da Francesco Mandarini | Feb 28, 2005
«Scritti a perdere» di Francesco Mandarini per Crace editore. Appunti sul presente dall’osservatorio
dell’Umbria
VALENTINO PARLATO
Si può aver voglia di comprare e leggere un libro che raccoglie articoli apparsi negli ultimi otto
anni su periodici e quotidiani come la Nazione , il Corriere dell’Umbria , che pure è il mensile
umbro de il manifesto ? A prima vista la risposta è negativa. Anch’io non ero tanto convinto,
ma poi, quando per amicizia e per la curiosità della personalità di Francesco Mandarini ho
cominciato a leggere, il mio ovvio pregiudizio è crollato. Si tratta di un libro assai interessante
e che è utile leggere ( Scritti a perdere , Crace editore, pp. 321, €. 20). Provo a spiegare il
movente di questa mia conversione di cui ho trovato la chiave in almeno due ragioni. La prima
consiste nell’efficacia del passaggio dal particolare al generale. Non un’ideologia sovrapposta
alla realtà , ma il capire che il particolare (qualcuno si ricorda dell’osso di Cuvier?) serve a
mettere a fuoco la realtà storicamente determinata dell’intero paese. Quando Francesco
Mandarini (che si rivela un bravo giornalista, ma che è stato personaggio politico di primo
rilievo in Umbria e anche nel vecchio Pci) coglie il particolare della modifica dello statuto
regionale umbro, mette in piena luce, e con la concretezza del particolare, la deriva
presidenzialistica che si appresta a stravolgere la Costituzione italiana, cioè il patto tra i
cittadini di questo nostro paese.
àˆ nel particolare che Mandarini coglie l’imbroglio tra modernizzazione e americanizzazione che
anche la sinistra inconsapevolmente (spero) pensa che debba essere la via maestra del suo
ritorno al governo. Otto anni di storia d’Italia vista dall’osservatorio dell’Umbria aiutano a
capire più cose di quante non cerchino di farcene capire molti dotti discorsi sui principi generali
della democrazie. àˆ in corso una spinta a demolire la Costituzione della Liberazione e a farne
un’altra, direi della Restaurazione: il popolo ha stancato, torniamo ai Capi. Ma tutto questo si
capisce meglio, ha una sua concreta eloquenza, quando si accende la luce sul particolare.
In secondo luogo (e questo mi interessa assai per lo stato della nostra corporazione) Francesco
Mandarini si rivela un ottimo giornalista: sa trovare il titolo o, meglio, la frase chiave, quella
che colpisce il lettore e si imprime nella sua memoria. Quando Mandarini scrive «galleggiare
sull’esistente», fotografa, con un forte flash, lo stato attuale delle nostre sinistre, tutte quante,
tutte armate di buona volontà , ma che cercano solo di «galleggiare sull’esistente». E ancora,
come Mandarini fotografa il tremendo decadimento della politica e dei partiti e delle stesse
elezioni? Una frase sola, «più preferenze, meno voti». Un sociologo o un politologo potrebbero
fare mille illuminanti discorsi, Mandarini dice una cosa sola, che diminuiscono i voti alle liste,
ma aumentano le preferenze dei candidati. Come in una grande famiglia in decadenza i vari
eredi non mettono più al primo posto la crescita del patrimonio della famiglia, ma la quota di
eredità alla quale puntano. Il paragone forse è forzato, ma le cose stanno a questo modo.
Per queste brevi considerazioni consiglio di leggere Scritti a perdere , che richiama alla mia
memoria una raccolta di articoli di Luigi Pintor pubblicata con il titolo Parole al vento .
Purtroppo l’occhio lucido sulla realtà può spingere al disincanto e allo scetticismo. Ma in
entrambi i casi si tratta – pare a me – di uno scetticismo che stimola all’impegno. In ogni caso
è il contrario dell’adattamento autoassolutorio. Anche come giornalista ringrazio Francesco per
questo suo lavoro, e ringrazio Renato Covino per la sua ottima guida alla lettura.
