da Francesco Mandarini | Lug 17, 2011
Dalla Padania all’isola di Lampedusa un solo grido di giubilo si è levato dal popolo: Lui resta. Resta a fare il Capo fino a quando non riuscirà ad abbassare le tasse agli italiani. Lui ha la squadra dei nominati/acquisiti in Parlamento e andrà avanti per salvare l’Italia dai comunisti.
Esattamente come diciassette anni or sono e dopo che il Cavaliere è stato al governo per otto anni degli ultimi dieci, siamo ancora alla promessa berlusconiana dell’abbassamento delle tasse.
Per intanto il Suo governo approva una manovra finanziaria che in tre anni farà alzare la pressione fiscale in maniera ancor più radicale di quanto abbiano già fatto i governi della destra in questi anni. Sia chiaro l’aumento non riguarderà tutti: coloro che non hanno pagato mai le tasse o lo hanno fatto in modo parziale, continueranno o a evadere o a eludere sistematicamente.
Non un Euro in più pagheranno i precettori di rendite finanziarie o il ceto politico. Le grandi ricchezze non saranno nemmeno sfiorate dalla manovra lacrime e sangue del governo della destra berlusconiana.
L’evento parlamentare di venerdì? Si è trattato di un Family Day all’incontrario.
Saranno, infatti, le famiglie a sostenere l’intera manovra necessitata dal risanamento dei conti pubblici. Chissà se le gerarchie cattoliche prenderanno coscienza del disastro, per le famiglie e il Paese, prodotto dalle scelte dei cattolicissimi berluscones? Mentre la Camera dei Deputati approvava la manovra, l’Istat pubblicava una nota: “La povertà in Italia”. Agghiacciante. Sono oltre otto milioni gli individui in condizioni di povertà relativa. Sono oltre un milione le famiglie in condizione di povertà assoluta. Marco Revelli scrive sul “Manifesto” di sabato: “Soprattutto però i dati Istat confermano la persistenza, anzi l’aggravamento, di tutte le caratteristiche
che sono state indicate come tipiche del “modello di povertà ” italiano. Un modello patologico, senza confronti in Europa.
Esse sono tre. In primo luogo lo squilibrio nord-sud, con un differenziale territoriale che per la povertà relativa raggiunge le 5 volte: il 67% della povertà italiana continua a concentrarsi
nel Mezzogiorno, nonostante vi risieda appena il 31% della popolazione. In secondo luogo l’altissima incidenza della povertà tra le famiglie numerose, in particolare quelle con figli
minori a carico, che fa dell’Italia la maglia nera in Europa per quanto riguarda la più scandalosa delle povertà , quella dei minori, che qui raggiunge la percentuale record del 25% (secondo l’agenzia statistica europea Eurostat). Infine l’alto livello di povertà , sia relativa che assoluta, tra i lavoratori. La presenza,
imbarazzante, dei working poor, dei “poveri al lavoro”. O, se si preferisce, di coloro che sono poveri sebbene lavorino (più del 6% sono in condizione di povertà assoluta!). Ebbene, tutti e tre questi aspetti risultano ““ in alcuni casi drammaticamente ““ peggiorati nell’ultimo anno. àˆ sconvolgente che la povertà
relativa sia aumentata, in un solo anno, tra le famiglie numerose, di ben 5 punti percentuali (dal 24,9% al 29,9%). E che nel Meridione, tra le famiglie con tre e più figli minori, il balzo
sia stato addirittura di 11 punti (dal 36,7% al47,3%). Significa che lì, un minore su due vive in una famiglia povera.
Purtroppo la manovra approvata aggraverà questa situazione già di per se allarmante.
Anche il sorridente Bersani si è accorto che quella approvata venerdì scorso è una manovra classista che scarica sui ceti medi e sui più poveri l’onere del risanamento dei conti pubblici. Forse anche nel PD comincia ad emergere una velata critica all’ideologia liberista dominante a Roma e a Bruxelles? Che di fronte al rischio dovuto all’ondata speculativa fosse necessario uno scatto del Parlamento nel decidere l’intervento, è sembrata cosa saggia. Che il risultato prodotto sarà quello di bloccare la speculazione non è affatto scontato. Uno dei problemi del Paese è certo il debito pubblico, ma fondamentale rimane il fatto che sono ormai dieci anni di epopea berlusconiana in cui l’Italia non è cresciuta nella sua economia. Senza crescita i problemi del debito non potranno che aggravarsi. Colpendo così radicalmente le condizioni economiche del ceto medio e dei meno abbienti come sarà possibile invertire la tendenza alla recessione? Quale incidenza potranno avere i consumi di quel 10 per cento di straricchi che possiede quasi il 50% della ricchezza nazionale? Quante Suv o panfili o ville al mare e in montagna potranno acquistare i ricconi per aiutare la ripresa del Paese? L’egoismo proprietario è uno dei motori del declino italiano.
