da Francesco Mandarini | Set 19, 2011
Pezzi dello Stato che scendono in piazza contro altri pezzi dello Stato. La rete delle autonomie locali, Comuni, Province e Regioni, contro Governo e Parlamento. Amministratori del centrodestra e del centrosinistra uniti nel denunciare lo svuotamento di ogni possibilità di gestione di servizi al cittadino se non a prezzo di un aumento massiccio delle tasse locali. La cosa più agghiacciante è che il partito che ha tormentato il Paese con l’esigenza del federalismo, la Lega, ha proibito ai Sindaci leghisti di partecipare alla protesta. A voglia di andare a Pontida a rivendicare la Padania libera. Il federalismo leghista ha ballato, male, e per una sola estate.
Pur di non dispiacere al Capo, Bossi è disponibile a tutto. Sembra di assistere ad un film di G.A. Romero. Quando si ascolta in TV Bossi, Calderoli, Gasparri o Sacconi, per citarne alcuni, si ha l’impressione che la politica sia gestita da zombie che vivono in una dimensione tutta loro, completamente alieni rispetto al mondo reale. Un mondo che sembra andare in frantumi per responsabilità delle classi dirigenti politiche, economiche e culturali: hanno favorito per decenni l’ideologia dell’egoismo proprietario. Oggi paghiamo il prezzo della loro concezione del mondo.
La politica sconvolta da scandali che in qualsiasi altra parte del mondo avrebbero provocato la scomparsa irreversibile dei protagonisti delle malefatte, si avvita in discussioni che nulla hanno a che fare con i problemi della gente. La massima struttura della democrazia, il Parlamento, ridotta a un opificio di voti di fiducia e di leggi che nella sostanza servono a impoverire ogni prospettiva di salvezza di una Nazione ridotta allo stremo.
Giustamente c’è una campagna contro i costi della politica e dei privilegi degli addetti ai lavori. Per evitare il qualunquismo, però, c’è bisogno di capire quale è il costo divenuto insopportabile per l’Italia. Il prezzo più alto che paghiamo è dovuto all’incapacità della politica di capire e intervenire sulle grandi contraddizioni di un Paese che vede giorno, dopo giorno frustrate le energie migliori di cui siamo pur ricchi. Soltanto a giugno, con i risultati delle amministrative e dei referendum, si era accesa una speranza che quelle energie venissero usate per avviare una fase diversa dell’agire politico. La destra negò il valore politico di quei voti, il centrosinistra dopo l’euforia iniziale è tornato a guardare al proprio ombelico.
In onestà bisogna osservare che l’emergenza finanziaria è stata un macigno difficile da gestire per il PD e per le altre forze di opposizione. L’esigenza di far presto nei provvedimenti a contrasto della crisi del debito pubblico ha completamente svuotato il ruolo dell’opposizione parlamentare. Essa ha dovuto, per senso di responsabilità , rinunciare a tutti gli strumenti che la democrazia affida alle opposizioni. Ha mostrato una solida faccia di bronzo il Capo quando si è permesso di accusare, nella sua gita a Bruxelles, il centro-sinistra di aver favorito l’attacco speculativo. Non c’è grande giornale al mondo che non ripete quotidianamente che il problema dei problemi per l’Italia è l’assoluta inaffidabilità del governo della destra e del suo leader. C’è un problema democratico serio quando il ruolo dell’opposizione non può svolgersi nonostante che il governo dimostri profonda incapacità ad affrontare la crisi.
Difficile pensare che si possa andare avanti così. Le condizioni di vita della gente comune si aggraveranno a seguito dei provvedimenti votati dai nominati in Parlamento senza che ciò serva ad invertire la tendenza al degrado del debito pubblico. Ciò che sta succedendo in Grecia è la dimostrazione evidente che tagliare e impoverire i cittadini non aiuta a far uscire dall’inferno del debito pubblico.
