da Francesco Mandarini | Nov 13, 2005
Lo spettacolo televisivo di maggior successo di pubblico e di
critica sono state le quattro serate di Adriano Cementano e del
suo “RockPolitik”. Si può giudicare come si vuole il lavoro degli
ideatori dello show, ma certamente esso è stata la dimostrazione
di come anche la politica può attrarre l’attenzione delle masse
televisive senza dover usare scollacciate veline e volgarità varie
per fare un ottimo share. L’agorà del “molleggiato” si è
dimostrata più attraente del cabaret di Bruno Vespa. E
incredibilmente anche parlare di valori, di etica e di una
politica fatta come servizio e non come carriera sembra essere
apprezzato. “RockPolitik” ha dimostrato che anche i televisionati
preferiscono un buon professionista dello spettacolo che parla di
politica ad un politico che si trasforma in “macchietta”
televisiva.
L’evento politico più rilevante degli ultimi mesi non sono state
le dichiarazioni di Rutelli, Berlusconi o Fassino, ma la
partecipazione di massa in occasione delle primarie indette senza
alcuna convinzione dall’Unione. Il popolo del centro sinistra
(soltanto?) ha suonato la sveglia: ci siamo anche noi e non
soltanto il ceto politico a decidere candidati, liste e programmi.
Cari generali senza esercito, non è affar vostro soltanto decidere
le strategie per sconfiggere la deriva berlusconiana. Questo è
stato detto ai leader politici con grande tranquillità e
determinazione dagli oltre quattro milioni di partecipanti al voto
del 16 ottobre.
L’esigenza della partecipazione popolare alla politica non è
eludibile in una fase di forti incertezze e di angoscianti
interrogativi sul futuro di tanta parte del Paese.
L’Italia è una strana comunità che, nonostante decenni di
mediocrità della vita politica, mantiene una estesa sensibilità
democratica. Straordinari momenti, come la grandissima
mobilitazione dei giovani calabresi per la legalità , si mescolano
a piccoli episodi che dimostrano la voglia di parlare di politica.
Organizzato da Micropolis, nella sede di Segno Critico, venerdì è
stato presentato a Perugia un libro del Professor Renato Covino.
Si tratta di un saggio titolato “Gli equilibristi sulla palude”.
Essendo stato, in una lontana fase della mia vita, uno degli
“equilibristi”, sono stato invitato alla discussione. La tesi di
Covino è molto radicale:”L’Umbria è uscita dalla povertà e
dall’arretratezza grazie alla politica e all’intervento pubblico”.
Se è vero questo la conseguenza da trarre è che senza una politica
forte e senza una democrazia organizzata, gli attuali problemi
della nostra terra non potranno essere risolti. La gestione
dell’esistente non basterà ad uscire dalla crisi innegabile della
struttura economica e dal certo ridimensionamento dell’intervento
pubblico imposto dalla finanziaria di Tremonti e Berlusconi.
La discussione attorno al saggio di Covino è stata interessante,
ma la cosa che più colpiva in molti interventi, è stata la
pressante richiesta di costruire sedi di discussione politica.
Molti dei partecipanti erano “cani sciolti”, ma molti erano
dirigenti di partiti della sinistra e del sindacato che,
evidentemente, non riescono a trovare nella vita politica
quotidiana della loro organizzazione risposta all’esigenza di
partecipazione.
L’impoverimento della vita democratica dei partiti è cosa nota ed
è grave in assoluto. Diviene una tragedia per una comunità come la
nostra che ha costruito la sua identità grazie ad uno sforzo
soggettivo della classe dirigente politica dei decenni trascorsi.
Di cosa ci sarebbe bisogno? Intanto c’è l’urgenza di un discorso
di verità . Dire come stanno le cose e i rischi che si corrono è
obbligatorio.
E’ utopistico sperare che, nonostante la campagna elettorale già
in atto, si riesca ad organizzare una discussione attorno ai nodi
strutturali della nostra regione? Anche alla luce dei processi
finanziari nazionali, non è tempo di riconsiderare le priorità e
le metodologie del Patto per lo Sviluppo? La scelta strategica
delle privatizzazioni deve essere confermata nonostante i
fallimenti delle cartolarizzazioni tremontiane o è tempo di
riconsiderare la qualità dell’intervento pubblico in alcuni
settori?
