da Francesco Mandarini | Feb 17, 2010
La corsa per il posto in lista è cominciata da tempo e la forza del candidato, per adesso, si misura attraverso il numero e la grandezza dei manifesti già affissi. Non si conoscono i criteri per la scelta dei candidati ma sembra prevalere il criterio di rappresentanza territoriale a conferma che non saremo chiamati ad eleggere consiglieri che rappresentano tutta la regione, ma singoli feudi, con il dato vassallo. In presenza di partiti privi di gruppi dirigenti riconosciuti a livello regionale, in carenza di una visione d’insieme dei problemi dell’Umbria, diviene obbligatoria la frantumazione della rappresentanza. Il PD esce da una tornata politica che se possibile ha enfatizzato le divisioni anche tra le diverse aree della regione. E’ auspicabile che ciò che ha detto la vincitrice, Catiuscia Marini e lo sconfitto, Giampiero Bocci divenga realtà e che il maggior partito del centrosinistra riesca ad andare oltre le divisioni di questi mesi. Le ultime primarie non hanno raggiunto il numero di votanti di quelle di ottobre a segnalare una difficoltà , un disagio tra gli elettori del PD. E’ però irriguardoso e politicamente sbagliato definire la partecipazione al voto come irrilevante e senza un forte significato politico. Si decidono strategie e scelte politiche sulla base di sondaggi e si considera marginale il voto di 55000 umbri? Sciocchezze. (altro…)
da Francesco Mandarini | Feb 11, 2010
Siamo all’inizio di febbraio ma le mura delle città sono già contrassegnate dai manifesti sei x tre dei candidati alle lezioni regionali che si svolgeranno alla fine di marzo. Slogan appropriati dovrebbero indurre l’elettore a scegliere pinco pallino e non sempronio quale membro dell’assemblea regionale. Dalla sloganistica che leggiamo nei poster veniamo rassicurati che i problemi che tormentano la nostra società saranno messi a soluzione scegliendo il giusto candidato. Non sono un esperto, ma l’investimento per ottenere il seggio dovrebbe essere significativo e mi domando il perchè di tanta passione per entrare in un consiglio regionale? Penso che l’amore per la politica potrebbe trovare anche altri luoghi per esprimersi, perchè quindi questa costosa corsa all’elezione? Un giudizio sulle competenze degli attuali consigli regionali? Un intellettuale non sospetto di estremismo come Ernesto Galli della Loggia ha scritto un editoriale sul Corriere della Sera che valuta pari allo zero l’utilità delle assemblee regionali. Scrive Galli della Loggia: “Perchè i consigli regionali sono assolutamente inutili? Per la stessa ragione per cui sono inutili i consigli comunali e provinciali. Perchè l’elezione diretta del capo dell’esecutivo, la quale, si noti, avviene in perfetta coincidenza cronologia con l’elezione del consiglio, grazie al meccanismo del cosi detto listino o altro analogo di fatto produce costante coincidenza di colore politico tra esecutivo stesso e maggioranza dell’assemblea.” Esagera il professore? Credo proprio di no. La questione del ruolo delle assemblee elettive è cosa molto seria. Ne va della qualità di una democrazia. Riguarda anche il Parlamento della Repubblica. Tutti i politologi seri sostengono che il potere legislativo e quello di controllo dell’attività dell’esecutivo, sono stati azzerati attraverso il meccanismo della decretazione d’urgenza seguita alla bisogna dal voto di fiducia. Essendo i parlamentari nominati e non eletti è difficile garantire qualsiasi autonomia: tutti tengono famiglia e non soddisfare le volontà del Capo non rientra nelle probabilità . Il rischio di considerare il parlamento un costoso ente inutile è nelle cose. Se la massima istituzione della democrazia è messa male che dire dell’assemblea regionale? Con l’elezione diretta del presidente della regione imposta dal centrosinistra il ruolo del consiglio si è praticamente annullato. A memoria non ricordo un voto consigliare in conflitto con la volontà presidenziale. E si capisce perchè. Il presidenzialismo all’italiana prevede che l’elezione del presidente coincida con l’elezione dell’assemblea regionale e, conseguentemente, non esiste alcuna autonomia legislativa del consiglio. Un consigliere può decidere di dimettersi senza che questo infici l’efficacia dell’assemblea. Si sostituisce. Se il presidente della regione se ne va con esso se ne va a casa anche l’assemblea. Sarebbe come se il presidente degli Stati Uniti avesse il potere di sciogliere il Senato o la Camera dei rappresentanti. In nome della governabilità si è partorito un mostro istituzionale che ha reso inutile il lavoro di tutte le assemblee e la loro rappresentatività debole e illeggibile. L’ideologia della filosofia di un uomo solo al comando ha impoverito la democrazia repubblicana senza ottenere nè maggior efficacia nell’azione pubblica nè maggior trasparenza. (altro…)
da Francesco Mandarini | Feb 2, 2010
Nel passato quando si voleva eleggere in Parlamento un leader prestigioso senza timore di sorprese, a Roma si pensava ad un collegio elettorale dell’Umbria. Per decenni abbiamo, con soddisfazione eletto Pietro Ingrao, poi liquefatto il PCI, a sinistra ci è toccato votare per sconosciuti che non avevano alcun rapporto con la nostra terra e che, una volta eletti, scomparivano per sempre nel nulla. La forza della sinistra prima e del centrosinistra poi, era tale da non riservare sorprese negli eletti. Ottenere la candidatura in Umbria significava la certezza di entrare in parlamento o in consiglio regionale. Le cose sono a poco a poco cambiate. L’Umbria non più rossa, nemmeno rosa pallido, rischia di diventare nerazzurra per responsabilità del ceto politico imperante da decenni in tutto il centrosinistra. La leaderite acuta la patologia che ha portato all’abbandono di qualsiasi progetto collettivo a vantaggio delle carriere dei singoli. L’io che ha annichilito il noi.