Senza crescita i sacrifici di oggi non serviranno a nulla, sostengono le forze sociali sindacali e imprenditoriali. Ma come si immagina una qualsiasi crescita se gli investimenti pubblici sono praticamente inesistenti? Come si ritiene che le piccole imprese possano sopravvivere se la struttura pubblica paga i suoi fornitori a babbo morto? Come si pensa di crescere se continua a non esistere alcuna significativa domanda pubblica per servizi innovativi? Quando si discute in Regione o nelle amministrazioni comunali di semplificazione e di innovazione sarebbe utile uno sforzo di conoscenza di quello che esiste già nel territorio nel terziario avanzato e trovare gli strumenti e le risorse per valorizzare quelle forze produttive che hanno già scommesso nell’innovazione dei processi e dei prodotti. Non è un caso che anche piccole imprese umbre sono riuscite ad affermarsi in tante aree del mondo attraverso produzioni innovative. Da questo punto di vista abbiamo una lunga tradizione di marchi umbri che si affermano in mercati molto lontani dall’Italia.
Rompere incrostazioni e stupida burocrazia è un’esigenza ormai vitale. Molto si è fatto, dicono. Ma moltissimo resta da fare per riformare una struttura pubblica che è oggettivamente sovradimensionata e troppo spesso burocratizzata per eccesso di normative. Non è responsabilità dei dipendenti pubblici. In genere hanno un rapporto positivo con i cittadini. L’obbligo delle riforme della struttura pubblica è delle classi dirigenti politiche, ma non solo di esse. C’è una responsabilità collettiva nel lavoro per ridare alla politica il ruolo che essa deve avere.
Se è ingiusto dover andare con il cappello in mano dal potente di turno è sbagliata anche la ricerca dei santi in paradiso che ancora troppi hanno in testa. Certo che non sempre i rapporti con gli amministratori è facile. Alcuni sostengono che ci sono amministratori così impegnati che per avere un semplice banale appuntamento può richiedere tempi biblici. Alcuni, per principio, non ricevono nessuno se non gli stretti conoscenti. Anche ai Priori della vecchia civiltà medievale del Comune di Perugia era difficile accedere, ma forse nella democrazia moderna ottenere il consenso richiede una maggiore capacità d’ascolto. Con i tempi che corrono sembrerebbe che l’arroganza del potente comincia a non essere per nulla apprezzata.
Francesco Mandarini
da Francesco Mandarini | Set 14, 2011
Un’estate passata a contare i “venerdì neri” della borsa non è stata una bella estate.
Eppure la stagione era iniziata bene: Tremonti, Bossi e Berlusconi ci avevano assicurato che i conti pubblici italiani erano sotto controllo e che i fondamentali della nostra economia erano solidissimi. Avevamo qualche problemino del tipo occupazione giovanile e femminile e l’assoluta mancanza di sostegno alle famiglie stava provocando un impoverimento diffuso in tutto il Paese, ma per i nostri governanti non c’era bisogno di grandi interventi per affrontare la crisi. In poche settimane tutto è cambiato: il debito pubblico italiano è entrato nel mirino del mercato finanziario così che i BPT italiani devono sostenere un onere per interessi di oltre tre punti e mezzo superiore ai titoli di stato della Germania. Un gravame assolutamente insostenibile che ha richiesto la stesura di quattro, diconsi quattro manovre. L’ultima è il risultato della pressione della Banca Centrale Europea e degli stimoli di Draghi e Napolitano. Alla fine anche Berlusconi e Bossi hanno capito che la crisi era di tale ampiezza da richiedere interventi straordinari. Le comiche agostane saranno ricordate negli annali del berlusconismo come straordinaria espressione di improvvisazione e incompetenza al potere. Si è passati dal cuore sanguinante di Berlusconi, al sangue e champagne del meeting di Arcore, per arrivare ad una manovra di 54 miliardi di tagli al già fragile welfare e di nuove tasse. La pressione fiscale, per chi paga le tasse, arriverà al 45 per cento, sostiene la Marcegaglia.
