Meno poltrone, più referendum

Le ultime elezioni amministrative hanno reso ancora più evidente
la marginalità  dei partiti politici rispetto alla vita dei
cittadini. Un esame attento dei risultati dimostra che la
personalizzazione della politica rende quasi superflua la politica
organizzata. Vincono o perdono i candidati a sindaco al di là 
delle forze politiche che li esprimono. Lo straordinario successo
di Veltroni o di Chiamparino è dovuto essenzialmente alle qualità 
amministrative dei due sindaci piuttosto che alla forza della
coalizione che li ha espressi. Dall’elezioni politiche sono
trascorse poche settimane e questa volta l’effetto Berlusconi non
c’è stato. Il centrodestra ha confermato una debolezza strutturale
nel suo insediamento territoriale e può consolarsi con la
riconquista di Milano. Che non è poco. Conferma lo scarso appeal
dell’Unione in una città  molto importante per la vita economica e
politica del Paese come è la capitale lombarda.
La partita elettorale non si è giocata in televisione, ma nelle
piazze italiane e forse l’Unione dovrebbe trarne una lezione. Meno
TV e più partecipazione popolare sarebbe scelta saggia. Spiace
sentire Bertinotti affermare che se non si è in televisione non si
esiste politicamente. Al riguardo, ci vorrebbe più prudenza. I
rapporti con il popolo sono anche gestibili direttamente senza
passare da Bruno Vespa e anche il voto amministrativo lo dimostra.
In ogni caso si è trattato di un risultato elettorale che deve far
riflettere.
Prendiamo le elezioni in Umbria. A Città  di Castello e a Gubbio
andranno al ballottaggio candidati sindaco soltanto dell’Unione,
la destra conferma la sua forza ad Assisi, perde l’amministrazione
di Nocera e scompare negli altri comuni dove si è votato
nonostante che alle politiche del 9 aprile avesse ottenuto quasi
il 44% dei voti. La tradizionale forza elettorale e organizzativa
dei DS, non è bastata a far eleggere al primo turno il sindaco a
Città  di Castello e a Gubbio. Goracci, sindaco di Rifondazione,
ottiene quasi la maggioranza a Gubbio nonostante che il partito
guidato da Bracco è elettoralmente più forte. Perchè? Anche
scontando la mediocre gestione politica di tutta la vicenda, il
dato che emerge è uno solo:la qualità  e gli interessi del
candidato prevalgono su ogni altro valore. E’ un bene o no? Una
lettura semplificata porta a concludere che è un bene che si
stabilisca un legame diretto cittadino-amministratore senza
mediazioni partitiche, ma ciò ha delle conseguenze dirompenti per
i partiti. Certo ormai un partito politico è nella sostanza il
“partito degli eletti”. Chi non è un amministratore o un deputato
ha poche chance di avere un ruolo politico. La politica esaurisce
il suo compito nell’amministrare un esistente deciso in altri
luoghi, rispetto alle istituzioni e da altri poteri lontani dai
partiti.
Non conosco bene le differenze programmatiche dei candidati
sindaco del centrosinistra nè quelle del centrodestra. Si è
discusso poco di programmi o di priorità  da realizzare.
Non si è capito bene su cosa si siano divisi Ciliberti e Cecchini
a Città  di Castello o Goracci e Barboni a Gubbio. Non sono tutti
unionisti? Non sono al governo in Provincia, Regione e a Roma?
Hanno prevalso logiche di schieramento che divengono allucinanti
visto che, tutti i partiti di centro-sinistra, sono insieme
nell’Ulivo e tra i DS e la Margherita si dovrebbe procedere in
tempi non biblici ad una fusione verso il partito democratico.
In una intervista, la presidente della nostra regione parla
dell’esigenza di andare alla costruzione del partito democratico
anche in Umbria. “Non è un mio sogno, di sicuro, anche se sono
convinta che bisogna farlo”. Dice la presidente. E si capisce
quanto sia difficile pensare come ad un sogno un partito che ad
oggi rischia di non essere nè carne nè pesce. Un partito per
formarsi ha bisogno di avere un orizzonte, un progetto che
travalica la gestione quotidiana degli affari correnti.
