da Francesco Mandarini | Ott 27, 2011
Buone notizie dal Bel Paese. L’Onorevole Pannella ha interrotto il suo eterno digiuno ed ha accettato un invito a cena. Il menù non era male: maccheroncini cacio e pepe; scaloppine ai funghi; gelato di crema. La casa è di quelle alla moda: Palazzo Grazioli. L’ospite? Silvio Berlusconi. Della discussione tra i convitati non si hanno particolari e sbagliano coloro che, malignamente, pensano che il leader radicale abbia richiesto al Capo la riconferma del finanziamento pubblico per Radio Radicale. Si tratta, forse, di qualcosa politicamente più rilevante. E’ possibile che i parlamentari radicali, eletti nelle liste del PD, possano rientrare nei saldi di fine stagione e divenire parte nel lungo elenco della campagna acquisti iniziata un anno fa dal Capo? La storia dei radicali italiani è una vicenda ricca d’intelligenti iniziative e se è vero che l’onorevole Capezzone pur essendo stato segretario del PR, è oggi uno dei berluscones più aggressivi, Emma Bonino, assieme a tanti altri dirigenti radicali, ha dimostrato nell’agire politico, quanto le idee radicali possano incidere nella politica mantenendo sempre dignità e autonomia. E’ immaginabile che oltre a Scilipoti, Calearo e Romano per citarne alcuni, anche i parlamentari radicali aiuteranno Berlusconi a galleggiare per un altro anno?
La fase politica attuale riserva sorprese ogni giorno. L’Onorevole Scilipoti, nominato in parlamento dall’Onorevole Di Pietro, non soddisfatto di aver cambiato casacca, ha fondato un partito, un movimento che ha già il suo giornale. Probabilmente riceverà il finanziamento pubblico. Da come si stanno mettendo le cose è possibile che i giornali editati da cooperative di giornalisti e presenti nelle edicole (400mila copie al giorno), non avranno più risorse pubbliche mentre il giornale del partito di Scilipoti sì. L’Avvenire e il Manifesto dovranno cessare le pubblicazioni e in compenso potremo leggere il pensiero politico dei “responsabili”. La democrazia avrà un arricchimento sostanziale. Entusiasta Peppe Grillo.
Tutto ciò appare come la giusta cornice a una situazione del Paese che è argomento di preoccupazione in Europa. Quasi con le lacrime agli occhi, le autorità europee chiedono che il governo italiano prenda urgenti provvedimenti per la crescita. Il costo del servizio del debito, gli interessi sui BTP, è giunto a un livello allarmante. Bisogna intervenire subito, pena il tracollo. L’unico che non ha fretta è Berlusconi. Annunciato da oltre un mese il provvedimento per la crescita non esce ancora fuori. Gli uomini e le donne del governo del fare, non sanno cosa fare. Non c’è un Euro, annuncia tranquillamente il Capo. Non sarà un provvedimento organico dice il segretario del PDL ma una serie d’interventi. Quali non si sa ancora. Prende corpo un altro condono fiscale e ci assicurano che si liberalizzeranno alcune professioni: le manicure ad esempio. Economisti, imprenditori, personaggi ricchissimi suggeriscono l’introduzione di una patrimoniale. Orrore. Un governo che ha eliminato una delle poche tasse sul patrimonio, l’ICI, può pensare di far pagare a quei dieci per cento della popolazione che possiede il sessanta per cento della ricchezza nazionale un obolo di fronte al tracollo della nostra economia? Mai e poi mai. Scelta migliore, per l’Onorevole Cicchitto e Company, dare un premio, un’altra volta, agli evasori fiscali o ai costruttori abusivi di cui è piena l’Italia. Con le elezioni alle porte è meglio essere prudenti.