Si tratta di una manovra pesante in cui c’è di tutto e di più. Ma con tutta la buona volontà possibile è risultato introvabile lo stanziamento di un solo Euro dedicato alla crescita della nostra economia.
La situazione è così grave che persino la Confindustria si è sentita obbligata a dire al Governo che se non è in grado di gestire la crisi deve farsi da parte. Nella sua storia la Confindustria è stata sempre filogovernativa. Per arrivare a richiedere un esecutivo diverso se il governo Berlusconi, Bossi e Scilipoti non cambia passo, la situazione è certo allarmante. L’eroico Bonanni si è reso conto che il suo amico ministro Sacconi ha fatto il furbo imponendo nel decreto un dispositivo che distrugge l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori e rende possibile che una contrattazione aziendale, prescinda da leggi e contratti. Non bastano le oltre quaranta tipologie contrattuali presenti in Italia, non basta la precarietà attuale, bisogna andare oltre nello svilimento del lavoro.
Nonostante l’allarme generale, Berlusconi ha deciso di parlare ogni quindici giorni. Non è andato al Senato per approvare il decreto di cui parliamo, ma ha ripreso la parola all’incontro dei giovani del PDL. Un discorso, quello del Capo, che ha spaziato in tutti i campi e ci ha rinfrescato la memoria sulla storia recente. Sapete chi è stato a far esplodere il debito pubblico italiano? Eravate convinti che i responsabili fossero stati i governi di pentapartito diretti da Andreotti e Craxi? Vi sbagliavate: il debito pubblico è esploso con il compromesso storico. E’ Berlinguer il vero responsabile. Il PCI non ha avuto mai ministri, a parte quelli dei governi dal 1946 al 1947, ma è per responsabilità dei comunisti che oggi Berlusconi è obbligato a far miracoli per salvare l’Italia dalla bancarotta. Che il PCI si sia dissolto da due decenni, è una quisquilia. C’è poco da ridere. Ai plaudenti giovani del meeting il racconto berlusconiano è piaciuto moltissimo. L’avanspettacolo è un format apprezzato anche dalle nuove generazioni.
Difficile capire dove si andrà a finire. La tenuta sociale di un Paese è cosa delicata che si può frantumare all’improvviso se il futuro appare come un buco nero. Ci vorrebbe una classe dirigente capace di ridare qualche speranza ai milioni di uomini e donne che giorno dopo giorno vedono peggiorare la situazione loro e principalmente quella dei propri figli.
Il centrosinistra non è riuscito ad imporre al Paese una discussione sulle idee alternative a quelle del governo. Impossibile farlo in Parlamento per il ricorso sistematico al voto di fiducia imposto dalla destra. Forse sarebbe stato possibile farlo in un rapporto più intenso con i cittadini e con le forze produttive più consapevoli.
E’ senso comune il fatto che la crisi sarà pagata dai ceti meno abbienti e dalle giovani donne e uomini a cui è negata ogni prospettiva positiva.
Le grandi ricchezze non saranno sfiorate dalla manovra. Rimane incomprensibile il fatto che non ci sia stata una campagna di massa del centrosinistra sull’esigenza di una patrimoniale che assicurasse le risorse per una politica di sviluppo. Eppure una discussione c’è anche in una parte della grande borghesia.
In Francia, negli Stati Uniti e anche in Italia una minoranza di benestanti sostiene la giustezza di una tassazione che, per l’emergenza, colpisca anche i grandi patrimoni. Perchè non si è riusciti ad imporre un confronto su questo semplice tema?
Non conosco la risposta. Sembra che nel PD continui a prevalere la malattia infantile del riformismo: la leaderite acuta.
