla
Casa Bianca tramite la CNN e a Londra a mezzo BBC. Blair ha rischiato di
ingoiare un tramezzino intero e G.W.Bush ha rischiato il soffocamento da
hamburger. Il mondo politico italiano è entrato in fibrillazione e i grandi
editorialisti si sono cimentati con ardite interpretazioni del significato
dell’annuncio berlusconiano.
Ce lo poteva dire prima, lamentano i riformisti-riformisti. Avremmo potuto
anche noi votare per il rifinanziamento della missione in Iraq, che diamine, non
aspettavamo altro.
Bastano poche ore, qualche telefonata in inglese e il “nostro” trasforma tutto in
un’ennesima barzelletta dovuto alla consueta congiura dei giornalisti comunisti
infiltrati anche nei mass media anglosassoni. Via dall’Iraq? E quando mai.
Staremo in quel Paese fino a quando lo vorranno i nostri amici americani.
Siamo tutti più tranquilli sapendo che l’amico George si è fatto una grande
risata finendo l’hamburger e che Tony è potuto tornare a sorridere pappandosi
il suo tramezzino alla mostarda.
Allegria per tutti meno che per il Presidente Ciampi. Annichilito per il disprezzo
del Parlamento dimostrato anche in questa circostanza da Berlusconi, il
Presidente della Repubblica non ha apprezzato la giovialità del cavaliere di
Arcore.
Che vogliamo di più? Quale altro Paese può vantare un primo ministro così
creativo? E in quale altra nazione una campagna elettorale si svolge con tante
cortesie tra competitori come quella per le regionali del 3 e 4 aprile?
Nonostante l’arrivo di leader nazionali di rilievo, il confronto politico non cresce.
Aumenta certamente il colesterolo a causa delle cene e banchetti elettorali, ma
parlare di un dibattito sui programmi delle due coalizioni ci sembra eccessivo.
E’ responsabilità dei singoli candidati produrre programmi di governo? Difficile
immaginarlo. I partiti funzionano ormai soltanto come comitati elettorali e
risolto il problema delle liste sembrano ritirarsi in attesa dei risultati per la resa
dei conti.
Le coalizioni esprimono piattaforme di governo molto generiche. Quando si
tratta di conquistare la preferenza personale bisogna mettere in campo altre
2
risorse organizzative e lo spazio per grandi confronti ideali sembrano proprio
un lusso.
D’altra parte, il quadro di riferimento nazionale è quanto mai incerto. Il debito
pubblico allargato sembra di difficile controllo e in un quadro di trasferimenti
centrali decrescenti è complesso immaginare credibili programmi di sviluppo
economico. Salvaguardare lo stato sociale diviene difficile. A Roma si sta
votando una “riforma” costituzionale che muterà alla radice il sistema
istituzionale italiano con riflessi serissimi per il ruolo e significato degli enti
regione e delle autonomie locali. Altro che federalismo solidale. Il rischio è
quello di una confusione istituzionale in cui le aree forti diventeranno più forti
alla faccia della parte debole del Paese. L’Umbria non è il meridione, ma
immaginare un’autosufficienza delle nostre risorse per mantenere servizi
essenziali e per risolvere i nostri problemi infrastrutturali e della struttura
economica è una sciocchezza.
In un quadro così complesso la campagna elettorale sfila via senza grandi
avvenimenti. Non è classificabile come un avvenimento l’arrivo in Umbria del
Ministro Giovanardi. Il Ministro, non si sa in base a cosa, ci ha informati che
nella nostra comunità “è limitata la libertà di espressione”. Distratti, non ci
eravamo accorti che il regime catto-comunista dell’Ulivo e di Rifondazione
imperante in Umbria controllasse case editrici, stampa e televisioni. Di cosa
parlano? Forse la destra dovrebbe fare uno sforzo per capire meglio la realtà
che vorrebbe governare al posto del centrosinistra. Il nodo è proprio questo: la
destra non sembra conoscere le contraddizioni pur presenti anche nella nostra
regione. Si può fare un bilancio positivo o negativo dell’amministrazione
Lorenzetti e si può criticare il programma presentato dall’Unione per la
prossima legislatura. L’importante è che il giudizio sia argomentato e
verosimile. Non si conquistano voti con slogan generici o denunciando la paura
della Lorenzetti al contraddittorio con Laffranco. E chi ci crede?