Il Presidente Napolitano ha ricordato a tutti i rischi per la tenuta sociale del Paese in una situazione sempre più precaria per tanta parte del popolo. Tutti gli istituti di ricerca segnalano un impoverimento progressivo di fasce sempre più vaste della popolazione. Tassi di disoccupazione giovanile e femminile in continua crescita. Un ceto medio sempre più proletarizzato. Una caduta degli investimenti pubblici e privati di dimensione epocale. L’assoluta incapacità delle classi dirigenti a darsi progetti capaci di mettere a leva le risorse economiche e umane del Paese, è il dato più inquietante. Dall’Europa, oltre ai rimproveri per i ritardi, non ci viene un grande aiuto. Germania e Francia si sono arrogate il diritto di indicare loro la strada per combattere la crisi, ma nei momenti decisivi non riescono a trovare la soluzione ai problemi derivanti dalla crisi del debito pubblico e dalla mancata crescita dell’economia. Le ricette imposte alla Grecia, questione sociale a parte, non sembrano produrre altro risultato che nuova povertà . Sembrerebbero ovvietà , ma così non è per le pessime classi dirigenti europee: senza la ripresa dei consumi e degli investimenti non può prodursi crescita. Senza trovare le strade per dare lavoro ai milioni di giovani disoccupati, la ricchezza nazionale non potrà crescere. Con una politica economica di esclusivi tagli della spesa pubblica e una tassazione eccessiva del lavoro e del mondo della produzione come s’immagina si possano trovare le risorse per pagare il debito sovrano? Altra cosa è il lavorare per una riconversione profonda della spesa pubblica. Una linea di alleggerimento delle burocrazie unita a semplificazioni legislative può aiutare, ma il nodo è come liberare ricchezza pubblica a vantaggio di nuove occasioni di lavoro. In Umbria, come in Italia, siamo molto in ritardo in tutti i processi di’innovazione. Rendite di posizione, pigrizie amministrative, non premiano le pur presenti capacità nel mondo delle imprese e nella stessa struttura pubblica. Negli anni sessanta le classi dirigenti di allora, al di là degli interessi di partito e/o di parte furono capaci di produrre un progetto di uscita dall’emarginazione dell’Umbria che, negli anni, seppe trasformare la nostra società . Forse è venuto il tempo di mettere in campo idee che non riguardino soltanto il proprio destino politico, ma siano utili a impedire che l’arretramento dell’Umbria si perpetui. Ognuno è chiamato a fare la sua parte con spirito di servizio, ridando così un valore alla politica.
da Francesco Mandarini | Ott 19, 2011
Notizie dal mondo. Al momento in cui scrivo in oltre 680 città del Nord e del Sud del globo, si svolgono o si stanno organizzando manifestazioni che hanno come filo rosso quello dell’indignazione per come le classi dirigenti politiche ed economiche gestiscono la violenta crisi derivata dalle politiche liberiste dei governi. Non sono solo i giovani che protestano. L’impoverimento del ceto medio negli Stati Uniti, come in Italia, sta portando nelle piazze donne e uomini che sono già stati espulsi dal lavoro o che hanno un’occupazione precaria e insufficiente a garantire un qualsiasi futuro dignitoso per loro o per i propri figli.
E’ un movimento molto vasto che alcuni paragonano a quello degli anni 60. Quello che segnò una lunga stagione politica modificando stili di vita, abitudini, culture e senso comune. Difficile capire se quello degli indignados sarà in grado di modificare la tendenza all’impoverimento di strati sempre più vasti della popolazione. Quello che è certo è che esso si svolge al di fuori della politica dei Palazzi e che non si riconosce in nessuna forza politica in campo. Lo scarto tra ciò che succede nei centri di potere e ciò che i popoli vogliono si va allargando in maniera angosciante.
E’ la stessa democrazia che entra in fibrillazione quando le classi al potere perdono completamente il rapporto con i cittadini, con gli elettori. Che ha a che fare con il comune sentire il fatto che anche il cinquantunesimo voto di fiducia ha confermato che il governo Berlusconi ha ancora una maggioranza di 316 parlamentari? Nulla. Per darsi una spiegazione della tenuta dei berluscones è il caso di domandarsi quanti degli attuali nominati in Parlamento hanno una qualche speranza di tornare a Montecitorio o a Palazzo Madama in caso di elezioni anticipate. Per molti, non per tutti, l’essere stati nominati dalle oligarchie di partito e dal Capo in persona ha significato poter continuare a svolgere la propria attività di libero professionista avendo assicurato un lauto compenso soltanto con pochi giorni di permanenza, pagata, a Roma.
Il curriculum politico di molti, non di tutti, è pressochè inesistente e il nostro non è un Paese di eroici combattenti per la libertà di pensiero. Pretendere che i “nominati” rinuncino ai benefit in nome dell’interesse nazionale è pretendere troppo. Non è mica responsabilità loro se la compagine di governo è così sbrindellata da far sembrare l’Armata di Brancaleone un esercito napoleonico. E poi si può sempre far conto sulla generosità del Capo. E non è cosa da poco sperare in un qualche incarico aggiuntivo per sè o per un proprio famigliare. L’ultimo atto di generosità del Cavaliere, naturalmente pagato con soldi pubblici, è consistito nella nomina di altri quattro membri del governo. Ne sentivamo la mancanza. In questo caso, la nostra amata Umbria è stata premiata. Siamo a posto: abbiamo anche noi un santo in paradiso. Uno dei Vice Ministro nominati l’altro ieri dal governo, vive nell’Alta Valle del Tevere. Si occuperà , credo, di commercio estero. Il Made in Umbria avrà lo sponsor, dove si decide. Il governo sarà ancora più granitico e competente dopo l’innesto umbro. La smetteranno gli amministratori locali di lamentarsi dei tagli del governo centrale adesso che abbiamo la nostra Vice Ministro? Probabilmente No. L’Umbria risente fortemente del blocco di tutti gli investimenti pubblici e dei tagli nei trasferimenti centrali.