Non credo che possa essere indifferente alle forze sociali umbre
il ridimensionamento del welfare locale. La crisi della spesa
pubblica non è cosa che riguarda il ceto politico. Ma è il ceto
politico che deve trovare il mondo di organizzare una discussione
di massa che riesca a mobilitare le forze vive della comunità in
difesa dei servizi pubblici. Da questo punto di vista il sindacato
farà sentire la sua voce. Batta un colpo, La cosa sarà certamente
apprezzata.
Avere meno risorse per delle scelte innovative non è cosa che
riguarda soltanto gli amministratori. Se le vivaci forze
imprenditoriali della regione hanno qualcosa da dire al riguardo è
tempo che lo facciano. Chi la organizza questa fase di
discussione? Dovrebbero essere gli addetti ai lavori ad andare
oltre la normale amministrazione o dal galleggiamento che dir si
voglia, impegnando le proprie energie verso un rapporto più
diretto con le masse amministrate.
Sarebbe l’occasione per far uscire dalla segreta stanza i
dirigenti politici dei partiti. Certamente essi saranno afflitti
dalla gestione delle liste elettorali. Consiglieri di non
affaticarsi più di tanto. Conoscendo come va il mondo possono
essere meno preoccupati. Le oligarchie romane sono già al lavoro
nell’ingrato compito di scegliere, dopo attenta ripartizione, i
candidati per la prossima tenzone elettorale. Una bella campagna
di informazione nel territorio farebbe bene al loro prestigio e
migliorerebbe il loro rapporto con le masse.
Corriere dell’Umbria 13 novembre 2005
da Francesco Mandarini | Nov 13, 2005
Lo spettacolo televisivo di maggior successo di pubblico e di
critica sono state le quattro serate di Adriano Cementano e del
suo “RockPolitikâ€. Si può giudicare come si vuole il lavoro degli
ideatori dello show, ma certamente esso è stata la dimostrazione
di come anche la politica può attrarre l’attenzione delle masse
televisive senza dover usare scollacciate veline e volgarità varie
per fare un ottimo share. L’agorà del “molleggiato†si è
dimostrata più attraente del cabaret di Bruno Vespa. E
incredibilmente anche parlare di valori, di etica e di una
politica fatta come servizio e non come carriera sembra essere
apprezzato. “RockPolitik†ha dimostrato che anche i televisionati
preferiscono un buon professionista dello spettacolo che parla di
politica ad un politico che si trasforma in “macchiettaâ€
televisiva.
L’evento politico più rilevante degli ultimi mesi non sono state
le dichiarazioni di Rutelli, Berlusconi o Fassino, ma la
partecipazione di massa in occasione delle primarie indette senza
alcuna convinzione dall’Unione. Il popolo del centro sinistra
(soltanto?) ha suonato la sveglia: ci siamo anche noi e non
soltanto il ceto politico a decidere candidati, liste e programmi.
Cari generali senza esercito, non è affar vostro soltanto decidere
le strategie per sconfiggere la deriva berlusconiana. Questo è
stato detto ai leader politici con grande tranquillità e
determinazione dagli oltre quattro milioni di partecipanti al voto
del 16 ottobre.
L’esigenza della partecipazione popolare alla politica non è
eludibile in una fase di forti incertezze e di angoscianti
interrogativi sul futuro di tanta parte del Paese.
L’Italia è una strana comunità che, nonostante decenni di
mediocrità della vita politica, mantiene una estesa sensibilitÃ
democratica. Straordinari momenti, come la grandissima
mobilitazione dei giovani calabresi per la legalità , si mescolano
a piccoli episodi che dimostrano la voglia di parlare di politica.
Organizzato da Micropolis, nella sede di Segno Critico, venerdì è
stato presentato a Perugia un libro del Professor Renato Covino.
Si tratta di un saggio titolato “Gli equilibristi sulla paludeâ€.
Essendo stato, in una lontana fase della mia vita, uno degli
“equilibristiâ€, sono stato invitato alla discussione. La tesi di
Covino è molto radicale:â€L’Umbria è uscita dalla povertà e
dall’arretratezza grazie alla politica e all’intervento pubblicoâ€.
Se è vero questo la conseguenza da trarre è che senza una politica
forte e senza una democrazia organizzata, gli attuali problemi
della nostra terra non potranno essere risolti. La gestione
dell’esistente non basterà ad uscire dalla crisi innegabile della
struttura economica e dal certo ridimensionamento dell’intervento
pubblico imposto dalla finanziaria di Tremonti e Berlusconi.