VALENTINO PARLATO
da Francesco Mandarini | Feb 27, 2005
Una giornata straordinaria è stata quella di sabato 19 febbraio a
Roma. Straordinaria per molti motivi e tutti positivi. Che un
giornale a limitata tiratura, con pochissime risorse economiche,
senza potere e senza apparati, riesca a mobilitare centinaia di
migliaia di persone in un sabato invernale non è cosa che succede
tutti i giorni. Il gruppo dirigente de “Il Manifesto”, colpito
direttamente dagli effetti collaterali della guerra americana in
Iraq con il rapimento di Giuliana Strenna, ha avuto l’intelligenza
di scommettere sulla permanenza in vita di quel movimento per la
pace che ha caratterizzato per lungo tempo il nostro Paese e che
sembrava da mesi scomparso. Hanno avuto ragione. L’Italia,
nonostante tutto, rimane una collettività in cui le forze della
democrazia e della pace sono ben vitali, basta saperle sollecitare
e chiamare in campo. Si è avuto la conferma tangibile che queste
energie rimangono la risorsa fondamentale per ogni idea politica
di cambiamento e di lotta contro la destra italiana. A Roma si è
potuto verificare nel concreto come sia possibile vivere la
politica in modo diverso da quello a cui la destra, il centro ed
anche troppo spesso la sinistra pratica. Anche per noi una
riflessione si impone. L’aver visto in piazza la sinistra moderata,
e tanta parte del ceto dirigente politico (sindaci, presidenti e
quanto di altro) assieme alla sinistra radicale e ai senza
etichette organizzate, ci dice che niente è scontato ne deciso una
volta per tutte. Una piattaforma di unità è possibile anche tra
diversi. E’ stata questa la partita che hanno giocato le forze
attorno al giornale di Giuliana Strenna. Una partita vinta alla
grande.
Si è capito, a Roma, che la politica deve saper organizzare una
intelligenza collettiva attorno a grandi idee e progetti. Nessuna
aveva chiesto un corteo “silenzioso” e senza insulti a Bush e ai
suoi maggiordomi italiani. Eppure tutti hanno capito che il
messaggio che doveva partire dalla manifestazione sarebbe stato
più forte se avesse prevalso il silenzio sullo slogan gridato.
Così è stato e soltanto gli sciocchi non hanno inteso il valore
immenso di quanto si è visto a Roma. Quando si parla degli
orientamenti del popolo lo si fa spesso a sproposito interpretando
i sondaggi. Altro che sondaggi, chi ha voluto ha capito bene ciò
che vuole la “nostra” gente. Al Circo massimo il popolo della pace
e della democrazia ha inviato un messaggio chiaro a tutti coloro
che si affannano attorno a federazioni, primarie e unioni: il
centrosinistra per vincere deve mettere la questione della pace al
centro del proprio programma politico. Se si vuol battere il
berlusconismo è questo il punto nodale e sono queste le forze che
Prodi e il centro sinistra dovrà saper mobilitare nelle urne e nel
Paese, pena la sconfitta.
Non si rischia la disfatta in Umbria per le elezioni regionali. La
candidatura di Laffranco “for president” è la conferma di una
nostra antica convinzione: la destra umbra non ha possibilità di
essere alternativa di governo credibile agli attuali
amministratori. La cosa non è per noi terrificante.
Pur convinti da sempre che la politica del tanto peggio, tanto
meglio non è una scelta di sinistra, rimaniamo convinti che la
sicurezza del successo non aiuti gli uomini e le donne del centro
sinistra umbro a fare le scelte politiche giuste e nell’interesse
della comunità che essi governano da tanti anni. Se possibile le
cose peggiorano, da questo punto di vista, di anno in anno. Questa
volta per l’indicazione a candidato presidente dell’Ulivo e di
Rifondazione non ci sono state grandi discussioni. Anzi c’è chi
sostiene che non se ne è mai parlato. In compenso la formazione
delle liste sta rappresentando una sorta di tragedia greca o
meglio sarebbe dire della farsa di cui parla l’altro editoriale.
Vincere ma non troppo lo slogan degli unionisti. Perdere alla
grande quello dei berluscones. Come potevamo immaginare che
l’ultimo a scendere in campo sarebbe stato il segretario regionale
dei diesse provocando lo sconquasso di cui si parla? Come è
possibile pensare che corrisponda al vero che il PRC dell’Umbria
sia attento a formare una lista in cui i candidati con appeal
siano pochissimi per evitare scherzi nelle preferenze? E’
immaginabile che una classe dirigente stagionata come la nostra,
considerando le lotte fratricide in corso, non si ponga ancora
oggi il problema del sistema politico che si è consolidato in
Umbria? Non è tempo che nel programma per le regionali sia anche
esplicitato il tipo di meccanismo elettorale che si vorrà
instaurare in Umbria visto che l’attuale fa schifo a tutti?