I vincoli del patto di stabilità hanno portato a una situazione molto difficile. Senza il volano della domanda pubblica molte imprese rischiano il collasso. Strette tra i ritardi nei pagamenti della struttura pubblica e il restringimento del credito, molte attività rischiano la chiusura o il ridimensionamento delle attività .
Si affannano in Europa a chiedere all’Italia una politica di sviluppo. Si dispera il Governatore Draghi nel ricordare l’esigenza di trovare la strada per dare lavoro ai giovani. Inutilmente. I provvedimenti per lo sviluppo annunciati tre settimane or sono da Berlusconi e Tremonti rimangono misteriosi. L’esecutivo è impegnatissimo a trovare la strada per bloccare i processi del Capo, ma non sembra particolarmente preoccupato per la disastrosa immagine che il Bel Paese ha all’estero.
All’estero sono strani. L’altro ieri il Ministro della Difesa del governo inglese, Liam Fox, ha dato le dimissioni. Perchè? E’ stato accertato che in alcuni viaggi il ministro era accompagnato da un suo amico imprenditore. Le spese del viaggio le pagava da solo l’amico, ma il fatto stesso che viaggiavano insieme durante una visita ufficiale è stato sufficiente per le dimissioni del ministro. Ricorda qualcuno il video del signor Lavitola che scende dall’aereo presidenziale subito dopo il Capo? Mister Fox era accompagnato da un imprenditore e non da un futuro latitante. Quisquiglie. Gente strana gli inglesi. Noi invece siamo un grande Paese e per fortuna rifuggiamo da ogni moralismo. E poi siamo guidati da gente che sa il fatto suo.
Infatti, il governo Bossi-Berlusconi-Scilipoti va per la sua strada: evitare le elezioni, galleggiare fin che si può mentre l’Italia affonda. Tanto la colpa del disastro è dei giornali e dei comunisti mica della pochezza dei governanti. La forza di questa linea? Campagne acquisti a parte, anche la debolezza dell’opposizione ha una sua importanza nel mantenere a galla gli incompetenti al governo. Non so a chi è venuta in mente la linea di far mancare il numero legale nell’ultima fiducia chiesta dal governo. Poteva essere una buona idea? Non sono un esperto delle tattiche parlamentari. A guardare il risultato sembrerebbe che non sia stata una grande pensata.
da Francesco Mandarini | Ott 10, 2011
A cosa serve la richiesta delle opposizioni a Berlusconi di fare un passo indietro e dimettersi? A nulla. Il cavaliere è convinto di essere l’unico che può salvare l’Italia dal disastro che si è prodotto nel mondo occidentale. Chi ha prodotto il disastro? Non certo il governo di Bossi e Berlusconi che anzi è riuscito a galleggiare nella crisi meglio di altri. Le agenzie di rating abbassano le valutazioni sull’affidabilità dell’Italia a causa della debolezza del governo? Colpa dei giornalisti comunisti e della sinistra anti italiana. Le piazze italiane sono stracolme di giovani e meno giovani che richiedono cose diverse da quelle che impongono Tremonti e gli altri brillanti ministri berluscones? Sono i soliti comunisti invidiosi del buon lavoro fatto. Tutte, tutte le associazioni sociali chiedono un altro guida meno disastrosa? Non hanno capito che il governo del Capo sta facendo benissimo e che presto un piano per lo sviluppo sarà pronto e capace di assicurare un nuovo rinascimento all’Italia. La generosità dell’uomo è cosa nota. Possiamo stare tranquilli: Berlusconi intende farsi carico del fardello e della fatica di governarci per tanti anni ancora. Per intanto se ne va in Russia a festeggiare il suo amico di sempre. Visto che non c’è altro leader mondiale che ha desiderio d’incontrarlo, il cavaliere abbraccerà in una dacia (la stessa di Stalin) Putin e il suo entourage. Oltre alla gioia di partecipare ad una festa di compleanno particolare, il Capo proverà un certo disappunto. Putin si sta assicurando, essendo un vero democratico, di rimanere al potere fino al 2024.