Parlando con un vecchio compagno ci è venuto spontaneo riflettere che se il nuovo che avanza nel centrosinistra è rappresentato dal Renzi type, ci spetterà di subire ancora per molti anni gli “inossidabili” dei decenni passati. Che senso ha in una situazione così drammatica impegnare energie e discussioni su chi dovrà essere il leader della coalizione che si contrapporrà ai berluscones? Personalmente sono assolutamente certo che il PD ha bisogno di un profondo processo di rinnovamento ma non credo affatto che il meccanismo dei levati tu che mi ci metto io, sia il metodo migliore. Il rinnovamento non può che partire dalle idee, dall’anima che il PD non è riuscito ancora a costruire. Non si è ancora capito il disastro prodotto nella democrazia italiana dai partiti “personali” e dalla leaderite? Possibile che nonostante le ripetute sconfitte non si riesce a trovare la strada per far uscire gli uomini e le donne del centrosinistra dai meccanismi della casta?
da Francesco Mandarini | Ago 29, 2011
Ma il Filippo Penati di cui si parla tanto,
colpevole di concussione secondo la Procura
e «solo» di corruzione secondo il
Gip, è lo stesso Filippo Penati che andava
distribuendo lezioncine di legalità a
destra e a sinistra (soprattutto a sinistra)?
àˆ per caso lo stesso Filippo Penati
che diceva amenità tipo «Milano non è
la capitale del Burundi,ma ci sono troppi
rom e clandestini»? Si tratta della stessa
persona? Il Filippo Penati di cui oggi il
Pd discute animatamente se debba dimettersi
da tutte le cariche, fare un passo
indietro, rinunciare alla prescrizione in
modo da essere da esempio per la diversità
della sinistra di fronte alla questione
morale, è per caso lo stesso Filippo Penati
che un tempo faceva il presidente della
Provincia di Milano e ““ primo gonzo in
tutta Italia ““ sganciava 250.000 euro ai
comuni che volevano organizzare le ronde?
Il famoso sceriffo della sinistra che sapeva
illuminare le plebi oppresse con frasi
come «Basta parlare di accoglienza, i
rom non sono mica i Gipsy Kings?». Come
mai il Pd vuole liberarsi di lui adesso
che l’hanno beccato, mentre prima ““
quando sembrava un Calderoli qualunque
““ lo faceva crescere nelle gerarchie e
nelle cariche del partito? Persino Pierferdinando
Casini disse (aprile 2009): «Penati mi
fa venire il latte alle ginocchia se
segue la Lega sul terreno delle ronde».
Erano i tempi del decreto sicurezza, dei
sindaci sceriffi. Erano i tempi del «Non si
può lasciare la sicurezza alla destra!».
Tempi in cui il Pd ““ oggi tanto impegnato
a sembrare «diverso» ““ si sbracciava
tanto per essere «uguale». Passati appena
un paio d’anni, Penati non va in carcere
perchè la prescrizione per i reati di
corruzione è stata dimezzata. Una specie
di nemesi storica: law & order non tirano
più, a far paura non sono i Rom ma la
Borsa, non gli stranieri ma i banchieri,
non il Burundi, ma la crisi. La stella degli
sceriffi era di latta, la paura percepita
era una truffa e la sinistra che si travestiva
da destra una farsa orribile e vergognosa.
àˆ sempre antipatico dire: «Io l’avevo
detto», e allora non lo dirò. Dopotutto,
Penati non è mica i Gipsy Kings!
Antonio Rebecchi
manifesto del 28 agosto
da Francesco Mandarini | Lug 17, 2011
Dalla Padania all’isola di Lampedusa un solo grido di giubilo si è levato dal popolo: Lui resta. Resta a fare il Capo fino a quando non riuscirà ad abbassare le tasse agli italiani. Lui ha la squadra dei nominati/acquisiti in Parlamento e andrà avanti per salvare l’Italia dai comunisti.
Esattamente come diciassette anni or sono e dopo che il Cavaliere è stato al governo per otto anni degli ultimi dieci, siamo ancora alla promessa berlusconiana dell’abbassamento delle tasse.
Per intanto il Suo governo approva una manovra finanziaria che in tre anni farà alzare la pressione fiscale in maniera ancor più radicale di quanto abbiano già fatto i governi della destra in questi anni. Sia chiaro l’aumento non riguarderà tutti: coloro che non hanno pagato mai le tasse o lo hanno fatto in modo parziale, continueranno o a evadere o a eludere sistematicamente.