Scomparso quello del socialismo bisognerebbe immaginarsene un
altro e capire intanto a cosa serve il nuovo partito, a quali
interessi e valori corrisponde e quali sono le idee di società  su
cui mettere d’accordo Rutelli e Mussi. Chi la costruirà  questa
nuova organizzazione politica? Partire dagli amministratori e
dalle realtà  locali dicono in molti. Giusto, ma non basterebbe.
Come non rendersi conto che ciò che va ricostruito è un rapporto
tra la politica e la vita della gente? I vecchi partiti di massa
rappresentavano nel bene e nel male anche una comunità . Si
articolavano in strutture di base e in organizzazioni di massa che
coprivano spesso anche il tempo libero dei militanti. Essere
iscritto alla democrazia cristiana o al partito socialista,
significava acquisire un’identità , un senso di appartenenza che
condizionava comportamenti e valori. Quelle strutture non sono più
riproducibili? Certamente no, ma il vuoto che esse hanno lasciato
deve essere riempito immaginando una nuova fase della democrazia
italiana che, ormai è evidente, non gode di buonissima salute.
Una prima occasione di riflessione potrebbe essere quella offerta
della campagna referendaria per l’abolizione della controriforma
costituzionale votata dal centrodestra. Al momento il leader
politico più impegnato è il senatore a vita Oscar Luigi Scalfaro.
Persona degnissima, di grande tempra politica ma che forse ha
bisogno di qualche sostegno da parte dei leader unionisti.
Sistemati ministri, vice-ministri e sottosegretari, i capi della
coalizione al governo potrebbero fare un piccolo sforzo di
mobilitazione? Non si vince un posto da sindaco o da deputato nè è
in discussione la collocazione di questo o di quello. Questa volta
si tratterebbe di una vittoria che riguarda tutti i democratici.
Salvaguardare la Carta Costituzionale del ’48 forse vale più di un
posto al sole.
Corriere dell’Umbria 4 giugno 2006

Meno poltrone, più referendum

Le ultime elezioni amministrative hanno reso ancora più evidente
la marginalità dei partiti politici rispetto alla vita dei
cittadini. Un esame attento dei risultati dimostra che la
personalizzazione della politica rende quasi superflua la politica
organizzata. Vincono o perdono i candidati a sindaco al di là
delle forze politiche che li esprimono. Lo straordinario successo
di Veltroni o di Chiamparino è dovuto essenzialmente alle qualità
amministrative dei due sindaci piuttosto che alla forza della
coalizione che li ha espressi. Dall’elezioni politiche sono
trascorse poche settimane e questa volta l’effetto Berlusconi non
c’è stato. Il centrodestra ha confermato una debolezza strutturale
nel suo insediamento territoriale e può consolarsi con la
riconquista di Milano. Che non è poco. Conferma lo scarso appeal
dell’Unione in una città molto importante per la vita economica e
politica del Paese come è la capitale lombarda.
La partita elettorale non si è giocata in televisione, ma nelle
piazze italiane e forse l’Unione dovrebbe trarne una lezione. Meno
TV e più partecipazione popolare sarebbe scelta saggia. Spiace
sentire Bertinotti affermare che se non si è in televisione non si
esiste politicamente. Al riguardo, ci vorrebbe più prudenza. I
rapporti con il popolo sono anche gestibili direttamente senza
passare da Bruno Vespa e anche il voto amministrativo lo dimostra.
In ogni caso si è trattato di un risultato elettorale che deve far
riflettere.
Prendiamo le elezioni in Umbria. A Città di Castello e a Gubbio
andranno al ballottaggio candidati sindaco soltanto dell’Unione,
la destra conferma la sua forza ad Assisi, perde l’amministrazione
di Nocera e scompare negli altri comuni dove si è votato
nonostante che alle politiche del 9 aprile avesse ottenuto quasi
il 44% dei voti. La tradizionale forza elettorale e organizzativa
dei DS, non è bastata a far eleggere al primo turno il sindaco a
Città di Castello e a Gubbio. Goracci, sindaco di Rifondazione,
ottiene quasi la maggioranza a Gubbio nonostante che il partito
guidato da Bracco è elettoralmente più forte. Perché? Anche
scontando la mediocre gestione politica di tutta la vicenda, il
dato che emerge è uno solo:la qualità e gli interessi del
candidato prevalgono su ogni altro valore. E’ un bene o no? Una
lettura semplificata porta a concludere che è un bene che si
stabilisca un legame diretto cittadino-amministratore senza
mediazioni partitiche, ma ciò ha delle conseguenze dirompenti per
i partiti. Certo ormai un partito politico è nella sostanza il
“partito degli eletti”. Chi non è un amministratore o un deputato
ha poche chance di avere un ruolo politico. La politica esaurisce
il suo compito nell’amministrare un esistente deciso in altri
luoghi, rispetto alle istituzioni e da altri poteri lontani dai
partiti.