Se all’aumento della pressione fiscale per lavoratori e pensionati si aggiunge la destrutturazione di quel poco di welfare che c’era in Italia, non ci resta che piangere e indignarsi e protestare contro una classe dirigente irresponsabile.
Il federalismo? La Lega se lo scordi. Con i tagli previsti da oggi al 2014 per tutto il sistema delle autonomie locali e delle regioni, parlare di federalismo fiscale è come tentare di vendere frigoriferi al polo nord. Comuni e Regioni non avranno le risorse per assicurare servizi essenziali al cittadino se non aumentando in maniera radicale tariffe e imposte. Chi potrà pagare le rette dei pochi asilo nido o delle esigue strutture di supporto agli anziani? Chi avrà i mezzi per aiutare l’indigente?
La manovra ha come conseguenza istituzionale un’ondata di centralismo che svuota completamente ogni possibilità di autogoverno cittadino o regionale.
Per l’Umbria l’autogoverno è stato sempre un obbiettivo, una bandiera delle classi dirigenti politiche e sociali.
La nostra comunità ha cominciato ad uscire dal sottosviluppo quando si sono conquistati spazzi per governare le collettività locali attraverso processi di partecipazione diffusa in un disegno regionalista. Al di là dei giudizi sul ceto politico, recuperare uno spazio di salvaguardia dell’autonomia locale è compito che riguarda l’intera classe dirigente dell’Umbria. Se c’è batta un colpo.
da Francesco Mandarini | Lug 10, 2011
Basta seguire una qualsiasi trasmissione televisiva di approfondimento per capire che il mondo della politica è un mondo a parte che ha perduto qualsiasi capacità di ascoltare e capire quello che la gente comune pensa e vuole e quali siano le priorità di un Paese tramortito da una crisi che sembra non finire mai. Chi si era illuso che il ceto politico avesse capito il chiaro messaggio dei referendum e delle amministrative recenti, è servito: continuano a parlare ed insultarsi tra loro senza affrontare le contraddizioni di un mondo violentato dalle guerre e dalla speculazione finanziaria.
Ormai non passa giorno che non vede la richiesta di una procura di arresto di un parlamentare accusato di reati gravissimi.
Il ministro Tremonti, dopo aver dato del cretino a Brunetta, scopre che l’appartamento, dove usualmente abita a Roma, ha un canone mensile di 8500 Euro ed è pagato da un suo strettissimo collaboratore accusato di corruzione. Un altro ministro, Romano, sarà rinviato a giudizio perchè accusato di rapporti con la mafia. Dopo aver sistemato i mille evasori delle quote latte, Bossi conferma l’indissolubilità del suo rapporto con Berlusconi. Mercoledì minaccia catastrofi e il giovedì va a Palazzo Grazioli a prendere il tè con il Capo per confermare la fedeltà dei padani. Il Venerdì torna in Padania e ricomincia a denunciare “Roma Ladrona”. Siamo ad un’ondata giornaliera di gag che purtroppo non hanno la qualità di quelle tra Gianni e Pinotto o di Tognazzi e Vianello. Non c’è niente da ridere, il disprezzo e l’indignazione non sono esclusività dei “comunisti”, riguarda uomini e donne di ogni ceto e di ogni latitudine. Sono settimane che nella civilissima Parma, donne uomini, vecchi e giovani, scendono in piazza per chiedere le dimissioni di un’amministrazione comunale macchiata da scandali e ruberie. Non sono i centri sociali, ma l’intero popolo che non accetta più di essere governata nell’illegalità . Quanto ci è costata in termini finanziari e di credibilità nei mercati esteri questa settimana di ulteriori scandali e di insulti feroci tra i nostri governanti?
Che il debito pubblico italiano ha raggiunto dimensioni tali da richiedere grande rigore, è cosa da non discutere. Che il rigore deve essere garantito soltanto attraverso una sorta di patrimoniale atipica sui ceti meno abbienti, richiede qualche riflessione.
La storia economica insegna che l’impoverimento dei ceti medi comporta sempre la recessione di un Paese. Basta pensare al passato recente dell’Argentina o all’attuale situazione degli Stati Uniti d’America per capire che quando il potere di acquisto e di risparmio si abbassano per la maggior parte del popolo, la crisi si avvita verso la depressione. Le entrate dello Stato diminuiscono e il debito non si abbassa. Colpisce che la presidente degli industriali richieda un generico abbassamento della spesa pubblica. Perchè un conto sono gli sprechi da tagliare assieme alla burocrazia, un altro conto sono gli investimenti pubblici necessari a rendere l’Italia un Paese più moderno. Il tracollo degli appalti pubblici ad ogni livello non è una delle cause più serie della crisi? Senza domanda pubblica per servizi a infrastrutture con cosa pensa di rilanciare il sistema produttivo la Signora Marcegaglia?