Non un Euro in più pagheranno i precettori di rendite finanziarie o il ceto politico. Le grandi ricchezze non saranno nemmeno sfiorate dalla manovra lacrime e sangue del governo della destra berlusconiana.
L’evento parlamentare di venerdì? Si è trattato di un Family Day all’incontrario.
Saranno, infatti, le famiglie a sostenere l’intera manovra necessitata dal risanamento dei conti pubblici. Chissà se le gerarchie cattoliche prenderanno coscienza del disastro, per le famiglie e il Paese, prodotto dalle scelte dei cattolicissimi berluscones? Mentre la Camera dei Deputati approvava la manovra, l’Istat pubblicava una nota: “La povertà in Italia”. Agghiacciante. Sono oltre otto milioni gli individui in condizioni di povertà relativa. Sono oltre un milione le famiglie in condizione di povertà assoluta. Marco Revelli scrive sul “Manifesto” di sabato: “Soprattutto però i dati Istat confermano la persistenza, anzi l’aggravamento, di tutte le caratteristiche
che sono state indicate come tipiche del “modello di povertà ” italiano. Un modello patologico, senza confronti in Europa.
Esse sono tre. In primo luogo lo squilibrio nord-sud, con un differenziale territoriale che per la povertà relativa raggiunge le 5 volte: il 67% della povertà italiana continua a concentrarsi
nel Mezzogiorno, nonostante vi risieda appena il 31% della popolazione. In secondo luogo l’altissima incidenza della povertà tra le famiglie numerose, in particolare quelle con figli
minori a carico, che fa dell’Italia la maglia nera in Europa per quanto riguarda la più scandalosa delle povertà , quella dei minori, che qui raggiunge la percentuale record del 25% (secondo l’agenzia statistica europea Eurostat). Infine l’alto livello di povertà , sia relativa che assoluta, tra i lavoratori. La presenza,
imbarazzante, dei working poor, dei “poveri al lavoro”. O, se si preferisce, di coloro che sono poveri sebbene lavorino (più del 6% sono in condizione di povertà assoluta!). Ebbene, tutti e tre questi aspetti risultano ““ in alcuni casi drammaticamente ““ peggiorati nell’ultimo anno. àˆ sconvolgente che la povertà
relativa sia aumentata, in un solo anno, tra le famiglie numerose, di ben 5 punti percentuali (dal 24,9% al 29,9%). E che nel Meridione, tra le famiglie con tre e più figli minori, il balzo
sia stato addirittura di 11 punti (dal 36,7% al47,3%). Significa che lì, un minore su due vive in una famiglia povera.
Purtroppo la manovra approvata aggraverà questa situazione già di per se allarmante.
Anche il sorridente Bersani si è accorto che quella approvata venerdì scorso è una manovra classista che scarica sui ceti medi e sui più poveri l’onere del risanamento dei conti pubblici. Forse anche nel PD comincia ad emergere una velata critica all’ideologia liberista dominante a Roma e a Bruxelles? Che di fronte al rischio dovuto all’ondata speculativa fosse necessario uno scatto del Parlamento nel decidere l’intervento, è sembrata cosa saggia. Che il risultato prodotto sarà quello di bloccare la speculazione non è affatto scontato. Uno dei problemi del Paese è certo il debito pubblico, ma fondamentale rimane il fatto che sono ormai dieci anni di epopea berlusconiana in cui l’Italia non è cresciuta nella sua economia. Senza crescita i problemi del debito non potranno che aggravarsi. Colpendo così radicalmente le condizioni economiche del ceto medio e dei meno abbienti come sarà possibile invertire la tendenza alla recessione? Quale incidenza potranno avere i consumi di quel 10 per cento di straricchi che possiede quasi il 50% della ricchezza nazionale? Quante Suv o panfili o ville al mare e in montagna potranno acquistare i ricconi per aiutare la ripresa del Paese? L’egoismo proprietario è uno dei motori del declino italiano.