La discussione attorno al saggio di Covino è stata interessante,
ma la cosa che più colpiva in molti interventi, è stata la
pressante richiesta di costruire sedi di discussione politica.
Molti dei partecipanti erano “cani scioltiâ€, ma molti erano
dirigenti di partiti della sinistra e del sindacato che,
evidentemente, non riescono a trovare nella vita politica
quotidiana della loro organizzazione risposta all’esigenza di
partecipazione.
L’impoverimento della vita democratica dei partiti è cosa nota ed
è grave in assoluto. Diviene una tragedia per una comunità come la
nostra che ha costruito la sua identità grazie ad uno sforzo
soggettivo della classe dirigente politica dei decenni trascorsi.
Di cosa ci sarebbe bisogno? Intanto c’è l’urgenza di un discorso
di verità . Dire come stanno le cose e i rischi che si corrono è
obbligatorio.
E’ utopistico sperare che, nonostante la campagna elettorale giÃ
in atto, si riesca ad organizzare una discussione attorno ai nodi
strutturali della nostra regione? Anche alla luce dei processi
finanziari nazionali, non è tempo di riconsiderare le priorità e
le metodologie del Patto per lo Sviluppo? La scelta strategica
delle privatizzazioni deve essere confermata nonostante i
fallimenti delle cartolarizzazioni tremontiane o è tempo di
riconsiderare la qualità dell’intervento pubblico in alcuni
settori?
Non credo che possa essere indifferente alle forze sociali umbre
il ridimensionamento del welfare locale. La crisi della spesa
pubblica non è cosa che riguarda il ceto politico. Ma è il ceto
politico che deve trovare il mondo di organizzare una discussione
di massa che riesca a mobilitare le forze vive della comunità in
difesa dei servizi pubblici. Da questo punto di vista il sindacato
farà sentire la sua voce. Batta un colpo, La cosa sarà certamente
apprezzata.
Avere meno risorse per delle scelte innovative non è cosa che
riguarda soltanto gli amministratori. Se le vivaci forze
imprenditoriali della regione hanno qualcosa da dire al riguardo è
tempo che lo facciano. Chi la organizza questa fase di
discussione? Dovrebbero essere gli addetti ai lavori ad andare
oltre la normale amministrazione o dal galleggiamento che dir si
voglia, impegnando le proprie energie verso un rapporto più
diretto con le masse amministrate.
Sarebbe l’occasione per far uscire dalla segreta stanza i
dirigenti politici dei partiti. Certamente essi saranno afflitti
dalla gestione delle liste elettorali. Consiglieri di non
affaticarsi più di tanto. Conoscendo come va il mondo possono
essere meno preoccupati. Le oligarchie romane sono già al lavoro
nell’ingrato compito di scegliere, dopo attenta ripartizione, i
candidati per la prossima tenzone elettorale. Una bella campagna
di informazione nel territorio farebbe bene al loro prestigio e
migliorerebbe il loro rapporto con le masse.
Corriere dell’Umbria 13 novembre 2005
da Francesco Mandarini | Nov 6, 2005
Cosa sarebbe la nostra vita senza le battute del cavalier Berlusconi?
Una noia. La settimana si chiude con questa sua dichiarazione: “Gli
italiani devono lavorare di più e più a lungo. In pensione non prima
dei sessantotto anni”. E’ noto che l’età pensionabile italiana è
vicina alla media europea e quanto a capacità lavorativa il nostro è
un popolo apprezzato per creatività e impegno in tutto il mondo.
L’INPS presenta un avanzo nei conti per il 2004 di oltre cinque
miliardi di euro? Per il capo del governo non basta. Il lavoro
nobilita l’Uomo? E allora allunghiamo gli orari di lavoro e andiamo
in quiescenza più tardi possibile. Sai che gioia per coloro che hanno
cominciato a lavorare a sedici anni o per il giovane in attesa di un
primo lavoro stabile dopo cento lavori “flessibili” e mal pagati.
Il problema, non solo italiano, è che il “lavoro” ha perso di
importanza, vale sempre meno. Basta esaminare i dati della
ripartizione della ricchezza e si vedrà che negli ultimi venti anni
la quota di beni che va ai redditi da lavoro (in tutte le sue forme)
si è ridotta in maniera consistente a vantaggio delle rendite e dei
profitti. Questo tema non sembra essere nell’agenda della politica.