E’ vero che la lunga consuetudine con il governo locale avvantaggia molto la
coalizione di centrosinistra. Ciò ha consentito la formazione di una classe
dirigente sulla cui qualità è più che legittimo discutere, come non vederne
l’ossificazione? Ma sempre di una classe dirigente collaudata si tratta.
Il problema è che il centro-destra non ha saputo utilizzare (scomparsa la
Democrazia Cristiana) gli spazzi che anche dall’opposizione si possono avere
per costruire quadri credibili e il litigio interno ha dominato la destra politica.
Corriere dell’Umbria 20 marzo 2005
da Francesco Mandarini | Feb 28, 2005
«Scritti a perdere» di Francesco Mandarini per Crace editore. Appunti sul presente dall’osservatorio
dell’Umbria
VALENTINO PARLATO
Si può aver voglia di comprare e leggere un libro che raccoglie articoli apparsi negli ultimi otto
anni su periodici e quotidiani come la Nazione , il Corriere dell’Umbria , che pure è il mensile
umbro de il manifesto ? A prima vista la risposta è negativa. Anch’io non ero tanto convinto,
ma poi, quando per amicizia e per la curiosità della personalità di Francesco Mandarini ho
cominciato a leggere, il mio ovvio pregiudizio è crollato. Si tratta di un libro assai interessante
e che è utile leggere ( Scritti a perdere , Crace editore, pp. 321, €. 20). Provo a spiegare il
movente di questa mia conversione di cui ho trovato la chiave in almeno due ragioni. La prima
consiste nell’efficacia del passaggio dal particolare al generale. Non un’ideologia sovrapposta
alla realtà , ma il capire che il particolare (qualcuno si ricorda dell’osso di Cuvier?) serve a
mettere a fuoco la realtà storicamente determinata dell’intero paese. Quando Francesco
Mandarini (che si rivela un bravo giornalista, ma che è stato personaggio politico di primo
rilievo in Umbria e anche nel vecchio Pci) coglie il particolare della modifica dello statuto
regionale umbro, mette in piena luce, e con la concretezza del particolare, la deriva
presidenzialistica che si appresta a stravolgere la Costituzione italiana, cioè il patto tra i
cittadini di questo nostro paese.
àˆ nel particolare che Mandarini coglie l’imbroglio tra modernizzazione e americanizzazione che
anche la sinistra inconsapevolmente (spero) pensa che debba essere la via maestra del suo
ritorno al governo. Otto anni di storia d’Italia vista dall’osservatorio dell’Umbria aiutano a
capire più cose di quante non cerchino di farcene capire molti dotti discorsi sui principi generali
della democrazie. àˆ in corso una spinta a demolire la Costituzione della Liberazione e a farne
un’altra, direi della Restaurazione: il popolo ha stancato, torniamo ai Capi. Ma tutto questo si
capisce meglio, ha una sua concreta eloquenza, quando si accende la luce sul particolare.
In secondo luogo (e questo mi interessa assai per lo stato della nostra corporazione) Francesco
Mandarini si rivela un ottimo giornalista: sa trovare il titolo o, meglio, la frase chiave, quella
che colpisce il lettore e si imprime nella sua memoria. Quando Mandarini scrive «galleggiare
sull’esistente», fotografa, con un forte flash, lo stato attuale delle nostre sinistre, tutte quante,
tutte armate di buona volontà , ma che cercano solo di «galleggiare sull’esistente». E ancora,
come Mandarini fotografa il tremendo decadimento della politica e dei partiti e delle stesse
elezioni? Una frase sola, «più preferenze, meno voti». Un sociologo o un politologo potrebbero
fare mille illuminanti discorsi, Mandarini dice una cosa sola, che diminuiscono i voti alle liste,
ma aumentano le preferenze dei candidati. Come in una grande famiglia in decadenza i vari
eredi non mettono più al primo posto la crescita del patrimonio della famiglia, ma la quota di
eredità alla quale puntano. Il paragone forse è forzato, ma le cose stanno a questo modo.
