PUGNO DI FERRO IN GUANTO DI VELLUTO

Il Ministro Siniscalco è persona cortese che non usa, come il
Dottor Tremonti, la clava per imporre le sue convinzioni
economiche. E le buone maniere sembrano tornate di moda dopo che
Berlusconi ha smesso di insultare i suoi avversari politici. Le
buone maniere non risolvono però la sostanza dei problemi.
Nel caso della finanziaria votata dal governo per il 2005, la
realtà  è questa: si tratta di un provvedimento che inciderà 
pesantemente sulle condizioni di vita di gran parte del popolo
italiano. I sacrifici non serviranno affatto a rilanciare
l’economia italiana.
E’ vero che Berlusconi continua a promettere di tagliare le tasse,
ma per intanto chi pagherà  per i tagli alla spesa pubblica
contenuti nel provvedimento? Da dove arriveranno i 7 miliardi di
Euro di maggiori entrate? Non saranno forse i ceti medi e la
povera gente quelli colpiti ancora una volta dalle scelte del
governo? Dire il contrario è mistificare.
L’operazione è semplice: si è spostato il fronte del conflitto dal
centro alla periferia. Traduzione. Il ridimensionamento dei
trasferimenti dallo Stato alle amministrazioni locali (regioni,
comuni, province) obbligherà  sindaci e presidenti o a tagliare le
spese sociali (sanità , assistenza, ecc.) o ad aumentare la
pressione fiscale locale. Aumenteranno le tariffe dei servizi
pubblici. Con la rivalutazione degli estimi catastali aumenteranno
le tasse sulla casa. Saranno reintrodotti i ticket, aumenterà 
l’imposta sulla nettezza urbana, ecc.ecc. Volete il federalismo
fiscale? Ecco un’anticipazione dell’Italia federale in costruzione.
Le organizzazioni sociali, sindacati e confindustria, hanno
espresso con motivazioni diverse, ma non conflittuali, un giudizio
negativo sul provvedimento governativo. Dicono che la situazione
del Paese è tale da richiedere scelte radicalmente diverse da
quelle volute dal governo di centrodestra.
La nostra è ormai da anni una economia bloccata che non trova la
strada per invertire un processo di impoverimento generale delle
famiglie e delle imprese. Il tasso di disoccupazione è superiore
alla media europea, l’economia sommersa ha un’incidenza
formidabile sul PIL. Il sommerso è il motore che copre lo scandalo
dell’endemica evasione fiscale. Argomento questo che non fa più
scandalo e che sembra non interessare più nessuno.
Le indagini statistiche dimostrano che la distribuzione del
reddito in Italia è andata via, via peggiorando per tutti quelli
che vivono del proprio lavoro. Oggi siamo la nazione europea a più
alta concentrazione del reddito e della ricchezza. Non è un bel
record. Le disuguaglianze sociali si sono aggravate mentre la
crisi del welfare ha raggiunto dimensioni tali da incidere
pesantemente sulla qualità  di tutti i servizi al cittadino. Ogni
anno aumenta ad esempio la partecipazione dei malati alla spesa
per le proprie cure. A poco a poco l’intervento pubblico si
ridimensiona in tutti i settori senza che le privatizzazioni
stimolino una qualche forma di ripresa economica.
Una pessima situazione che si aggrava anche per la debolezza
programmatica del centrosinistra. Non si sono fatti passi in
2
avanti nel formulare idee e progetti concretamente alternativi
alla linea di politica economica della destra.
Autorevoli rappresentanti dei riformisti continuano a sostenere
che una volta al governo, il centrosinistra dovrà  in economia fare
le cose che Berlusconi ha detto di voler fare e non ha fatto.
Esemplare da questo punto di vista il dibattito che “Il
Riformista” ha aperto sia sulle questioni programmatiche sia sulla
classe dirigente espressa dai riformisti.
Sembra di sognare eppure ancora oggi l’argomento al centro della
discussione nell’Ulivo è la forma organizzativa da dare
all’opposizione e se Prodi è o no il leader adatto a vincere la
sfida con Berlusconi.
Sembra prendere forza l’ipotesi di una federazione tra i partiti
del “listone” ma lo sbocco di questa scelta è diversificato
all’interno dei singoli partiti e tra i partiti del centrosinistra.
D’Alema e la maggioranza dei DS sostiene l’esigenza della
formazione di un nuovo partito: il partito dei riformisti. La
minoranza diessina vorrebbe sì un nuovo partito, ma vicino
all’esperienza delle socialdemocrazie europee. Rutelli sogna una
Margherita fulcro di un centro così forte da determinare le
politiche del centrosinistra.
La discussione si trascina ormai da un decennio e i punti risolti
sono pochissimi. Si apre la stagione dei congressi per molti dei
partiti del centrosinistra e forse qualcosa si chiarirà . Certo il
pessimismo ha qualche ragion d’essere visto che i protagonisti
sono gli stessi di sempre e considerando quanto i personalismi
pesino in tutte le vicende politiche. A volte si ha l’impressione
che le lotte intestine al “quartier generale” nascano da antiche
rivalità  che poco hanno a che fare con l’interesse del Paese.
Anche se molti si reputano grandi statisti prevale la stizza
dell’uno contro l’altro a prescindere dal merito delle cose.
Comunque qualche barlume di spirito critico rispetto alle scelte
passate comincia ad affiorare anche in leader inossidabili. Più di
uno ormai ritiene sbagliate alcune scelte fondamentali degli anni
trascorsi.
Il federalismo alla Bassanini o la negazione ideologica di ogni
intervento pubblico nella gestione del paese, stanno passando di
moda e si ricomincia a ragionare a partire dal fallimento in tutto
il mondo del modello liberista che tanto ha affascinato i nostri
stagionati eroi.