Domande che resteranno, ne siamo certi, senza risposta.
Rutelli ha detto stranamente una cosa intelligente. L’ex radicale
capo della Margherita ha dichiarato che una volta al governo il
centrosinistra dovrà riaffrontare, visto il disastro prodotto, la
tematica delle modifiche costituzionale al Titolo Quinto della
Carta. Chissà quando qualcuno ci dirà che lo statuto in
sospensione per le note vicende, dovrà essere riconsiderato
valutato il tipo di maggioranza che lo ha votato e la non
brillante qualità dei contenuti?
Micropolis febbraio 2005
da Francesco Mandarini | Feb 13, 2005
Le liste per le elezioni regionali devono essere presentate in
tempi ravvicinati, non c’è tempo per grandi ragionamenti
programmatici nè per una valutazione del lavoro svolto dagli
attuali componenti del consiglio regionale. E’ mostrato
apertamente davanti all’opinione pubblica lo stato della politica
nel nostro Paese. La politica non se la passa bene da tempo, ma
nei momenti in cui si devono lasciare o prendere posti il ceto
politico riesce a dare il peggio di sè. La questione è bipartisan.
In tutte e due i poli ne succedono di tutti i colori. Giocano alla
grande i radicali di Pannella: aperti all’alleanza sia con la
destra che con il centrosinistra, con intelligenza e
legittimamente stanno in evidenza su tutti i telegiornali e
giornali. Sollecitati a destra e a manca, aspettano l’offerta più
consona al loro sentire.
E che dire dell’area ex socialista equamente suddivisa tra i
berluscones e i prodiani? In Umbria si prospetta addirittura una
lista “fuori dai poli” che corre da sola con i simboli cari a
tutti i socialisti. Non bisogna scandalizzarsi più di tanto. Dopo
tanti atti compiuti per costruire un nuovo sistema politico che
sostituisse quello degradato dei partiti di massa, ci ritroviamo
con un quadro in cui prevale la frantumazione e le transumanze. I
partiti sono aumentati e tendono sempre più a personalizzarsi.
Ci avevano promesso la semplificazione ed adesso abbiamo sistemi
elettorali incomprensibili e assurdi. Spiego. I sistemi elettorali
per le regionali sono teoricamente venti. Non è mancata la
creatività nello stabilire le norme di voto. Ad esempio, a causa
del sistema elettorale, nella Regione Toscana non si ci sarà
l’alleanza tra ulivisti (unionisti adesso?)e Rifondazione. Il
motivo? I voti in più che porterebbe Bertinotti farebbero scattare
un meccanismo per cui l’alleanza….perderebbe quattro consiglieri.
Capire il perchè è complicato per gli addetti ai lavori,
figuriamoci per la gente. I toscani sono gente pratica ed è per
questo che hanno abolito nel voto le preferenze. Le graduatorie in
lista sono fatte dai partiti e gli elettori non dovranno fare la
fatica di scegliere i consiglieri eletti. Lo hanno fatto per il
loro bene i capi delle coalizioni.
In Umbria la legge elettorale non è stata modificata per le
mitiche vicende dello Statuto e l’alleanza con Rifondazione non
può essere messa in discussione. Trenta candidati e il listino
presidenziale di cinque candidati. Tra gli esperti al lavoro nei
partiti, si fanno i conti e il suggerimento, non reso pubblico, è
di cercare di vincere ma con misura. Il sogno sarebbe riuscire ad
avere meno del 57% dei voti in modo che scatti tutto il listino
dei cinque fortunati che, assieme al Presidente eletto,
entrerebbero a Palazzo Cesaroni senza essere votati da alcuno.
Superare quella percentuale farebbe perdere al centrosinistra due
consiglieri. Vista la debolezza del centrodestra umbro il sogno è
difficile da realizzare, ma si sa che la speranza è l’ultima a
morire e poi il polo di destra ha esattamente l’interesse
contrario. Perdere alla grande non sarebbe una tragedia.
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E allora grandi tensioni per la graduatoria del listino stesso
oltre che per i nominativi della lista della Federazione
(DS,Margherita,SDI). Le cose sono molto complicate. I criteri da
salvaguardare sono molti. Nel dibattito, stranamente, non è stato
mai introdotto un criterio che valuti la qualità politica e
amministrativa dimostrata da chi si vuol candidare o ripresentare.