Per queste brevi considerazioni consiglio di leggere Scritti a perdere , che richiama alla mia
memoria una raccolta di articoli di Luigi Pintor pubblicata con il titolo Parole al vento .
Purtroppo l’occhio lucido sulla realtà può spingere al disincanto e allo scetticismo. Ma in
entrambi i casi si tratta – pare a me – di uno scetticismo che stimola all’impegno. In ogni caso
è il contrario dell’adattamento autoassolutorio. Anche come giornalista ringrazio Francesco per
questo suo lavoro, e ringrazio Renato Covino per la sua ottima guida alla lettura.
VALENTINO PARLATO
da Francesco Mandarini | Feb 27, 2005
Una giornata straordinaria è stata quella di sabato 19 febbraio a
Roma. Straordinaria per molti motivi e tutti positivi. Che un
giornale a limitata tiratura, con pochissime risorse economiche,
senza potere e senza apparati, riesca a mobilitare centinaia di
migliaia di persone in un sabato invernale non è cosa che succede
tutti i giorni. Il gruppo dirigente de “Il Manifesto”, colpito
direttamente dagli effetti collaterali della guerra americana in
Iraq con il rapimento di Giuliana Strenna, ha avuto l’intelligenza
di scommettere sulla permanenza in vita di quel movimento per la
pace che ha caratterizzato per lungo tempo il nostro Paese e che
sembrava da mesi scomparso. Hanno avuto ragione. L’Italia,
nonostante tutto, rimane una collettività in cui le forze della
democrazia e della pace sono ben vitali, basta saperle sollecitare
e chiamare in campo. Si è avuto la conferma tangibile che queste
energie rimangono la risorsa fondamentale per ogni idea politica
di cambiamento e di lotta contro la destra italiana. A Roma si è
potuto verificare nel concreto come sia possibile vivere la
politica in modo diverso da quello a cui la destra, il centro ed
anche troppo spesso la sinistra pratica. Anche per noi una
riflessione si impone. L’aver visto in piazza la sinistra moderata,
e tanta parte del ceto dirigente politico (sindaci, presidenti e
quanto di altro) assieme alla sinistra radicale e ai senza
etichette organizzate, ci dice che niente è scontato ne deciso una
volta per tutte. Una piattaforma di unità è possibile anche tra
diversi. E’ stata questa la partita che hanno giocato le forze
attorno al giornale di Giuliana Strenna. Una partita vinta alla
grande.
Si è capito, a Roma, che la politica deve saper organizzare una
intelligenza collettiva attorno a grandi idee e progetti. Nessuna
aveva chiesto un corteo “silenzioso” e senza insulti a Bush e ai
suoi maggiordomi italiani. Eppure tutti hanno capito che il
messaggio che doveva partire dalla manifestazione sarebbe stato
più forte se avesse prevalso il silenzio sullo slogan gridato.
Così è stato e soltanto gli sciocchi non hanno inteso il valore
immenso di quanto si è visto a Roma. Quando si parla degli
orientamenti del popolo lo si fa spesso a sproposito interpretando
i sondaggi. Altro che sondaggi, chi ha voluto ha capito bene ciò
che vuole la “nostra” gente. Al Circo massimo il popolo della pace
e della democrazia ha inviato un messaggio chiaro a tutti coloro
che si affannano attorno a federazioni, primarie e unioni: il
centrosinistra per vincere deve mettere la questione della pace al
centro del proprio programma politico. Se si vuol battere il
berlusconismo è questo il punto nodale e sono queste le forze che
Prodi e il centro sinistra dovrà saper mobilitare nelle urne e nel
Paese, pena la sconfitta.
Non si rischia la disfatta in Umbria per le elezioni regionali. La
candidatura di Laffranco “for president” è la conferma di una
nostra antica convinzione: la destra umbra non ha possibilità di
essere alternativa di governo credibile agli attuali
amministratori. La cosa non è per noi terrificante.