Soltanto pochi dirigenti politici affrontano il problema e quando lo
fanno non riescono a indicare soluzioni credibili. Eppure senza un
recupero del potere d’acquisto dei lavoratori e dei pensionanti
l’aumento dei consumi non potrà avvenire; con tutto ciò che consegue
per la crisi della nostra economia. Sarebbe forse utile una
discussione seria sul come tornare a legare l’aumento della
produttività del lavoro con recuperi salariali. Gli stessi tagli alla
spesa pubblica per il sociale, previsti nella finanziaria in
discussione in Parlamento, sono traducibili in una diminuzione delle
condizioni materiali della maggioranza dei lavoratori.
In questa stagione della politica si parla d’altro. Berlusconi
continua con le sue boutade e gli unionisti di Prodi sembrano poco
interessati ad argomenti ostici come quelli della crisi economica o
quando lo affrontano restano ancorati a una sloganistica liberista
ininfluente negli orientamenti della gente. Si entusiasmano nella
scelta dei candidati per le prossime elezioni a Milano o in Sicilia.
Il cemento dell’antiberlusconismo ha funzionato alle primarie?
Funzionerà anche alle elezioni politiche. E’ probabile, ma rimane il
fatto che almeno alcuni nodi programmatici devono essere risolti
prima delle elezioni. Uno dei problemi decisivi per il nostro Paese è
quello della caduta di fiducia nel futuro non solo dei giovani
precarizzati, ma anche di coloro che hanno un lavoro o una pensione.
Anche l’aumento dei risparmi bancari delle famiglie segnala questo
dato di incertezza. Per la politica del centrosinistra è vitale
trovare una piattaforma di valori e idee che aiutino a recuperare la
speranza per il domani. Non libri di sogni, a quelli ha pensato
Berlusconi, ma proposte che diano il senso di un cammino possibile.
Invece l’obbiettivo che i leader hanno sembra essere quello di essere
presenti, con la cravatta giusta, ogni volta che c’è una telecamera
in agguato o un giornalista in vena di interviste.
La voglia di far parlare di sè è tale che l’enfasi ciarliera
aumenterà via, via che la scadenza elettorale si avvicina.
Dichiarazione dopo dichiarazione, spot dopo spot, il quadro del Paese
non migliora, ma in compenso i giornali sanno di cosa scrivere.
Lo dicono tutti:l’immagine è tutto per conquistare il potere.
Sono molti anni ormai che la televisione ha fagocitato la politica.
Quello che non appare in televisione non esiste e quindi non è utile
alla carriera. Così viviamo in una realtà virtuale in cui la
discussione politica si piega alle esigenze dello spettacolo.
Esperti e scienziati si interrogano su quanto incide negli
orientamenti dell’elettorato uno spettacolo di satira televisiva.
Celentano, nuovo guru della politica, è utile all’Ulivo o no? Serve
l’arte di Benigni a battere il berlusconismo? In tutti i giornali che
contano sono state scritte al riguardo pagine su pagine. La disputa
non è stata risolta. Una discussione che sembrerebbe paradossale ad
un osservatore non italiano ma che suscita grandi passioni nei
salotti televisivi gremiti da politici di ogni colore. Il ceto
politico sembra incapace di una autonoma capacità di analisi e di
proposta.
Ad esempio, addetti ai lavori a parte, chi riesce a capire nella
nostra regione quali sono le priorità che si presentano ad una
comunità che rischia molto dalla crisi della spesa pubblica? Il
sistema che ha consentito una tenuta sociale invidiabile non
funzionerà più anche a causa di un debito pubblico che impone un
ridimensionamento dell’intervento pubblico. In quale sede politica si
è aperta una discussione non propagandistica su questo tema. La
destra continua ad esprimere valutazioni che dimostrano una completa
ignoranza della realtà regionale. Dire che la finanziaria di Tremonti
funzionerà perchè taglia soltanto gli sprechi dei governi locali dei
“comunisti” è una sciocchezza e come tale va valutata. I tagli agli
stanziamenti per i servizi gestiti da comuni e dalla Regione sono un
colpo micidiale alle condizioni di vita di moltissimi umbri. Essi si
vedranno costretti ad una peggiore assistenza sanitaria e ad un
drammatico ridimensionamento di ogni forma di sostegno sociale.