Non conosco bene le differenze programmatiche dei candidati
sindaco del centrosinistra né quelle del centrodestra. Si è
discusso poco di programmi o di priorità da realizzare.
Non si è capito bene su cosa si siano divisi Ciliberti e Cecchini
a Città di Castello o Goracci e Barboni a Gubbio. Non sono tutti
unionisti? Non sono al governo in Provincia, Regione e a Roma?
Hanno prevalso logiche di schieramento che divengono allucinanti
visto che, tutti i partiti di centro-sinistra, sono insieme
nell’Ulivo e tra i DS e la Margherita si dovrebbe procedere in
tempi non biblici ad una fusione verso il partito democratico.
In una intervista, la presidente della nostra regione parla
dell’esigenza di andare alla costruzione del partito democratico
anche in Umbria. “Non è un mio sogno, di sicuro, anche se sono
convinta che bisogna farlo”. Dice la presidente. E si capisce
quanto sia difficile pensare come ad un sogno un partito che ad
oggi rischia di non essere né carne né pesce. Un partito per
formarsi ha bisogno di avere un orizzonte, un progetto che
travalica la gestione quotidiana degli affari correnti.
Scomparso quello del socialismo bisognerebbe immaginarsene un
altro e capire intanto a cosa serve il nuovo partito, a quali
interessi e valori corrisponde e quali sono le idee di società su
cui mettere d’accordo Rutelli e Mussi. Chi la costruirà questa
nuova organizzazione politica? Partire dagli amministratori e
dalle realtà locali dicono in molti. Giusto, ma non basterebbe.
Come non rendersi conto che ciò che va ricostruito è un rapporto
tra la politica e la vita della gente? I vecchi partiti di massa
rappresentavano nel bene e nel male anche una comunità. Si
articolavano in strutture di base e in organizzazioni di massa che
coprivano spesso anche il tempo libero dei militanti. Essere
iscritto alla democrazia cristiana o al partito socialista,
significava acquisire un’identità, un senso di appartenenza che
condizionava comportamenti e valori. Quelle strutture non sono più
riproducibili? Certamente no, ma il vuoto che esse hanno lasciato
deve essere riempito immaginando una nuova fase della democrazia
italiana che, ormai è evidente, non gode di buonissima salute.
Una prima occasione di riflessione potrebbe essere quella offerta
della campagna referendaria per l’abolizione della controriforma
costituzionale votata dal centrodestra. Al momento il leader
politico più impegnato è il senatore a vita Oscar Luigi Scalfaro.
Persona degnissima, di grande tempra politica ma che forse ha
bisogno di qualche sostegno da parte dei leader unionisti.
Sistemati ministri, vice-ministri e sottosegretari, i capi della
coalizione al governo potrebbero fare un piccolo sforzo di
mobilitazione? Non si vince un posto da sindaco o da deputato né è
in discussione la collocazione di questo o di quello. Questa volta
si tratterebbe di una vittoria che riguarda tutti i democratici.
Salvaguardare la Carta Costituzionale del ’48 forse vale più di un
posto al sole.
Corriere dell’Umbria 4 giugno 2006

I problemi di Prodi e le grane dell’Umbria

Poteva essere una catastrofe. L’intervista di Piero Fassino al
giornale del suo amico dell’infanzia politica torinese, Giuliano
Ferrara, era di tale gravità  da lasciare aperto qualsiasi scenario
per l’elezione del Presidente della Repubblica. Nella sua
creatività  il segretario diessino sollecitava un voto favorevole
della destra sulla base di quattro punti programmatici che il
candidato D’Alema avrebbe dichiarato. Una follia istituzionale a
sentire costituzionalisti di fama o il senatore Scalfaro.
Anche uno studente del primo anno di giurisprudenza sa che il
presidente della repubblica non ha nè può avere un programma, ma
deve rispettare soltanto il vincolo del dettato costituzionale.