Pur convinti da sempre che la politica del tanto peggio, tanto
meglio non è una scelta di sinistra, rimaniamo convinti che la
sicurezza del successo non aiuti gli uomini e le donne del centro
sinistra umbro a fare le scelte politiche giuste e nell’interesse
della comunità che essi governano da tanti anni. Se possibile le
cose peggiorano, da questo punto di vista, di anno in anno. Questa
volta per l’indicazione a candidato presidente dell’Ulivo e di
Rifondazione non ci sono state grandi discussioni. Anzi c’è chi
sostiene che non se ne è mai parlato. In compenso la formazione
delle liste sta rappresentando una sorta di tragedia greca o
meglio sarebbe dire della farsa di cui parla l’altro editoriale.
Vincere ma non troppo lo slogan degli unionisti. Perdere alla
grande quello dei berluscones. Come potevamo immaginare che
l’ultimo a scendere in campo sarebbe stato il segretario regionale
dei diesse provocando lo sconquasso di cui si parla? Come è
possibile pensare che corrisponda al vero che il PRC dell’Umbria
sia attento a formare una lista in cui i candidati con appeal
siano pochissimi per evitare scherzi nelle preferenze? E’
immaginabile che una classe dirigente stagionata come la nostra,
considerando le lotte fratricide in corso, non si ponga ancora
oggi il problema del sistema politico che si è consolidato in
Umbria? Non è tempo che nel programma per le regionali sia anche
esplicitato il tipo di meccanismo elettorale che si vorrà
instaurare in Umbria visto che l’attuale fa schifo a tutti?
Domande che resteranno, ne siamo certi, senza risposta.
Rutelli ha detto stranamente una cosa intelligente. L’ex radicale
capo della Margherita ha dichiarato che una volta al governo il
centrosinistra dovrà riaffrontare, visto il disastro prodotto, la
tematica delle modifiche costituzionale al Titolo Quinto della
Carta. Chissà quando qualcuno ci dirà che lo statuto in
sospensione per le note vicende, dovrà essere riconsiderato
valutato il tipo di maggioranza che lo ha votato e la non
brillante qualità dei contenuti?
Micropolis febbraio 2005
da Francesco Mandarini | Feb 13, 2005
Le liste per le elezioni regionali devono essere presentate in
tempi ravvicinati, non c’è tempo per grandi ragionamenti
programmatici nè per una valutazione del lavoro svolto dagli
attuali componenti del consiglio regionale. E’ mostrato
apertamente davanti all’opinione pubblica lo stato della politica
nel nostro Paese. La politica non se la passa bene da tempo, ma
nei momenti in cui si devono lasciare o prendere posti il ceto
politico riesce a dare il peggio di sè. La questione è bipartisan.
In tutte e due i poli ne succedono di tutti i colori. Giocano alla
grande i radicali di Pannella: aperti all’alleanza sia con la
destra che con il centrosinistra, con intelligenza e
legittimamente stanno in evidenza su tutti i telegiornali e
giornali. Sollecitati a destra e a manca, aspettano l’offerta più
consona al loro sentire.
E che dire dell’area ex socialista equamente suddivisa tra i
berluscones e i prodiani? In Umbria si prospetta addirittura una
lista “fuori dai poli” che corre da sola con i simboli cari a
tutti i socialisti. Non bisogna scandalizzarsi più di tanto. Dopo
tanti atti compiuti per costruire un nuovo sistema politico che
sostituisse quello degradato dei partiti di massa, ci ritroviamo
con un quadro in cui prevale la frantumazione e le transumanze. I
partiti sono aumentati e tendono sempre più a personalizzarsi.
Ci avevano promesso la semplificazione ed adesso abbiamo sistemi
elettorali incomprensibili e assurdi. Spiego. I sistemi elettorali
per le regionali sono teoricamente venti. Non è mancata la
creatività nello stabilire le norme di voto. Ad esempio, a causa
del sistema elettorale, nella Regione Toscana non si ci sarà
l’alleanza tra ulivisti (unionisti adesso?)e Rifondazione. Il
motivo? I voti in più che porterebbe Bertinotti farebbero scattare
un meccanismo per cui l’alleanza….perderebbe quattro consiglieri.