D’altra parte presentare, come fa il centrosinistra, la realtà umbra
come realtà saggiamente gestita che non abbisogna di innovazioni e di
rigore non corrisponde al vero. E’ una forzatura propagandistica.
Antiche debolezze strutturali di una piccola comunità tornano a
pesare sul futuro senza che il dibattito politico in Umbria esca
dalle beghe di “palazzo”. Una dichiarazione in meno e un’analisi in
più aiuterebbe a capire dove e come impegnare partiti e istituzioni.
Un salto di qualità nella polemica politica sembrerebbe opportuno.
Corriere dell’Umbria 6 novembre 2005
da Francesco Mandarini | Nov 6, 2005
Cosa sarebbe la nostra vita senza le battute del cavalier Berlusconi?
Una noia. La settimana si chiude con questa sua dichiarazione: “Gli
italiani devono lavorare di più e più a lungo. In pensione non prima
dei sessantotto anni”. E’ noto che l’età pensionabile italiana è
vicina alla media europea e quanto a capacità lavorativa il nostro è
un popolo apprezzato per creatività e impegno in tutto il mondo.
L’INPS presenta un avanzo nei conti per il 2004 di oltre cinque
miliardi di euro? Per il capo del governo non basta. Il lavoro
nobilita l’Uomo? E allora allunghiamo gli orari di lavoro e andiamo
in quiescenza più tardi possibile. Sai che gioia per coloro che hanno
cominciato a lavorare a sedici anni o per il giovane in attesa di un
primo lavoro stabile dopo cento lavori “flessibili” e mal pagati.
Il problema, non solo italiano, è che il “lavoro” ha perso di
importanza, vale sempre meno. Basta esaminare i dati della
ripartizione della ricchezza e si vedrà che negli ultimi venti anni
la quota di beni che va ai redditi da lavoro (in tutte le sue forme)
si è ridotta in maniera consistente a vantaggio delle rendite e dei
profitti. Questo tema non sembra essere nell’agenda della politica.
Soltanto pochi dirigenti politici affrontano il problema e quando lo
fanno non riescono a indicare soluzioni credibili. Eppure senza un
recupero del potere d’acquisto dei lavoratori e dei pensionanti
l’aumento dei consumi non potrà avvenire; con tutto ciò che consegue
per la crisi della nostra economia. Sarebbe forse utile una
discussione seria sul come tornare a legare l’aumento della
produttività del lavoro con recuperi salariali. Gli stessi tagli alla
spesa pubblica per il sociale, previsti nella finanziaria in
discussione in Parlamento, sono traducibili in una diminuzione delle
condizioni materiali della maggioranza dei lavoratori.
In questa stagione della politica si parla d’altro. Berlusconi
continua con le sue boutade e gli unionisti di Prodi sembrano poco
interessati ad argomenti ostici come quelli della crisi economica o
quando lo affrontano restano ancorati a una sloganistica liberista
ininfluente negli orientamenti della gente. Si entusiasmano nella
scelta dei candidati per le prossime elezioni a Milano o in Sicilia.
Il cemento dell’antiberlusconismo ha funzionato alle primarie?
Funzionerà anche alle elezioni politiche. E’ probabile, ma rimane il
fatto che almeno alcuni nodi programmatici devono essere risolti
prima delle elezioni. Uno dei problemi decisivi per il nostro Paese è
quello della caduta di fiducia nel futuro non solo dei giovani
precarizzati, ma anche di coloro che hanno un lavoro o una pensione.
Anche l’aumento dei risparmi bancari delle famiglie segnala questo
dato di incertezza. Per la politica del centrosinistra è vitale
trovare una piattaforma di valori e idee che aiutino a recuperare la
speranza per il domani. Non libri di sogni, a quelli ha pensato
Berlusconi, ma proposte che diano il senso di un cammino possibile.
Invece l’obbiettivo che i leader hanno sembra essere quello di essere
presenti, con la cravatta giusta, ogni volta che c’è una telecamera
in agguato o un giornalista in vena di interviste.
La voglia di far parlare di sé è tale che l’enfasi ciarliera
aumenterà via, via che la scadenza elettorale si avvicina.
Dichiarazione dopo dichiarazione, spot dopo spot, il quadro del Paese
non migliora, ma in compenso i giornali sanno di cosa scrivere.
Lo dicono tutti:l’immagine è tutto per conquistare il potere.