Se all’aumento della pressione fiscale per lavoratori e pensionati si aggiunge la destrutturazione di quel poco di welfare che c’era in Italia, non ci resta che piangere e indignarsi e protestare contro una classe dirigente irresponsabile.
Il federalismo? La Lega se lo scordi. Con i tagli previsti da oggi al 2014 per tutto il sistema delle autonomie locali e delle regioni, parlare di federalismo fiscale è come tentare di vendere frigoriferi al polo nord. Comuni e Regioni non avranno le risorse per assicurare servizi essenziali al cittadino se non aumentando in maniera radicale tariffe e imposte. Chi potrà pagare le rette dei pochi asilo nido o delle esigue strutture di supporto agli anziani? Chi avrà i mezzi per aiutare l’indigente?
La manovra ha come conseguenza istituzionale un’ondata di centralismo che svuota completamente ogni possibilità di autogoverno cittadino o regionale.
Per l’Umbria l’autogoverno è stato sempre un obbiettivo, una bandiera delle classi dirigenti politiche e sociali.
La nostra comunità ha cominciato ad uscire dal sottosviluppo quando si sono conquistati spazzi per governare le collettività locali attraverso processi di partecipazione diffusa in un disegno regionalista. Al di là dei giudizi sul ceto politico, recuperare uno spazio di salvaguardia dell’autonomia locale è compito che riguarda l’intera classe dirigente dell’Umbria. Se c’è batta un colpo.
da Francesco Mandarini | Lug 10, 2011
Basta seguire una qualsiasi trasmissione televisiva di approfondimento per capire che il mondo della politica è un mondo a parte che ha perduto qualsiasi capacità di ascoltare e capire quello che la gente comune pensa e vuole e quali siano le priorità di un Paese tramortito da una crisi che sembra non finire mai. Chi si era illuso che il ceto politico avesse capito il chiaro messaggio dei referendum e delle amministrative recenti, è servito: continuano a parlare ed insultarsi tra loro senza affrontare le contraddizioni di un mondo violentato dalle guerre e dalla speculazione finanziaria.
Ormai non passa giorno che non vede la richiesta di una procura di arresto di un parlamentare accusato di reati gravissimi.
Il ministro Tremonti, dopo aver dato del cretino a Brunetta, scopre che l’appartamento, dove usualmente abita a Roma, ha un canone mensile di 8500 Euro ed è pagato da un suo strettissimo collaboratore accusato di corruzione. Un altro ministro, Romano, sarà rinviato a giudizio perchè accusato di rapporti con la mafia. Dopo aver sistemato i mille evasori delle quote latte, Bossi conferma l’indissolubilità del suo rapporto con Berlusconi. Mercoledì minaccia catastrofi e il giovedì va a Palazzo Grazioli a prendere il tè con il Capo per confermare la fedeltà dei padani. Il Venerdì torna in Padania e ricomincia a denunciare “Roma Ladrona”. Siamo ad un’ondata giornaliera di gag che purtroppo non hanno la qualità di quelle tra Gianni e Pinotto o di Tognazzi e Vianello. Non c’è niente da ridere, il disprezzo e l’indignazione non sono esclusività dei “comunisti”, riguarda uomini e donne di ogni ceto e di ogni latitudine. Sono settimane che nella civilissima Parma, donne uomini, vecchi e giovani, scendono in piazza per chiedere le dimissioni di un’amministrazione comunale macchiata da scandali e ruberie. Non sono i centri sociali, ma l’intero popolo che non accetta più di essere governata nell’illegalità . Quanto ci è costata in termini finanziari e di credibilità nei mercati esteri questa settimana di ulteriori scandali e di insulti feroci tra i nostri governanti?
Che il debito pubblico italiano ha raggiunto dimensioni tali da richiedere grande rigore, è cosa da non discutere. Che il rigore deve essere garantito soltanto attraverso una sorta di patrimoniale atipica sui ceti meno abbienti, richiede qualche riflessione.