L’invenzione fassiniana, per fortuna, è durata lo spazio di un
mattino. Resta inevasa la domanda del perchè di questa caduta
politica. Si può ipotizzare che si sia trattato di un errore
commesso per ingenuità ? La cosa non ha più rilevanza. Saggiamente
D’Alema ha cercato di non bruciarsi ulteriormente e ha lavorato
per candidare Napolitano. Bene, anzi molto bene. L’eletto
presidente della repubblica è persona apprezzabile per molti
aspetti. Ad esempio è un ex comunista che pur riconoscendo gli
errori compiuti dal PCI, non ha abiurato, non è un pentito della
sua storia. Vi paresse poco in una stagione in cui dominano i
tanti convertiti sulla via di Damasco. Soltanto la cecità  politica
dei berluscones ha impedito che il Presidente fosse eletto a più
larga maggioranza. Il carattere, la qualità  istituzionale di
Napolitano rassicurano sulla sua capacità  di essere al di sopra
dei settarismi di parte. Berlusconi non lo ha capito, ma ci vuole
pazienza. Con il tempo capirà  di aver perso le elezioni e la
storiella dei brogli potrà  continuare a raccontarla soltanto a
Bondi e Cicchitto. Presidente della Repubblica soltanto della
maggioranza? La cosa non mi appassiona più di tanto ed è anzi la
conferma che il centrosinistra, se vuol governare nell’interesse
del Paese, deve avere una sua linea politica aperta al contributo
di tutti, ma ferma nei suoi punti essenziali.
Adesso si tratta di formare il governo. Sembra tutto fatto. Il
popolo è in ansia di sapere se il grande Rutelli sarà  oltre che
ministro anche vice-presidente. Forse Prodi dovrebbe esercitare la
funzione che la Costituzione gli affida. E’ il capo del governo
che sceglie i ministri: non c’è logica politica che imponga una
vice presidenza rutelliana. Si tratta soltanto di ambizione
personale. D’Alema ha fatto passi indietro importanti. Fassino,
bontà  sua, ne ha fatto un altro. Potrebbe per una volta farne uno
l’ex-radicale? Non è che abbia un curriculum di così travolgenti
successi politici da richiedere particolari medaglie. Lo stesso
ultimo risultato elettorale non appare come un torrente di voti
per la Margherita. Non è tempo che i vari oligarchi cessino di
preoccuparsi delle proprie posizioni di potere?
Prodi se ci sei batti un colpo, è tempo.
E qualche colpo dovrebbero battere anche i dirigenti dell’Unione
in Umbria. Le cose non vanno benissimo nelle istituzioni locali.
Gli scadenti risultati elettorali ne sono un segno. La crisi del
sistema pubblico è nelle cose. Meno risorse e meno capacità 
progettuale. L’impressione è quella di enti che negli anni hanno
visto il crescere delle spese per il proprio mantenimento rispetto
a quelle per gli investimenti. La diminuzione delle risorse
comunitarie renderà  problematica qualsiasi azione d’innovazione.
Gli ottimi rapporti, consolidati attraverso i molti viaggi
all’estero dei nostri amministratori, con le grandi finanziarie
giapponesi, americane, sudamericane e svizzere, non hanno portato
grandi risorse in Umbria. Dove trovare i mezzi per affrontare le
problematiche dell’Umbria? Forse cominciando a risparmiare nella
spesa corrente.
Sembrerebbe obbligatoria una marcia indietro rispetto al processo
di “entificazione” dei problemi che abbiamo vissuto per decenni.
Quanti enti, aziende, strutture vivono attraverso i contributi
pubblici? Non esistono ricerche al riguardo. La stagione della
“regione leggera” ha prodotto qualcosa, magari dei frutti OGM?
Nemmeno quelli.
Si parla, ormai da anni, di riformare gli apparati pubblici verso
una semplificazione istituzionale capace di produrre maggior
efficacia, maggior trasparenza e minori costi di gestione.