Sono molti anni ormai che la televisione ha fagocitato la politica.
Quello che non appare in televisione non esiste e quindi non è utile
alla carriera. Così viviamo in una realtà virtuale in cui la
discussione politica si piega alle esigenze dello spettacolo.
Esperti e scienziati si interrogano su quanto incide negli
orientamenti dell’elettorato uno spettacolo di satira televisiva.
Celentano, nuovo guru della politica, è utile all’Ulivo o no? Serve
l’arte di Benigni a battere il berlusconismo? In tutti i giornali che
contano sono state scritte al riguardo pagine su pagine. La disputa
non è stata risolta. Una discussione che sembrerebbe paradossale ad
un osservatore non italiano ma che suscita grandi passioni nei
salotti televisivi gremiti da politici di ogni colore. Il ceto
politico sembra incapace di una autonoma capacità di analisi e di
proposta.
Ad esempio, addetti ai lavori a parte, chi riesce a capire nella
nostra regione quali sono le priorità che si presentano ad una
comunità che rischia molto dalla crisi della spesa pubblica? Il
sistema che ha consentito una tenuta sociale invidiabile non
funzionerà più anche a causa di un debito pubblico che impone un
ridimensionamento dell’intervento pubblico. In quale sede politica si
è aperta una discussione non propagandistica su questo tema. La
destra continua ad esprimere valutazioni che dimostrano una completa
ignoranza della realtà regionale. Dire che la finanziaria di Tremonti
funzionerà perché taglia soltanto gli sprechi dei governi locali dei
“comunisti” è una sciocchezza e come tale va valutata. I tagli agli
stanziamenti per i servizi gestiti da comuni e dalla Regione sono un
colpo micidiale alle condizioni di vita di moltissimi umbri. Essi si
vedranno costretti ad una peggiore assistenza sanitaria e ad un
drammatico ridimensionamento di ogni forma di sostegno sociale.
D’altra parte presentare, come fa il centrosinistra, la realtà umbra
come realtà saggiamente gestita che non abbisogna di innovazioni e di
rigore non corrisponde al vero. E’ una forzatura propagandistica.
Antiche debolezze strutturali di una piccola comunità tornano a
pesare sul futuro senza che il dibattito politico in Umbria esca
dalle beghe di “palazzo”. Una dichiarazione in meno e un’analisi in
più aiuterebbe a capire dove e come impegnare partiti e istituzioni.
Un salto di qualità nella polemica politica sembrerebbe opportuno.
Corriere dell’Umbria 6 novembre 2005
da Francesco Mandarini | Lug 10, 2005
Indagine dopo indagine, vengono in evidenza le difficoltÃ
dell’economia della nostra regione. Nel nuovo “Annuario economico
dell’Umbriaâ€, presentato recentemente, si conferma il permanere
dei limiti strutturali delle imprese umbre: sottocapitalizzazione
e frantumazione. Aziende del terziario avanzato quantitativamente
ininfluenti non hanno modificato la tradizionale struttura delle
piccole imprese. Le diverse multinazionali presenti in Umbria si
esprimono soltanto come terminali produttivi senza alcuna
autonomia gestionale e quindi esposti a chiusure e
ridimensionamenti. Nessun canta più i meriti del piccolo è bello
proprio perché quel bello non riesce più a produrre ricchezza se
mai ne ha prodotta autonomamente anche nel passato. Non si è
riusciti a costruire “reti†imprenditoriali e i pochi distretti
settoriali non si sono consolidati negli anni ed oggi subiscono
feroci concorrenze nel mercato interno e internazionale.
Questi i caratteri dell’attuale sviluppo umbro. Nonostante anni e
anni di discussioni e di tentativi, a volte intelligenti, di
innovazione nell’intervento pubblico di sostegno allo sviluppo,
siamo anche noi dentro la crisi economica che caratterizza il
paese Italia. Potrebbe essere altrimenti? Nessuno può pensare che
di fronte ad un disastro delle dimensioni di quello che vive la
nostra nazione, una piccola comunità come è la nostra potesse
cavarsela. Bisogna però capire se tutto quello che si è fatto è
andato nella giusta direzione. Se cioè la politica e le
istituzioni hanno fatto il loro mestiere. Mancano, da parte del
sottoscritto, le competenze e manca lo spazio per una analisi
approfondita delle politiche regionali di questi anni. E’ forse
preferibile esemplificare.