I COSTI DELLA POLITICA TRA SANTINI E DEPLIANT

La discussione è aspra. Attraversa i partiti e per adesso non sembra avvenga su un terreno di piena consapevolezza della gravità  della situazione in cui si trova il rapporto tra addetti ai lavori e senso comune della gente. Ci riferiamo al confronto tra e nei partiti attorno alla questione del costo della politica. Discussione enfatizzata e intrecciata dalle vicende legate allo statuto della Regione e alla legge elettorale regionale. Sullo statuto vale la pena fare una sola annotazione. Esponenti della destra politica umbra discutono con vigore ed alcuni si turbano perchè non capiscono il motivo per cui, in Forza Italia e
non solo, vi sia chi non appoggi fino in fondo uno statuto approvato con il voto decisivo della destra. E che, a detta di Alleanza Nazionale, è caratterizzato dalle idee e dalla cultura del Polo berlusconiano.
Forse qui sta il punto. Nonostante l’impegno profuso in tre anni non si è riusciti a votare uno statuto che fosse segnato non dalla destra o dalla sinistra, ma dalla storia e dalla cultura democratica dell’Umbria. Uno statuto non deve rappresentare una sola ideologia politica, ma l’insieme delle sensibilità  culturali ed ideali di una comunità . Da questo punto di vista vale la lezione dei padri costituenti del 1947: proprio all’esplodere della guerra fredda i leader di allora seppero andare oltre gli interessi di parte per costruire una Carta
Costituzionale esemplare per cultura democratica. Soltanto i fascisti votarono contro. Altre stagioni si dirà , ma le divisioni di quel tempo non è che fossero meno radicali di quelle di oggi. Si guardò in quella stagione all’interesse generale del Paese e la democrazia divenne sensibilità  di massa.
Veniamo al punto. Costa troppo la politica? La risposta va meditata e va data dopo aver analizzato i processi che si sono attivati negli ultimi dieci, quindici anni nel sistema politico italiano rifuggendo dalla semplificazione qualunquista
montante.
Una cosa è certa. Chi amministra la cosa pubblica ha diritto ad essere pagato per il lavoro che svolge e non è ammissibile che solo i benestanti possano svolgere funzioni pubbliche. Il problema sorge quando i comportamenti concreti del ceto politico sollecitano le spinte al rifiuto della politica come mezzo per governare le comunità . Qualche riflessione sui benefits dei pubblici amministratori e sui livelli stipendiali raggiunti nei vertici burocratici o negli enti parapubblici non sarebbe cosa sbagliata. Non è venuto il tempo di un bilancio veritiero del risultato conseguito dal processo di riforma della pubblica amministrazione degli anni “˜90? Oggi l’amministrare è molto costoso e in termini di efficacia non si sono visti grandi innovazioni. Il mondo della politica
ha un costo di mantenimento di tutto rispetto e la qualità  della democrazia non ha trovato grande giovamento dall’aumento marcato di coloro che vivono per e grazie alla politica. Perchè?
La distruzione della Repubblica fondata sui partiti di massa si è concretizzata attraverso vari processi nazionali e internazionali. Sembrerà  strano ma la risposta alla crisi di quell’impianto politico è stata univoca sia nella destra che nel centrosinistra. La sinistra comunista divenne una minoranza intelligente, ma ininfluente nei processi di costruzione di un nuovo sistema politico. Di fatto la sinistra radicale ha dovuto subire le scelte degli altri.
I nuovi partiti sostenuti dalla grande stampa e da quasi tutti gli intellettuali del ramo, attraverso referendum e leggi elettorali maggioritarie, hanno cercato di realizzare il sogno di molti nuovisti: i palloncini colorati delle convention americane come immagine di nuova politica senza utopie.
Si è voluto costruire un sistema politico in cui tutto è al servizio del candidato e non delle idee collettivamente discusse e condivise. La politica da fatto
collettivo è diventata una questione di leader da spendere come sindaci, presidenti o parlamentari. Non più una politica costruita quotidianamente con i militanti dei partiti, ma un’organizzazione della politica rivolta ogni cinque anni agli elettori a cui chiedere un mandato in bianco. Annichilito ogni stimolo per il volontariato, la politica si professionalizza. Iniziano le carriere. Non è che nei vecchi partiti non ci fosse anche il carrierismo, figuriamoci. Le ambizioni personali ci sono sempre state, ma oggi manca qualsiasi meccanismo di controllo dal basso. Anzi più sei determinato nello sviluppo della tua carriera più conti nei gruppi dirigenti dei partiti. Il potere lo hai non da una capacità  di rapporto di massa, ma dal tuo legame con l’oligarchia. Il discrimine è soltanto la quantità  di preferenze che si riesce ad organizzare.
Per i riformisti il modello è stato il NewLabour di Tony Blair, per la destra il plebiscito di antica memoria.
Per anni l’occupazione fondamentale è stata quella di negare, recidere, sterilizzare le radici di provenienza dei vari leader e dei vari movimenti politici. L’antipolitico ha avuto un grande appeal specialmente tra coloro che volevano entrare in politica. Rimane indimenticabile la stagione dei professori scesi in campo per rigenerare la politica e tornati rapidamente a casa senza lasciare grandi rimpianti.
Le strutture di base dei partiti divengono i comitati elettorali e con l’esplodere del berlusconismo la “spesa” per essere eletto da qualche parte, aumenta. Voci autorevoli hanno denunciato il costo, in assoluto e per i singoli candidati, delle recenti campagne elettorali. Non siamo ancora all’America dove una campagna elettorale presidenziale può costare anche oltre quattromila miliardi di vecchie lire. Nel nostro piccolo hanno impressionato le quantità  di santini e depliant diffusi nelle nostre case soltanto per l’elezione in qualche circoscrizione di Perugia. E sì, la politica personalizzata costa molto e i palloncini colorati non li regala nessuno. Vanno pagati in molti modi.
Corriere dell’Umbria 26 settembre 2004