Non sarebbe educativo anche rendere partecipe l’elettorato del
giudizio sul lavoro svolto dai singoli assessori o consiglieri? I
criteri emergenti sono altri. La giusta presenza femminile,
l’equilibrio tra continuità e rinnovamento, la rappresentanza
territoriale e se c’è la possibilità anche la diversificazione
culturale e sociale. I posti a disposizione sono quelli che sono e
far quadrare il cerchio è impresa titanica per partiti ormai
divenuti molto “leggeri”. Quando si parla di feudalizzazione non
lo si fa per polemica politica, a questo punto ininfluente, ma la
si denuncia per sollecitare uno scatto di gruppo dirigente
regionale che rivendichi un giusto equilibrio tra le esigenze di
rappresentanza e l’ottenimento del consenso popolare. Obbiettivo
non ultimo di una tenzone elettorale.
Chi ha grandi problemi sono i Ds e si capisce perchè. Rischiano di
essere i portatori d’acqua e di voti senza ottenere grandi
soddisfazioni di ceto dirigente. Essendo il partito più forte ha
anche una classe dirigente molto articolata e sperimentata. Con la
preferenza unica le cose sono drammaticamente difficili. I
candidati espressione di territori in cui i DS sono radicati hanno
un enorme vantaggio come quelli che rispondono a zone in cui è uso
l’espressione del voto di preferenza. Se un territorio ha un solo
candidato è ovviamente avvantaggiato rispetto a chi di concorrenti
ne ha più di uno. L’affollamento di candidati nel perugino rischia
di essere eccessivo: per sua natura Perugia è una “città aperta”.
La scelta della lista unitaria voluta dai prodiani complica
ulteriormente le cose per i Ds umbri e si capisce perchè. I conti
sono semplici: tre partiti divisi fanno (per la circoscrizione di
Perugia) cinquantaquattro candidati. La Federazione
(DS,Margherita,SDI) potrà esprimere una lista di diciotto
candidati. E’ vero e non è da sottovalutare nè guardare con
sufficienza, il significato politico della Federazione. Il
problema è che non c’è scritto da nessuna parte che l’elettorato
premierà la scelta di unificazione delle liste nè che gli eletti
saranno la rappresentazione corretta della forza dei singoli
partiti della Federazione. Forse l’ideale del grande partito
riformista che alcuni sognano vale qualche sacrificio e qualche
scranno in meno.
Corriere dell’Umbria 13 febbraio 2005
da Francesco Mandarini | Feb 6, 2005
Come un bambino viziato e dispettoso Berlusconi ne ha fatta un’altra delle sue.
Si sta per svolgere il Congresso nazionale dei DS? E che ti fa il cavaliere di
Arcore: convoca il consiglio nazionale del suo partito personale, Forza Italia,
per offuscare il dibattito della maggior forza di opposizione. Il consiglio
nazionale di Forza Italia è noto per essere un organismo inutile come una torta
di plastica. Relaziona Berlusconi, interviene Berlusconi, conclude Berlusconi.
Essendo proprietario di quasi tutto il sistema della comunicazione, Berlusconi
ha potuto continuare nelle sue ossessive sparate contro il comunisti da tutte le
televisioni del Paese. Perchè meravigliarsi? Parlare di scorrettezze con uno
come il padrone della Casa delle libertà sarebbe come chiedere ad un pavone
di non allargare la ruota.
Meglio che Prodi e compagni comincino a parlare d’altro se vogliono vincere le
elezioni regionali. E di altro hanno cominciato a parlare nel congresso di Roma.
La scelta della Federazione tra DS, Sdi e Margherita è cosa fatta. Sarà un
nuovo partito? D’Alema dice che si vedrà in corso d’opera. Per ora lo statuto
approvato dai DS assegna alla FED responsabilità primarie nelle scelte concrete
di politica interna ed internazionale. Le liste unitarie per le regionali saranno un
altro passaggio decisivo per verificare l’appeal elettorale della Federazione. Si
spera che non si ripeta l’esperienza delle elezioni europee che, come si sa, non
fu brillantissima. Il partito dei riformisti è in costruzione e i diessini ne sono il
motore fondamentale.
I DS sono la principale forza politica organizzata. Si può dire di tutto, ma oltre
mezzo milione di iscritti e strutture territoriali diffuse almeno in una parte del
Paese, sono una energia essenziale per qualsiasi politica alternativa alla destra.