Le proposte sono tante: terza provincia, quattro circondari ecc.
ecc.. Processo non facile. Interessi legittimi dei vari territori
si intrecciano con localismi inammissibili e con egoismi
personali. Quello che si avverte con nettezza è l’esigenza di
costruire una proposta che prescinde dall’interesse immediato del
ceto politico. Abbiamo a che fare con una classe dirigente che
vive un eterno presente senza radici che ha in testa come unica
cosa futura interessante la prospettiva personale. Esangui i
partiti politici, rimangono le lobbies, le famigliole e i clientes
del territorio. Ognuno si fa il programma per il prossimo incarico
senza che ci sia luogo dove si progetti l’interesse complessivo di
un partito, di un movimento, di una coalizione. Che in una
situazione come questa ci si illude di aggregare le forze
riformiste in un unico partito, dimostra che, nei nostri eroi,
all’ottimismo della volontà  si è sostituito l’ottimismo
dell’intelligenza. E non è buona cosa.
Corriere dell’Umbria 14 maggio 2006

I problemi di Prodi e le grane dell’Umbria

Poteva essere una catastrofe. L’intervista di Piero Fassino al
giornale del suo amico dell’infanzia politica torinese, Giuliano
Ferrara, era di tale gravità da lasciare aperto qualsiasi scenario
per l’elezione del Presidente della Repubblica. Nella sua
creatività il segretario diessino sollecitava un voto favorevole
della destra sulla base di quattro punti programmatici che il
candidato D’Alema avrebbe dichiarato. Una follia istituzionale a
sentire costituzionalisti di fama o il senatore Scalfaro.
Anche uno studente del primo anno di giurisprudenza sa che il
presidente della repubblica non ha né può avere un programma, ma
deve rispettare soltanto il vincolo del dettato costituzionale.
L’invenzione fassiniana, per fortuna, è durata lo spazio di un
mattino. Resta inevasa la domanda del perché di questa caduta
politica. Si può ipotizzare che si sia trattato di un errore
commesso per ingenuità? La cosa non ha più rilevanza. Saggiamente
D’Alema ha cercato di non bruciarsi ulteriormente e ha lavorato
per candidare Napolitano. Bene, anzi molto bene. L’eletto
presidente della repubblica è persona apprezzabile per molti
aspetti. Ad esempio è un ex comunista che pur riconoscendo gli
errori compiuti dal PCI, non ha abiurato, non è un pentito della
sua storia. Vi paresse poco in una stagione in cui dominano i
tanti convertiti sulla via di Damasco. Soltanto la cecità politica
dei berluscones ha impedito che il Presidente fosse eletto a più
larga maggioranza. Il carattere, la qualità istituzionale di
Napolitano rassicurano sulla sua capacità di essere al di sopra
dei settarismi di parte. Berlusconi non lo ha capito, ma ci vuole
pazienza. Con il tempo capirà di aver perso le elezioni e la
storiella dei brogli potrà continuare a raccontarla soltanto a
Bondi e Cicchitto. Presidente della Repubblica soltanto della
maggioranza? La cosa non mi appassiona più di tanto ed è anzi la
conferma che il centrosinistra, se vuol governare nell’interesse
del Paese, deve avere una sua linea politica aperta al contributo
di tutti, ma ferma nei suoi punti essenziali.
Adesso si tratta di formare il governo. Sembra tutto fatto. Il
popolo è in ansia di sapere se il grande Rutelli sarà oltre che
ministro anche vice-presidente. Forse Prodi dovrebbe esercitare la
funzione che la Costituzione gli affida. E’ il capo del governo
che sceglie i ministri: non c’è logica politica che imponga una
vice presidenza rutelliana. Si tratta soltanto di ambizione
personale. D’Alema ha fatto passi indietro importanti. Fassino,
bontà sua, ne ha fatto un altro. Potrebbe per una volta farne uno
l’ex-radicale? Non è che abbia un curriculum di così travolgenti
successi politici da richiedere particolari medaglie. Lo stesso
ultimo risultato elettorale non appare come un torrente di voti
per la Margherita. Non è tempo che i vari oligarchi cessino di
preoccuparsi delle proprie posizioni di potere?
Prodi se ci sei batti un colpo, è tempo.
E qualche colpo dovrebbero battere anche i dirigenti dell’Unione
in Umbria. Le cose non vanno benissimo nelle istituzioni locali.
Gli scadenti risultati elettorali ne sono un segno. La crisi del
sistema pubblico è nelle cose. Meno risorse e meno capacità
progettuale. L’impressione è quella di enti che negli anni hanno
visto il crescere delle spese per il proprio mantenimento rispetto
a quelle per gli investimenti. La diminuzione delle risorse
comunitarie renderà problematica qualsiasi azione d’innovazione.