Leggi elettorali irriguardose di ogni parvenza democratica assegnano alle oligarchie romane il potere di nominare i parlamentari e il presidenzialismo all’italiana prevede leggi elettorali con sbarramenti e listini che espropriano la volontà popolare. Gli oligarchi locali non vogliono correre rischi, così, in consiglio regionale, ci saranno sei consiglieri, il 20% per capirci, che nessuno ha votato. Saranno nominati. Chi saranno i fortunati? Non si accettano scommesse. Troppo facile prevedere che la ristretta elite del partito sarà ben rappresentata. Congratulazioni agli estensori della legge elettorale e ai futuri nominati. (altro…)
da Francesco Mandarini | Gen 13, 2010
Molta confusione sotto il cielo e quindi la situazione è eccellente, usava dire Mao Tse-Tung.
Il Grande Timoniere non poteva prevedere l’Italia degli anni 2000 altrimenti avrebbe trasformato lo slogan.
Nel bel paese la confusione è grande, ma la situazione non è affatto eccellente. Non lo è innanzitutto perchè la crisi del sistema politico si trascina da così tanti anni da aver provocato lo scollamento tra le priorità della classe dirigente politica e quelle della società che dovrebbe governare. Cosa grave in sè, ma che diventa drammatica in presenza di una crisi economica che sta ridimensionando profondamente la qualità della vita di milioni di persone. Nei palazzi del potere si parla d’altro, sembrano essere altre le priorità della classe dirigente. Riformare, riformar bisogna. Cosa riformare non è proprio chiaro.
Riforme e riformismo sono le parole magiche usate da quasi tutti i dirigenti politici. Sono tutti riformisti e quindi tutti vogliono riformare. Mentre è chiarissimo ciò che vogliono i riformisti in Iran, per capire ciò che vogliono i riformisti in Italia si fa molta più fatica. Ad esempio, una parte della destra berlusconiana vuole modificare gli equilibri tra i poteri costituzionali per costruire una repubblica presidenziale.
Uno schema semplice in cui potere legislativo e potere giudiziario siano subalterni ai voleri del presidente eletto dal popolo. Una situazione inesistente nelle democrazie occidentali che ricorda piuttosto le repubbliche sudamericane del lontano passato, ma la cosa non sembra preoccupare. Nonostante che, soltanto tre anni fa, il popolo abbia respinto nettamente in un referendum le modifiche costituzionali proposte dal governo Berlusconi dell’epoca, la destra insiste. Tutto il potere al premier, senza pesi ne contrappesi. Questo vuole una parte consistente della destra. Il debordante Ministro Brunetta va oltre: bisogna metter mano anche sulla prima parte della Costituzione non soltanto sulla seconda. Un vero riformista l’ex socialista. I berluscones hanno idee precise. E il centrosinistra cosa vuole riformare? Come su tante cose il Pd non ha le idee chiarissime. Anche se rimane difficile immaginare un accordo con questa destra sullo schema istituzionale suddetto, quindici anni di legislazione creativa del centro sinistra sulle questioni istituzionali, non tranquillizza. I disastri prodotti nel funzionamento della democrazia italiana dall’assillo della governabilità sono innumerevoli. Il presidenzialismo rampante non è figlio soltanto di Berlusconi. Il cesarismo ha avuto molti padri e molte madri.