Non è dato sapere con certezza le dimensioni della manovra che il governo Berlusconi si appresta a far approvare con voto di fiducia prima delle ferie parlamentari. I giornali di giovedì non davano informazioni univoche sulle dimensioni, ma tutti con nettezza individuavano coloro che sopporteranno il peso maggiore dei tagli.
Qualcuno ha definito la manovra tremontiana come una sorta di lotta di classe alla rovescia. Cioè saranno i più poveri a sostenere i maggiori carichi. Piccoli risparmiatori tassati pesantemente o dipendenti pubblici che non avranno aumenti stipendiali per i prossimi anni o pensionati che vedranno ulteriormente impoverite le loro pensioni. Praticamente ogni detrazione Irpef sarà abrogata così la pressione fiscale aumenterà per tutti coloro che le tasse le pagano. Tutti vivremo in uno Stato dove i servizi al cittadino saranno decisamente dimensionati al ribasso. Si allargherà ulteriormente la forbice tra noi e il resto d’Europa per tutto ciò che riguarda le politiche per la famiglia, per l’assistenza in generale. Il supporto al lavoro giovanile o gli investimenti per la scuola e l’università rimarranno pii desideri. Siamo ben ultimi nel continente già oggi, staremo peggio dopo la cura del governo della destra.
Berlusconi ha detto che il welfare italiano è arcaico e che bisogna cambiarlo alla radice. Il cambiamento significherà , con i tagli previsti, che Regioni e autonomie locali non saranno più in grado di assicurare una sanità efficace o trasporti locali adeguati nè prestazioni nelle politiche di assistenza. Non ci sarà un Euro per uno straccio di politica per favorire l’occupazione dei giovani e delle donne.
Parlando con qualche amministratore locale ho avvertito una sorta di smarrimento per un futuro che si presenta difficile. E la difficoltà è enfatizzata anche dalla coscienza che anche in Umbria il rapporto tra la politica e il popolo va malissimo. Non è un problema di scandali ma principalmente questione legata al modo di essere di un ceto politico chiuso nei suoi riti. Un dirigente di rilievo del PD mi ha detto smarrito: “Ma lo sai che ormai le correnti interne, che non si possono chiamare così perchè non è glamour, sono almeno otto? Come è possibile che un Sindaco, Fassino, appena eletto, con tutti i problemi della TAV venga in Umbria ad un’incontro di ventisei, diconsi ventisei appartenenti alla sua corrente?”.
Capisco lo smarrimento, capisco meno che dopo il voto di giugno i soliti noti abbiano ripreso a duellare come se niente fosse successo. Lotta senza tregua per ogni ipotesi di legge elettorale proporzionale o conferma del sistema maggioritario. Considerando il buon risultato di questi venti anni di leggi elettorali maggioritarie, meglio confermare il sogno rutelliano di eleggere un giorno il Sindaco d’Italia. Tanti affettuosi auguri ai fratelli coltelli di cui è colmo il riformismo italiano.
da Francesco Mandarini | Lug 3, 2011
Un tempo i segretari di partito venivano eletti dai consigli nazionali o dai comitati centrali dopo lunghe tornate congressuali che appassionavano gli iscritti al partito che eleggevano i delegati ai congressi provinciali, le sedi di elezione dei partecipanti al congresso nazionale. Processo lungo che però assicurava una forma di partecipazione sia nell’approvazione dei programmi del partito che degli organi preposti all’attuazione dello stesso. Ogni membro di un organismo di direzione, ad ogni livello, doveva essere votato nel congresso o con voto segreto o con voto palese. Erano queste le procedure di tutti i partiti della Prima Repubblica.
Il primo segretario di partito eletto direttamente dal congresso e non da un organo di direzione nazionale, è stato Bettino Craxi, penso nel congresso del 1978 a Torino.
Soltanto con lo scioglimento del PCI Achille Occhetto fu eletto segretario del PDS dal congresso di Rimini nel febbraio del 1991, alla seconda votazione.
La personalizzazione della politica di questo ultimo ventennio ha comportato l’enfatizzazione delle leadership e del plebiscito come strumento. Frutto del rapporto diretto con il popolo, senza la mediazione di alcun organismo di direzione collettiva dei partiti, il segretario ottiene il mandato popolare che dovrebbe salvaguardarlo dalle interferenze interne. In realtà le cose non sono andate in questo modo. Il lungo travaglio degli ex eredi del PCI è segnato da un ricambio di segretari in rapida successione come gli allenatori dell’Inter di Moratti. Una sorta di gioco dell’oca che ha gli stessi protagonisti da due decenni.