Gli ottimi rapporti, consolidati attraverso i molti viaggi
all’estero dei nostri amministratori, con le grandi finanziarie
giapponesi, americane, sudamericane e svizzere, non hanno portato
grandi risorse in Umbria. Dove trovare i mezzi per affrontare le
problematiche dell’Umbria? Forse cominciando a risparmiare nella
spesa corrente.
Sembrerebbe obbligatoria una marcia indietro rispetto al processo
di “entificazione” dei problemi che abbiamo vissuto per decenni.
Quanti enti, aziende, strutture vivono attraverso i contributi
pubblici? Non esistono ricerche al riguardo. La stagione della
“regione leggera” ha prodotto qualcosa, magari dei frutti OGM?
Nemmeno quelli.
Si parla, ormai da anni, di riformare gli apparati pubblici verso
una semplificazione istituzionale capace di produrre maggior
efficacia, maggior trasparenza e minori costi di gestione.
Le proposte sono tante: terza provincia, quattro circondari ecc.
ecc.. Processo non facile. Interessi legittimi dei vari territori
si intrecciano con localismi inammissibili e con egoismi
personali. Quello che si avverte con nettezza è l’esigenza di
costruire una proposta che prescinde dall’interesse immediato del
ceto politico. Abbiamo a che fare con una classe dirigente che
vive un eterno presente senza radici che ha in testa come unica
cosa futura interessante la prospettiva personale. Esangui i
partiti politici, rimangono le lobbies, le famigliole e i clientes
del territorio. Ognuno si fa il programma per il prossimo incarico
senza che ci sia luogo dove si progetti l’interesse complessivo di
un partito, di un movimento, di una coalizione. Che in una
situazione come questa ci si illude di aggregare le forze
riformiste in un unico partito, dimostra che, nei nostri eroi,
all’ottimismo della volontà si è sostituito l’ottimismo
dell’intelligenza. E non è buona cosa.
Corriere dell’Umbria 14 maggio 2006

Gioco dell’oca per il Quirinale

Sono passate tre settimane dalle elezioni e il mondo della
politica è in fibrillazione per la scelta del successore di
Ciampi. Si schierano tutti e tutti danno consigli al
centrosinistra affinchè scelga un candidato apprezzato anche dalla
destra. La storiella del Paese diviso in due continua ad essere
l’argomento con cui editorialisti di centro, di destra e di parte
della sinistra sollecitano l’elezioni di questo o di quello.
Stupisce il provincialismo di columnist di grido. Sono tutti
ammiratori della democrazia americana, ma non sembra che ne
conoscano il funzionamento. Il presidente Bush, eletto con il
trenta percento di voti ha assegnato a repubblicani di provata
fede: la presidenza di Camera e Senato, il presidente e tutti i
giudici della Suprema Corte, i presidenti di tutte le commissioni
del Congresso. Qui si vuole per forza che il presidente della
repubblica sia concordato con Berlusconi. Misteri italiani. In
genere a noi comuni mortali viene lasciato lo spazio che ha il
tifoso della curva nord. E’ anche questa della corsa al Quirinale
una partita truccata come a quanto sembra quelle del campionato?
Qualche sospetto è lecito visto come l’Unione ha gestito e
gestisce la questione degli incarichi di governo e nelle
istituzioni. Tutti si dicono interessati ad un presidente eletto
con vasto consenso, ma è possibile trovarlo questo plebiscito? E’
fattibile convincere Berlusconi a votare per un candidato indicato
dal centrosinistra? Soltanto venerdì scorso in uno sfavillante
comizio a Napoli Berlusconi ha detto: «Apprestiamoci a resistere
alla sinistra, non arretreremo neanche di un passo. In Parlamento
abbiamo i numeri per non far passare leggi che ritenessimo
contrarie all’interesse del paese». Siamo stati scippati di una
vittoria sonante. Abbiamo vinto ma non abbiamo trovato un giudice
a Berlino, come si suol dire, che facesse giustizia e che
controllasse il milione e 100mila schede». Se la lingua italiana
ha un senso il Capo di Forza Italia considera truffatori quelli
dell’Ulivo. Colpisce il silenzio diessino rispetto alla pretesa
berlusconiana di escludere a priori l’elezione di D’Alema perchè
di “storia comunista”. Uno può apprezzare o no l’idea di eleggere
il presidente diessino a Capo dello Stato, ciò che risulta
bizzarro è il disinteresse di Fassino e compagni nel difendere la
storia dei comunisti italiani. Un attacco sostenuto da un
gentiluomo, Berlusconi, nella cui coalizione sono stati ammessi
neofascisti ed altri adoratori della croce uncinata. Visto il
patrimonio di voti, di prestigio e di moralità  che hanno ricevuto
dai dirigenti del passato, un po’ di rispetto i diessini
dovrebbero pretenderlo. I comunisti italiani sono stati tra coloro
che hanno costruito la democrazia italiana. Dimenticarlo è
inaccettabile per milioni di persone perbene.