Capire il perchè è complicato per gli addetti ai lavori,
figuriamoci per la gente. I toscani sono gente pratica ed è per
questo che hanno abolito nel voto le preferenze. Le graduatorie in
lista sono fatte dai partiti e gli elettori non dovranno fare la
fatica di scegliere i consiglieri eletti. Lo hanno fatto per il
loro bene i capi delle coalizioni.
In Umbria la legge elettorale non è stata modificata per le
mitiche vicende dello Statuto e l’alleanza con Rifondazione non
può essere messa in discussione. Trenta candidati e il listino
presidenziale di cinque candidati. Tra gli esperti al lavoro nei
partiti, si fanno i conti e il suggerimento, non reso pubblico, è
di cercare di vincere ma con misura. Il sogno sarebbe riuscire ad
avere meno del 57% dei voti in modo che scatti tutto il listino
dei cinque fortunati che, assieme al Presidente eletto,
entrerebbero a Palazzo Cesaroni senza essere votati da alcuno.
Superare quella percentuale farebbe perdere al centrosinistra due
consiglieri. Vista la debolezza del centrodestra umbro il sogno è
difficile da realizzare, ma si sa che la speranza è l’ultima a
morire e poi il polo di destra ha esattamente l’interesse
contrario. Perdere alla grande non sarebbe una tragedia.
2
E allora grandi tensioni per la graduatoria del listino stesso
oltre che per i nominativi della lista della Federazione
(DS,Margherita,SDI). Le cose sono molto complicate. I criteri da
salvaguardare sono molti. Nel dibattito, stranamente, non è stato
mai introdotto un criterio che valuti la qualità politica e
amministrativa dimostrata da chi si vuol candidare o ripresentare.
Non sarebbe educativo anche rendere partecipe l’elettorato del
giudizio sul lavoro svolto dai singoli assessori o consiglieri? I
criteri emergenti sono altri. La giusta presenza femminile,
l’equilibrio tra continuità e rinnovamento, la rappresentanza
territoriale e se c’è la possibilità anche la diversificazione
culturale e sociale. I posti a disposizione sono quelli che sono e
far quadrare il cerchio è impresa titanica per partiti ormai
divenuti molto “leggeri”. Quando si parla di feudalizzazione non
lo si fa per polemica politica, a questo punto ininfluente, ma la
si denuncia per sollecitare uno scatto di gruppo dirigente
regionale che rivendichi un giusto equilibrio tra le esigenze di
rappresentanza e l’ottenimento del consenso popolare. Obbiettivo
non ultimo di una tenzone elettorale.
Chi ha grandi problemi sono i Ds e si capisce perchè. Rischiano di
essere i portatori d’acqua e di voti senza ottenere grandi
soddisfazioni di ceto dirigente. Essendo il partito più forte ha
anche una classe dirigente molto articolata e sperimentata. Con la
preferenza unica le cose sono drammaticamente difficili. I
candidati espressione di territori in cui i DS sono radicati hanno
un enorme vantaggio come quelli che rispondono a zone in cui è uso
l’espressione del voto di preferenza. Se un territorio ha un solo
candidato è ovviamente avvantaggiato rispetto a chi di concorrenti
ne ha più di uno. L’affollamento di candidati nel perugino rischia
di essere eccessivo: per sua natura Perugia è una “città aperta”.
La scelta della lista unitaria voluta dai prodiani complica
ulteriormente le cose per i Ds umbri e si capisce perchè. I conti
sono semplici: tre partiti divisi fanno (per la circoscrizione di
Perugia) cinquantaquattro candidati. La Federazione
(DS,Margherita,SDI) potrà esprimere una lista di diciotto
candidati. E’ vero e non è da sottovalutare nè guardare con
sufficienza, il significato politico della Federazione. Il
problema è che non c’è scritto da nessuna parte che l’elettorato
premierà la scelta di unificazione delle liste nè che gli eletti
saranno la rappresentazione corretta della forza dei singoli
partiti della Federazione. Forse l’ideale del grande partito
riformista che alcuni sognano vale qualche sacrificio e qualche
scranno in meno.
Corriere dell’Umbria 13 febbraio 2005