Il PD ha fatto la scelta radicale dell’elezione del segretario attraverso le primarie. Un meccanismo che ha un senso nella scelta di un candidato sindaco sembrerebbe averne meno per scegliere il capo di un partito. Comunque Bersani è stato eletto attraverso le primarie con una maggioranza significativa dopo un’aspra competizione dopo che Veltroni, eletto anche egli con le primarie, aveva dato le dimissioni. Se erano farraginose le procedure dei vecchi partiti di massa, certo che quelle inventate dal PD non brillano per rapidità nelle scelte delle leadership e dei programmi.
Trasparenti e rapidissime quelle scelte da Berlusconi per la gestione del suo partito. Nominato segretario a Palazzo Grazioli, Angelino Alfano è stato acclamato segretario in un’assemblea convocata, non so con quali criteri, dal presidente del consiglio.
La linea del primo segretario del PDL è stata ben chiara. Il PDL sarà il partito degli onesti e la riconquista del popolo dei moderati sarà propedeutica per ricandidare nelle elezioni politiche del 2013, Silvio Berlusconi. Applausi scroscianti dell’assemblea e tutti a casa per il meritato weekend di riposo.
Nel frattempo l’Italia rimane governata alla meglio.
Il Quintino Sella della nostra modernità , il ministro Tremonti, ha presentato la manovra voluta dalla Comunità per il rientro dal nostro debito. Furbissimo il ministro. L’entità della manovra è di significative dimensioni, circa 47 miliardi di tagli ripartiti in modo che da qui al 2013 si taglieranno soltanto 7 miliardi e il resto saranno tagliati dal prossimo governo. I costi della politica? Problema risolto: si costituisce una commissione di saggi i cui provvedimenti di contenimento della spesa scatteranno nella prossima legislatura. Così che gli attuali nominati in Parlamento potranno tranquillamente continuare a ricevere le laute indennità che, come è noto, sono il doppio di quelle che prendono la gran parte dei parlamentari degli altri Paesi che, tra l’altro, sono eletti dal popolo e non nominati dagli oligarchi di partito.
Non buttiamoci giù: deteniamo il record europeo per le ore di volo degli aerei a disposizione di ministri e sottosegretari. Due nuovi elicotteri del costo di 50 milioni di Euro saranno a disposizione dei nostri governanti. E’ o non è il governo del fare? Per fare c’è bisogno di rapidità nei movimenti.
Non rapidissimi sono stati nel prendere decisioni per risolvere i problemi dei rifiuti a Napoli. Rapidissimi invece nel regalare a 1000 padani i 4 miliardi e mezzo dovuti per la rapina delle quote latte.
Non hanno messo le mani nelle tasche degli italiani! Anzi faranno la riforma del fisco. Tra tre anni. Regioni e Comuni avranno circa 10 miliardi in meno e dovranno tagliare servizi rendendo ancor più precaria la vita di tanta gente. Come provvedimento innovativo vengono ripristinati i tiket sulla sanità e la scuola avrà ancor meno risorse, ma lor signori non mettono le mani nelle nostre tasche. Non un Euro è previsto per affrontare la grande emergenza del Paese, quella del lavoro che manca. La disoccupazione giovanile è arrivata al 30%, nel mezzogiorno d’Italia una donna su due è disoccupata. La quasi totalità delle assunzioni avviene con contratti a tempo determinato e per periodi brevissimi. Il tasso di scolarizzazione si sta drammaticamente abbassando. Chi vive di pensione diviene ogni giorno più povero. Quanto può durare una situazione come questa?
Anche nella nostra terra si cominciano a vedere i segni di una crisi economico-sociale che rischia di produrre altre povertà e nuove emarginazioni. Le minori risorse a disposizione delle autonomie locali renderanno difficile mantenere il livello dei servizi al cittadino senza aumentare le tariffe.
Diviene drammaticamente urgente procedere ad una riconversione della spesa eliminando tutto ciò che costituisce spreco ed anche da noi è necessario procedere a comprimere tutto ciò che è costo della politica. Non va considerata qualunquista la richiesta di un ridimensionamento degli apparati della politica. La riscoperta del lavoro volontario può aiutare la rinascita di una politica che si svolge per passione e non per interesse di carriera personale.
In tanti settori il volontariato è una molla formidabile per affrontare i problemi. Perchè questo non può essere anche lo strumento per costruire un’altra politica?