Che sottobanco la destra faccia sapere che ci sono gli excomunisti
buoni (Napolitano) e quelli cattivi (D’Alema) o che è meglio anche
un excraxiano (Amato), fa parte di questa sorta di gioco dell’oca
che la classe politica perpetua ormai da decenni con gli stessi
giocatori.
Se c’è un partito in difficoltà , questo è quello dei DS.
Una difficoltà  che viene da lontano e frutto anche dei sacrifici
che questo partito ha dovuto subire per consolidare una coalizione
difficile. Se si pensa che, dall’alto del successo elettorale
ottenuto, la Rosa nel Pugno si sente obbligata a mettere il veto
alla candidatura di D’Alema, ci si rende conto del disagio del
maggior partito dell’Ulivo. Un malessere che non è piovuto dal
cielo. Esso è frutto della perdita di un’identità  politica
riconoscibile e non è casuale che soltanto nelle tradizionali
regioni rosse i DS mantengono una consistenza apprezzabile. Il
retaggio del passato ancora funziona. In realtà  la sloganistica
del riformismo non ha risolto il problema del trapasso dal PCI ad
un partito della sinistra europea. La scelta della costruzione
assieme a Rutelli e compagni del partito democratico è, da parti
consistenti dei gruppi dirigenti, subita come ripiego alla
mancanza di qualsiasi piattaforma di rilancio di un vero partito
socialdemocratico.
Esemplificativo è lo stato dei DS in Umbria. Le elezioni sono
andate male per i DS eppure non se ne discute se non in qualche
ritiro spirituale. Per intanto alle prossime elezioni
amministrative del 28 maggio, si vota in alcuni importanti comuni
umbri, nelle candidature l’Unione si è dissolta e anche l’Ulivo
non sta benissimo se a Città  di Castello avremo un candidato
Sindaco diessino e uno della Margherita. Che poi, a Gubbio, non si
è saputa trovare una soluzione unitaria, suona come la conferma
della fragilità  dei rapporti politici nel centrosinistra umbro.
Una spiegazione dovrà  pur essere cercata se si vuol affrontare una
fase particolarmente difficile per la nostra regione. E forse non
si è lontani dal vero quando si riconduce all’autoreferenzialità 
del ceto politico amministrativo la causa vera della pochezza
della politica anche nella nostra terra. Siamo diventati anche noi
artisti del gioco dell’oca.
Corriere dell’Umbria 7 maggio9 2006

Gioco dell’oca per il Quirinale

Sono passate tre settimane dalle elezioni e il mondo della
politica è in fibrillazione per la scelta del successore di
Ciampi. Si schierano tutti e tutti danno consigli al
centrosinistra affinché scelga un candidato apprezzato anche dalla
destra. La storiella del Paese diviso in due continua ad essere
l’argomento con cui editorialisti di centro, di destra e di parte
della sinistra sollecitano l’elezioni di questo o di quello.
Stupisce il provincialismo di columnist di grido. Sono tutti
ammiratori della democrazia americana, ma non sembra che ne
conoscano il funzionamento. Il presidente Bush, eletto con il
trenta percento di voti ha assegnato a repubblicani di provata
fede: la presidenza di Camera e Senato, il presidente e tutti i
giudici della Suprema Corte, i presidenti di tutte le commissioni
del Congresso. Qui si vuole per forza che il presidente della
repubblica sia concordato con Berlusconi. Misteri italiani. In
genere a noi comuni mortali viene lasciato lo spazio che ha il
tifoso della curva nord. E’ anche questa della corsa al Quirinale
una partita truccata come a quanto sembra quelle del campionato?