La confusione regna alla grande sia nel centrodestra che nel centrosinistra nella preparazione delle candidature per le prossime elezioni regionali. Sta messo peggio il centrosinistra anche perchè non essendoci un padre-padrone come Berlusconi che alla fine decide tutto lui, è difficile mettere insieme le diverse anime della coalizione. Come succede spesso la presidente del partito, Rosy Bindi è la dirigente che parla e si fa capire. Rispetto ai metodi di scelta dei candidati a presidente e sul rapporto con Casini la presidente, in un intervista alla Stampa, sostiene: Tra noi c’è stato un dibattito su come scegliere il segretario del partito, se con le primarie oppure no: ma non ci sono mai stati dubbi sul fatto che avremmo fatto elezioni primarie – e primarie di coalizione – per scegliere i nostri candidati alle cariche monocratiche. Questi sono due punti fermi del congresso. E io penso che la capacità di Bersani e del gruppo dirigente, cioè di tutti noi, debba essere appunto quella di tenere insieme queste due scelte”¦. Non c’è altra strada. Casini è alleato fondamentale in questa fase, ma noi non possiamo permetterci di rompere con tutta la sinistra. E credo che nemmeno all’Udc convenga allearsi con noi per perdere.
Come si fa a non essere d’accordo? Che lavorare all’allargamento del centrosinistra sia necessario per battere la destra è cosa giusta. Quello che ritengo una sciocchezza è ampliare a Casini e perdere quello che rimane della sinistra. Anche dal punto di vista dei voti prendere il 5% dell’UDC, se si prende, e perdere il 6/7% di quello che rimane della sinistra, non sembrerebbe un gran risultato. Credo che quello che è successo in Puglia sia un paradosso frutto della cattiva politica. Un presidente, Vendola, apprezzato da molti per il suo lavoro di amministratore e stimato come dirigente politico non settario e non anchilosato dalla tradizione non può essere cestinato per lasciare l’incarico allo stesso personaggio che ha battuto in elezioni primarie cinque anni fa. Sarebbe una stravaganza frutto del manovrismo di qualche scienziato della politica, una scelta che porterebbe ad una sonora sconfitta nelle Puglie. La Bindi ha ragione, meglio le primarie anche se Casini non vuole. Personalmente non amo particolarmente il meccanismo delle primarie. Forse perchè lo considero uno strumento che enfatizza la personalizzazione della politica o semplicemente perchè preferisco altri metodi di selezione delle classi dirigenti, non sono un tifoso dei plebisciti. Ma in vigenza di uno statuto liberamente scelto dal PD e di fronte ad una divisione verticale degli organismi dirigenti nella scelta dei candidati, la strada maestra è quella indicata dalla presidente Rosy Bindi. E’ noto, siamo un Paese in cui le regole, le norme, non vengono sempre rispettate con grave danno per tutti. Il PD per molti ha rappresentato una speranza di rinnovamento della politica e una possibile risposta alla crisi della sinistra. Difficile immaginare d’altra parte una coalizione capace di sconfiggere il berlusconismo senza un partito democratico forte e capace di aggregare soggetti politici diversi. La sinistra non può non essere uno di questi.
Bersani ha molti problemi da risolvere. Il primo di questi è come costruire gruppi dirigenti capaci di legarsi alla realtà senza aver troppo l’assillo della carriera politica. Compito non facile dopo anni e anni di privatizzazione della politica ci vuole molta determinazione a rompere incrostazioni e pessime abitudini. Tanti sinceri auguri al segretario.
da Francesco Mandarini | Dic 22, 2009
Massimo D’Alema ha fatto una dichiarazione. Questa: «C’è sempre stato qualcuno più a sinistra, dall’articolo 7 (quello sui Patti lateranensi tra stato e chiesa ndr) in giù che è stato il primo grande inciucio.. Quegli inciuci sono stati molto importanti per costruire la convivenza in Italia.Oggi è più complicato, invece sarebbero utili anche adesso invece questa cultura azionista non ha mai fatto bene al Paese”. Il leader democratico si riferisce alla discussione aperta tra i partiti, dopo l’aggressione subita da Berlusconi a Milano per mano di un instabile di mente.
Stemperare i toni, dicono a destra e a sinistra, il PDL offre un patto costituente a tutti coloro che non alimentano la campagna d’odio verso il Capo. La definizione inciucio è più consona a trattative d’affari loschi che al confronto tra tesi politiche. Per questo è da detestare ma al di là di questo, il richiamo storico dell’ex presidente della Bicamerale della metà degli anni ’90, ci sembra imbarazzante per la natura diversa dei protagonisti e per l’oggetto del possibile compromesso.
I protagonisti dell’accordo sull’art.7 furono la DC di De Gasperi e La Pira e il PCI di Togliatti e Terracini, contrario tra gli altri fu il PSI di Nenni e Basso.
Il patto costituzionale dovrebbe essere siglato con Gasparri, Quagliarello, Cicchitto con portavoce Capezzone? L’oggetto, non il tentativo di risolvere la questione della convivenza religiosa, ma modifiche alla Carta Costituzionale che costituzionalizzino l’anomalia del berlusconismo? (altro…)