A dispetto di un significativo utilizzo di fondi comunitari per la
formazione professionale, non si è riusciti a creare e consolidare
un’occupazione stabile. Ancora oggi la disoccupazione
intellettuale, assieme ad un tasso di attività femminile
inadeguato, caratterizza l’occupazione. Così che gran parte dei
laureati svolgono lavori sottopagati o emigrano dall’Umbria e
molte giovani donne non entrano nemmeno nel mercato del lavoro.
Non ci sarà un problema di come vengono utilizzate le risorse
comunitarie per la formazione? Se i risultati non sono stati
adeguati forse è il caso di introdurre qualche novità e andare un
poco oltre gli interventi di questi anni che notoriamente sono
stati, per così dire, diffusi come una pioggia primaverile. Al
riguardo sarebbe utile una valutazione del sindacato.
La discussione in consiglio regionale attorno al programma di
legislatura ha cercato di individuare i nodi da sciogliere per
innescare una nuova fase dello sviluppo. Al di là della qualitÃ
dei diversi contributi, non sembra che siano maturate nel
centrosinistra idee innovative rispetto alla linea di
concertazione tra le parti sociali e istituzionali che va sotto il
titolo del Patto per lo sviluppo.
Non siamo per la novità per la novità . Non deve scandalizzare la
riproposta di una tesi che ha avuto il consenso di tanti e che ha
prodotto anch’essa il risultato elettorale positivo per la
coalizione guidata dalla Lorenzetti.
Il punto è che non sembra che i diversi “tavoli†istituiti con i
meccanismi del Patto siano stati in grado in questi anni di
attivare processi virtuosi nell’economia regionale. Sarebbe
pretestuoso pretendere già visibili innovazioni, ma almeno
intravedere l’inizio di un percorso potrebbe aiutare a rendere più
forte il meccanismo della concertazione.
L’impressione, sicuramente sbagliata, è quella che attorno alle
non ingenti risorse pubbliche disponibili per gli investimenti
produttivi, si accendono vivaci appetiti. Sono legittimi interessi
territoriali e sociali, ma spesso essi sollecitano risorse senza
mettere in campo proposte convincenti e di mezzi privati
aggiuntivi se ne vedono pochi. Un aggiornamento del pensiero
sindacale al riguardo aiuterebbe a capire meglio che cosa può
sollecitare “tavoli†più operativi.
Con una spesa pubblica per investimenti in caduta libera e con
fondi comunitari insufficienti a soddisfare esigenze diverse, il
Patto per lo sviluppo,al di là della forte passione della
presidente, rischia di tradursi in semplice espressione di volontÃ
politica.
Per fortuna e per capacità degli amministratori non siamo la
regione più indebitata d’Italia. Bene ha fatto l’assessore al ramo
nel precisare che il ministero del tesoro continua da tre anni a
commettere lo stesso errore imputando alla regione debiti che sono
dello stato. L’assessore ha portato i numeri e non resta, al
governo centrale, che confutarli o cambiare parere.
Meglio i numeri che ricercare nelle valutazioni delle società di
rating la conferma del proprio ben operare. Si potrebbe obbiettare
che sia la gigantesca corporate Enron che la multinazionale
Parmalat, nel loro ultimo anno prima della catastrofe, avevano
avuto i bilanci certificati e il loro rating molto soddisfacente.
Meglio portare i numeri che AAAA.
Corriere dell’Umbria 10 luglio 2005
da Francesco Mandarini | Lug 10, 2005
Indagine dopo indagine, vengono in evidenza le difficoltà
dell’economia della nostra regione. Nel nuovo “Annuario economico
dell’Umbria”, presentato recentemente, si conferma il permanere
dei limiti strutturali delle imprese umbre: sottocapitalizzazione
e frantumazione. Aziende del terziario avanzato quantitativamente
ininfluenti non hanno modificato la tradizionale struttura delle
piccole imprese. Le diverse multinazionali presenti in Umbria si
esprimono soltanto come terminali produttivi senza alcuna
autonomia gestionale e quindi esposti a chiusure e
ridimensionamenti. Nessun canta più i meriti del piccolo è bello
proprio perchè quel bello non riesce più a produrre ricchezza se
mai ne ha prodotta autonomamente anche nel passato. Non si è
riusciti a costruire “reti” imprenditoriali e i pochi distretti
settoriali non si sono consolidati negli anni ed oggi subiscono
feroci concorrenze nel mercato interno e internazionale.