Sarà lo Zar di Russia più longevo. Il nostro può sperare soltanto che i suoi dipendenti parlamentari non facciano scherzi fino alla primavera del 2013. E non è detto che questo scenario si realizzi.
Osservatori di ogni colore politico e di ogni latitudine considerano che uno dei problemi italiani sia la pochezza del governo delle destre. Ormai l’accoppiata Bossi-Berlusconi somiglia sempre più ad una gag di Gianni e Pinotto o di Olio e Stanlio. Purtroppo non fanno nemmeno ridere. Desolazione è la definizione più consona.
In Francia, in Germania, negli Usa i governi e parlamenti sono impegnati a trovare le strade per impedire una recessione mondiale. La nostra assemblea parlamentare e il nostro governo sono bloccati per legiferare sulle intercettazioni e su i vincoli da porre alla libertà di stampa. Anche qui Berlusconi invidierà Putin. In Russia se un giornalista critica un potente rischia l’arresto e a volte, troppo spesso, la morte. In Italia per adesso i giornalisti vengono semplicemente insultati se non si comportano come Minzolini o Emilio Fede. Al massimo si opera perchè tutte le esperienze editoriali fuori dal mercato chiudano per i mancati finanziamenti della legge per l’editoria. Così spariranno dalle edicole giornali come il Manifesto, l’Avvenire oltre che tutte le testate della stampa minore. Nel complesso oltre quattrocentomila copie giornaliere in meno nelle edicole. E in un Paese che legge poco come il nostro non è cosa da trascurare.
Quando in un Paese si colpisce la libertà di informazione si incide profondamente sulla qualità della democrazia e questa avrà un pessimo destino se le forze della società civile e della politica non intervengono per invertire la tendenza. Non è cosa facile. Sembra che la tendenza alla disgregazione riguardi tutti. Che il più grande gruppo industriale privato esca dalla Confindustria non è problema che riguarda soltanto la Marcegaglia. La Fiat ha fatto, nel bene e nel male, la storia dell’Italia. Che in una situazione così fragile per il Paese il suo gruppo dirigente decida di abbandonare l’organizzazione di appartenenza è cosa gravissima che avrà un’incidenza decisiva nella presenza Fiat in Italia. Soltanto Sacconi e i suoi sodali di governo non lo capiscono. Sostenere che Marchionne ha voluto fare un favore a Berlusconi rompendo con Confindustria è opinabile. Che lo spostamento di un anno della cassa integrazione a Mirafiori comporterà un onere a carico della collettività è invece una certezza. Paghiamo tutti i ritardi dell’uomo venuto dal Canada.
In tutto questo ciò che appare evidente è l’incapacità delle opposizioni di organizzare una strategia che vada aldilà della richiesta di dimissioni del governo.
Di fronte ad un Parlamento trasformato in luogo di compravendita di voti, per ridare dignità alla politica ci sarebbe bisogno di un salto di qualità nell’azione di tutti coloro che al di là della collocazione e dei propri immediati interessi hanno a cuore la democrazia italiana.
Non si può affidare soltanto alla determinazione e al prestigio di Napolitano la tenuta della Repubblica. Grande è la responsabilità del PD. Cercare di andare oltre le proprie beghe interne per costruire un’alternativa credibile al berlusconismo non è semplice ma è improrogabile.
da Francesco Mandarini | Ott 3, 2011
Lo spettacolo indecente che molti di voi stanno dando non è più tollerabile da gran parte degli italiani e questo riguarda tutti gli schieramenti politici. Il vostro agire attento solo agli interessi personali e di partito trascurando quelli del paese ci sta portando al disastro e sta danneggiando la reputazione dell’Italia. E’ questo il succo di un’inserzione nei quotidiani italiani voluta da Diego Della Valle. Secondo l’imprenditore la classe politica si è allontanata dalla realtà , la crisi economica impone serietà , competenze e reputazione che gli attuali politici non hanno, salvo rare eccezioni. Le componenti responsabili della società civile che hanno a cuore le sorti del Paese lavorino per affrontare con la competenza e la serietà necessaria questo difficile momento. La comunicazione di Della Valle fa da pendant all’ultimatum della Confindustria a Berlusconi affinchè il governo delle destre prenda con urgenza provvedimenti che salvino il Paese dal disastro. Al di là del merito, va, per correttezza, rammentato che il governo Berlusconi non è il risultato di un’invasione di marziani, ma è la conseguenza delle scelte politiche che una parte della società civile, ad iniziare dal mondo delle imprese, ha compiuto ripetutamente negli ultimi diciassette anni. Berlusconi non è stato forse considerato fino a ieri il figlio legittimo della parte maggioritaria dell’imprenditoria grande e piccola? Negli ultimi mesi hanno cambiato parere. Come il Vaticano. Bene.