Qualche sospetto è lecito visto come l’Unione ha gestito e
gestisce la questione degli incarichi di governo e nelle
istituzioni. Tutti si dicono interessati ad un presidente eletto
con vasto consenso, ma è possibile trovarlo questo plebiscito? E’
fattibile convincere Berlusconi a votare per un candidato indicato
dal centrosinistra? Soltanto venerdì scorso in uno sfavillante
comizio a Napoli Berlusconi ha detto: «Apprestiamoci a resistere
alla sinistra, non arretreremo neanche di un passo. In Parlamento
abbiamo i numeri per non far passare leggi che ritenessimo
contrarie all’interesse del paese». Siamo stati scippati di una
vittoria sonante. Abbiamo vinto ma non abbiamo trovato un giudice
a Berlino, come si suol dire, che facesse giustizia e che
controllasse il milione e 100mila schede». Se la lingua italiana
ha un senso il Capo di Forza Italia considera truffatori quelli
dell’Ulivo. Colpisce il silenzio diessino rispetto alla pretesa
berlusconiana di escludere a priori l’elezione di D’Alema perché
di “storia comunista”. Uno può apprezzare o no l’idea di eleggere
il presidente diessino a Capo dello Stato, ciò che risulta
bizzarro è il disinteresse di Fassino e compagni nel difendere la
storia dei comunisti italiani. Un attacco sostenuto da un
gentiluomo, Berlusconi, nella cui coalizione sono stati ammessi
neofascisti ed altri adoratori della croce uncinata. Visto il
patrimonio di voti, di prestigio e di moralità che hanno ricevuto
dai dirigenti del passato, un po’ di rispetto i diessini
dovrebbero pretenderlo. I comunisti italiani sono stati tra coloro
che hanno costruito la democrazia italiana. Dimenticarlo è
inaccettabile per milioni di persone perbene.
Che sottobanco la destra faccia sapere che ci sono gli excomunisti
buoni (Napolitano) e quelli cattivi (D’Alema) o che è meglio anche
un excraxiano (Amato), fa parte di questa sorta di gioco dell’oca
che la classe politica perpetua ormai da decenni con gli stessi
giocatori.
Se c’è un partito in difficoltà, questo è quello dei DS.
Una difficoltà che viene da lontano e frutto anche dei sacrifici
che questo partito ha dovuto subire per consolidare una coalizione
difficile. Se si pensa che, dall’alto del successo elettorale
ottenuto, la Rosa nel Pugno si sente obbligata a mettere il veto
alla candidatura di D’Alema, ci si rende conto del disagio del
maggior partito dell’Ulivo. Un malessere che non è piovuto dal
cielo. Esso è frutto della perdita di un’identità politica
riconoscibile e non è casuale che soltanto nelle tradizionali
regioni rosse i DS mantengono una consistenza apprezzabile. Il
retaggio del passato ancora funziona. In realtà la sloganistica
del riformismo non ha risolto il problema del trapasso dal PCI ad
un partito della sinistra europea. La scelta della costruzione
assieme a Rutelli e compagni del partito democratico è, da parti
consistenti dei gruppi dirigenti, subita come ripiego alla
mancanza di qualsiasi piattaforma di rilancio di un vero partito
socialdemocratico.
Esemplificativo è lo stato dei DS in Umbria. Le elezioni sono
andate male per i DS eppure non se ne discute se non in qualche
ritiro spirituale. Per intanto alle prossime elezioni
amministrative del 28 maggio, si vota in alcuni importanti comuni
umbri, nelle candidature l’Unione si è dissolta e anche l’Ulivo
non sta benissimo se a Città di Castello avremo un candidato
Sindaco diessino e uno della Margherita. Che poi, a Gubbio, non si
è saputa trovare una soluzione unitaria, suona come la conferma
della fragilità dei rapporti politici nel centrosinistra umbro.
Una spiegazione dovrà pur essere cercata se si vuol affrontare una
fase particolarmente difficile per la nostra regione. E forse non
si è lontani dal vero quando si riconduce all’autoreferenzialità
del ceto politico amministrativo la causa vera della pochezza
della politica anche nella nostra terra. Siamo diventati anche noi
artisti del gioco dell’oca.
Corriere dell’Umbria 7 maggio9 2006