La storia economica insegna che l’impoverimento dei ceti medi comporta sempre la recessione di un Paese. Basta pensare al passato recente dell’Argentina o all’attuale situazione degli Stati Uniti d’America per capire che quando il potere di acquisto e di risparmio si abbassano per la maggior parte del popolo, la crisi si avvita verso la depressione. Le entrate dello Stato diminuiscono e il debito non si abbassa. Colpisce che la presidente degli industriali richieda un generico abbassamento della spesa pubblica. Perchè un conto sono gli sprechi da tagliare assieme alla burocrazia, un altro conto sono gli investimenti pubblici necessari a rendere l’Italia un Paese più moderno. Il tracollo degli appalti pubblici ad ogni livello non è una delle cause più serie della crisi? Senza domanda pubblica per servizi a infrastrutture con cosa pensa di rilanciare il sistema produttivo la Signora Marcegaglia?
Non è dato sapere con certezza le dimensioni della manovra che il governo Berlusconi si appresta a far approvare con voto di fiducia prima delle ferie parlamentari. I giornali di giovedì non davano informazioni univoche sulle dimensioni, ma tutti con nettezza individuavano coloro che sopporteranno il peso maggiore dei tagli.
Qualcuno ha definito la manovra tremontiana come una sorta di lotta di classe alla rovescia. Cioè saranno i più poveri a sostenere i maggiori carichi. Piccoli risparmiatori tassati pesantemente o dipendenti pubblici che non avranno aumenti stipendiali per i prossimi anni o pensionati che vedranno ulteriormente impoverite le loro pensioni. Praticamente ogni detrazione Irpef sarà abrogata così la pressione fiscale aumenterà per tutti coloro che le tasse le pagano. Tutti vivremo in uno Stato dove i servizi al cittadino saranno decisamente dimensionati al ribasso. Si allargherà ulteriormente la forbice tra noi e il resto d’Europa per tutto ciò che riguarda le politiche per la famiglia, per l’assistenza in generale. Il supporto al lavoro giovanile o gli investimenti per la scuola e l’università rimarranno pii desideri. Siamo ben ultimi nel continente già oggi, staremo peggio dopo la cura del governo della destra.
Berlusconi ha detto che il welfare italiano è arcaico e che bisogna cambiarlo alla radice. Il cambiamento significherà , con i tagli previsti, che Regioni e autonomie locali non saranno più in grado di assicurare una sanità efficace o trasporti locali adeguati nè prestazioni nelle politiche di assistenza. Non ci sarà un Euro per uno straccio di politica per favorire l’occupazione dei giovani e delle donne.
Parlando con qualche amministratore locale ho avvertito una sorta di smarrimento per un futuro che si presenta difficile. E la difficoltà è enfatizzata anche dalla coscienza che anche in Umbria il rapporto tra la politica e il popolo va malissimo. Non è un problema di scandali ma principalmente questione legata al modo di essere di un ceto politico chiuso nei suoi riti. Un dirigente di rilievo del PD mi ha detto smarrito: “Ma lo sai che ormai le correnti interne, che non si possono chiamare così perchè non è glamour, sono almeno otto? Come è possibile che un Sindaco, Fassino, appena eletto, con tutti i problemi della TAV venga in Umbria ad un’incontro di ventisei, diconsi ventisei appartenenti alla sua corrente?”.
Capisco lo smarrimento, capisco meno che dopo il voto di giugno i soliti noti abbiano ripreso a duellare come se niente fosse successo. Lotta senza tregua per ogni ipotesi di legge elettorale proporzionale o conferma del sistema maggioritario. Considerando il buon risultato di questi venti anni di leggi elettorali maggioritarie, meglio confermare il sogno rutelliano di eleggere un giorno il Sindaco d’Italia. Tanti affettuosi auguri ai fratelli coltelli di cui è colmo il riformismo italiano.