Lo si vede nel nostro piccolo in Umbria. Da noi sono ormai decenni che la
sinistra con varie etichette governa la maggior parte della struttura pubblica
locale. E l’ultimo congresso regionale dei DS ne è stata la dimostrazione
plastica. Non c’erano grandi attese per una assemblea congressuale in cui tutto
era stato deciso prima dai congressi delle unità di base. La mozione Fassino
aveva stravinto e il candidato alla segreteria regionale era unico.
Sembrava un congresso di normale amministrazione in cui si dovevano
soltanto raccogliere i frutti di tornate elettorali positive (le amministrative del
2004), fare il punto magari sulla qualità espressa dal governo regionale e
locale, predisporre le truppe per le prossime elezioni per la riconquista di
Palazzo Donini. Non è andata esattamente così. Lo scontro c’è stato ed è stato
molto aspro. Non sulla elezione del segretario. Figuriamoci, Bracco ha preso il
93% dei voti. Un vero plebiscito che ci ha fatto sentire giovani. Chi non ricorda
(con qualche angoscia) le elezioni per applauso dei segretari dei partiti
comunisti del blocco sovietico? Chi può dimenticare quei comitati centrali in cui
soltanto sparute minoranze votavano contro il segretario?
Eppure il 93% dei voti a Bracco non fotografano un partito unito.
Bracco ha posto un problema di fondo. Rischiamo di diventare il partito degli
amministratori? Non è quesito nuovo. Negli anni ’70 il dibattito si aprì nel PSI e
i giovani leoni del craxismo montante riuscirono a scalzare dal potere la
vecchia classe dirigente socialista. Alla fine degli anni ’80, nella stagione
dell’occhettismo vincente, toccò al PCI. Anche allora si denunciava una
situazione in cui i “poteri forti” condizionavano le amministrazioni. Non fu
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chiarissimo in quali circostanze questo avvenisse, ma il nuovo doveva avanzare
ed avanzò alla grande.
Perchè oggi Bracco e non solo pone la stessa problematica? E’ un problema
reale o sottostante c’è qualcosa d’altro? Che la politica anche in Umbria
esaurisca la sua funzione soltanto all’interno della gestione della cosa pubblica
non è una novità , ma la responsabilità non può che essere collettiva. Che la
politica sia stata “personalizzata” è una denuncia non di oggi. Non dipenderà
dal sistema politico che si è voluto imporre? E al di là del bipolarismo che ci
può stare non sarà che il maggioritario e il presidenzialismo in tutte le sue
versioni favoriscono la feudalizzazione delle classi dirigenti politiche? Scansati
tu che mi ci metto io sembra essere ancora una volta lo slogan dei nuovisti in
movimento. Il problema vero sono le regole che mancano nella costruzione del
ceto politico. Prendiamo il limite nei mandati elettorali. Prevedere che il limite
sia due mandati è fuorviante. E’ ovvio che potrà essere disatteso per molti
motivi e comunque non risolve il fatto della carriera politica. Fare due mandati
in regione, due al parlamento, due in provincia, due in un comune per un
dirigente significa essere impegnato nella macchina pubblica per 40 anni 40.
Non è poco. Ci vogliono altre regole fissando anche incompatibilità e criteri
condivisi nella scelta dei candidati. Ad esempio, è acquisito il fatto che il listino
per le elezioni regionali è una assurdità . Che ci siano persone che entrano
nell’assemblea regionale senza essere elette stride con la trasparenza e con la
democrazia. Non si è potuto (?) cambiare la legge e allora si dovrebbe stabilire
un criterio per l’uso dei posti del listino. Se c’è una logica questa dovrebbe
portare ad inserire nel listino candidati nuovi che non hanno ancora quel
consenso elettorale che deriva dalla notorietà . Una giovane donna? Un
rappresentante della cultura o della produzione? Un ragazzo da sperimentare?
Questo dovrebbe essere il criterio. Nei palazzi della politica sembra invece che
si discuta del listino in altro modo. Posto sicuro? Mettiamoci i capi della
coalizione. Sinceramente la cosa sarebbe paradossale. Un leader affermato non
può che cercare il consenso popolare anche attraverso il voto.
Sono gli oligarchi che si sentono predestinati ad un potere che non richiede a
nessuno, specialmente agli elettori, alcun mandato.
Corriere dell’Umbria 6 febbraio 2005