Questi i caratteri dell’attuale sviluppo umbro. Nonostante anni e
anni di discussioni e di tentativi, a volte intelligenti, di
innovazione nell’intervento pubblico di sostegno allo sviluppo,
siamo anche noi dentro la crisi economica che caratterizza il
paese Italia. Potrebbe essere altrimenti? Nessuno può pensare che
di fronte ad un disastro delle dimensioni di quello che vive la
nostra nazione, una piccola comunità come è la nostra potesse
cavarsela. Bisogna però capire se tutto quello che si è fatto è
andato nella giusta direzione. Se cioè la politica e le
istituzioni hanno fatto il loro mestiere. Mancano, da parte del
sottoscritto, le competenze e manca lo spazio per una analisi
approfondita delle politiche regionali di questi anni. E’ forse
preferibile esemplificare.
A dispetto di un significativo utilizzo di fondi comunitari per la
formazione professionale, non si è riusciti a creare e consolidare
un’occupazione stabile. Ancora oggi la disoccupazione
intellettuale, assieme ad un tasso di attività femminile
inadeguato, caratterizza l’occupazione. Così che gran parte dei
laureati svolgono lavori sottopagati o emigrano dall’Umbria e
molte giovani donne non entrano nemmeno nel mercato del lavoro.
Non ci sarà un problema di come vengono utilizzate le risorse
comunitarie per la formazione? Se i risultati non sono stati
adeguati forse è il caso di introdurre qualche novità e andare un
poco oltre gli interventi di questi anni che notoriamente sono
stati, per così dire, diffusi come una pioggia primaverile. Al
riguardo sarebbe utile una valutazione del sindacato.
La discussione in consiglio regionale attorno al programma di
legislatura ha cercato di individuare i nodi da sciogliere per
innescare una nuova fase dello sviluppo. Al di là della qualità
dei diversi contributi, non sembra che siano maturate nel
centrosinistra idee innovative rispetto alla linea di
concertazione tra le parti sociali e istituzionali che va sotto il
titolo del Patto per lo sviluppo.
Non siamo per la novità per la novità . Non deve scandalizzare la
riproposta di una tesi che ha avuto il consenso di tanti e che ha
prodotto anch’essa il risultato elettorale positivo per la
coalizione guidata dalla Lorenzetti.
Il punto è che non sembra che i diversi “tavoli” istituiti con i
meccanismi del Patto siano stati in grado in questi anni di
attivare processi virtuosi nell’economia regionale. Sarebbe
pretestuoso pretendere già visibili innovazioni, ma almeno
intravedere l’inizio di un percorso potrebbe aiutare a rendere più
forte il meccanismo della concertazione.
L’impressione, sicuramente sbagliata, è quella che attorno alle
non ingenti risorse pubbliche disponibili per gli investimenti
produttivi, si accendono vivaci appetiti. Sono legittimi interessi
territoriali e sociali, ma spesso essi sollecitano risorse senza
mettere in campo proposte convincenti e di mezzi privati
aggiuntivi se ne vedono pochi. Un aggiornamento del pensiero
sindacale al riguardo aiuterebbe a capire meglio che cosa può
sollecitare “tavoli” più operativi.
Con una spesa pubblica per investimenti in caduta libera e con
fondi comunitari insufficienti a soddisfare esigenze diverse, il
Patto per lo sviluppo,al di là della forte passione della
presidente, rischia di tradursi in semplice espressione di volontà
politica.
Per fortuna e per capacità degli amministratori non siamo la
regione più indebitata d’Italia. Bene ha fatto l’assessore al ramo
nel precisare che il ministero del tesoro continua da tre anni a
commettere lo stesso errore imputando alla regione debiti che sono
dello stato. L’assessore ha portato i numeri e non resta, al
governo centrale, che confutarli o cambiare parere.
Meglio i numeri che ricercare nelle valutazioni delle società di
rating la conferma del proprio ben operare. Si potrebbe obbiettare
che sia la gigantesca corporate Enron che la multinazionale
Parmalat, nel loro ultimo anno prima della catastrofe, avevano
avuto i bilanci certificati e il loro rating molto soddisfacente.
Meglio portare i numeri che AAAA.
Corriere dell’Umbria 10 luglio 2005