Che lo spettacolo della politica sia spesso scandaloso per responsabilità di molti suoi protagonisti è indiscutibile. Ma forse è il caso di riflettere sulla difficoltà di un’intera classe dirigente che non ha visto, per anni, che il declino italiano si accelerava anche attraverso l’impoverimento del mondo del lavoro e con la marginalizzazione dal processo produttivo di giovani e donne. La precarietà come orizzonte per intere generazioni non aiuta a costruire una società solidale ed è la precarietà una delle cause delle difficoltà della nostra economia. Le proposte confindustriali al governo Berlusconi non sembrano affatto preoccuparsi della tenuta sociale di un Paese ridotto allo stremo.
E’ verissimo, il ceto politico complessivamente sembra inadeguato ad affrontare la crisi, ma non sembra che in questi anni gli investimenti produttivi e innovativi siano stati la priorità di tanti altri protagonisti della società italiana. L’egoismo proprietario ne ha permeato gran parte e il mantra del mercato e del liberismo ha nascosto la decadenza dell’Italia. La riflessione da fare riguarda tutti perchè, con diversi gradi di responsabilità , tutti dovranno impegnarsi in modo diverso dal passato. Anche il mondo delle imprese è chiamato a riflettere su come adeguare le proprie strategie.
Certo per la politica la situazione è ancora più pressante.
Sono un milione e duecentomila le firme raccolte per il referendum contro la legge elettorale carinamente definita una porcata. Dopo anni e anni di discussioni nei partiti e tra i partiti, sarà un referendum a cancellare una legge che non elegge parlamentari, ma li fa nominare dal Capo? Il Presidente della Repubblica è stato netto: questa legge ha rotto il rapporto di responsabilità tra elettore ed eletto. Cambiare la legge elettorale è l’urgenza anche per Napolitano.
Sulle diverse ipotesi di sistema elettorale, notoriamente non c’è alcun accordo nè tra i partiti nè all’interno di questi. Il fatto politico rilevante è che sembra essere lo strumento referendum il dispositivo che può accelerare la riforma della politica. Per come funzionano i partiti essi non sembrano in grado di decidere nulla. C’è chi sostiene il sistema spagnolo, chi quello tedesco, perchè no a quello francese e che dire di quello in vigore in Israele? C’è chi sostiene che anche quello della Nuova Zelanda non è malissimo. Indifferenti alle lezioni di questi anni di creatività istituzionale, i vari personaggi continuano nel loro gioco dell’oca. Imponiamo il bipolarismo, basta con il suk di partiti e partitini. Passati venti anni di bipolarismo di partiti e partitini ce ne sono per tutti i gusti. Non arriviamo a cinquanta, ma ci manca poco. Nella prima repubblica erano sette. O otto?
Incredibile ma vero, il PD torna a dividersi sul candidato premier. C’è il sindaco Renzi che preannuncia la pole position certo che il popolo è prontissimo a riconoscerlo nel leader massimo della coalizione. Non è chiarissimo su quali partiti si aggregherà la renziana coalizione, ma questo è insignificante. Per intanto pole position da assicurarsi costi quel che costi. I veltroniani non hanno apprezzato l’incontro di Vasto tra Di Pietro, Vendola e Bersani. Rivorrebbero le primarie. Per confermare il segretario? Non ho capito bene. Di Pietro e Vendola, dopo il successo della raccolta delle firme per il referendum, hanno anche dalla loro il fatto che sia nei referendum del giugno scorso che alle amministrative sono stati quelli che si sono più spesi per costruire un’alternativa vincente al centrodestra con risultati tangibili. Certo sia IDV che SEL sono partiti atipici in cui la personalizzazione della politica ha un significato molto forte. Difficile uscire da un modello di organizzazione politica che dura da tanti anni e che ha reso la democrazia italiana molto diversa da quella incentrata nei partiti di massa.
Complesso rimane capire come rendere la partecipazione di elettori e aderenti ai movimenti qualcosa di più stabile che la semplice partecipazione al voto. Anche da questo punto di vista le esperienze nelle democrazie mature sono molto diverse e sarebbe sbagliato inseguire un qualche modello. Certo è che la pesantezza della crisi è tale da far temere un collasso nella tenuta sociale del Paese. L’agonia del governo delle destre non sposta necessariamente verso il centrosinistra l’orientamento delle masse. Ciò dipenderà dalla capacità di stabilire un rapporto politico continuo ed organizzato con il popolo. Per farlo c’è bisogno che nel centrosinistra si costruisca un’idea di società diversa da quella che ha prodotto il berlusconismo.