L’AMERICA CHE E’ IN NOI

La stagione elettorale è iniziata con la violenza verbale del
Cavalier Berlusconi. L’accusa al centrosinistra è di aver fondato
un regime. Un regime comunista, naturalmente. Come un qualsiasi
imbonitore di successo, Berlusconi sa che gli insulti, anche se
ridicolmente falsi, ripetuti, urlati, alla fine lasciano il segno.
La pubblicità  non è tutta una costruzione di banali assurdità 
ripetute in maniera ossessiva? Non si vende un prodotto perchè è
buono, si vende un’atmosfera, un’illusione.
Berlusconi dichiara illegittime le prossime elezioni regionali
soltanto perchè, con molto ritardo, si disciplina l’uso dei mass
media nella propaganda elettorale. Berlusconi sa bene di mentire.
Continua nella sua linea peronista che, si badi bene, è abbastanza
in sintonia con molti degli umori di fondo della gente e non solo
nel nostro Paese. L’Austria insegna.
Roma è tappezzata da manifesti di Alleanza Nazionale che dicono:
“Attenti ai brogli. Il 16 aprile non ti fare espropriare il voto”.
Si mettono le mani avanti rispetto ad una possibile sconfitta del
centro destra. Si dirà  che la spinta all’astensionismo colpisce
più il centrosinistra e allora fa comodo che il Polo drammatizzi
le elezioni regionali, aumenterà  la mobilitazione dell’elettorato
del centrosinistra. L’impressione è che mistificando così si rende
ancora più fragile la democrazia del nostro Paese.
L’anomalia italiana ha cambiato segno: un tempo era il Paese
europeo con la sinistra comunista più forte. Oggi l’anomalia sta
tutta nel tipo di destra e nella leadership berlusconiana. E’ da
non sottovalutare il lavoro fatto in questi anni da Berlusconi per
accreditarsi come un moderato spendibile nel mercato del liberismo
imperante. L’adesione ai Popolari Europei è stato un indubbio
successo di Forza Italia e una sconfitta per i popolari italiani.
Tornando alle origini Forza Italia, il Polo sarebbe meglio dire,
mette sempre al primo posto gli interessi materiali del suo Capo.
Così è stato per la legge sulla regolamentazione degli spazi
televisivi. Il Polo ha messo in moto al grido “libertà “ tutti i
mezzi disponibili: manifesti, spot a migliaia, aerei in cielo con
striscioni, presentatori e ballerine delle reti Mediaset.
Affrontare, con qualche anno di ritardo, la questione del
conflitto d’interessi di Berlusconi rischia di causare la terza
guerra mondiale.
C’è una certezza assoluta: l’incapacità  del centrosinistra di
scegliere i tempi nel fare le cose. Non si pongono nemmeno il
problema di perchè, nonostante che il Governo del Paese e tanta
parte del Governo Locale siano diretti da uomini e donne dei
Partiti che formano la coalizione, il consenso e i voti non
aumentino anzi. Le sinistre italiane sono numerose come sigle.
Tutte al loro minimo storico.
Stupisce la debolezza della risposta delle forze politiche del
centrosinistra, il silenzio rumoroso di tanta parte
dell’intellettualità  italiana, la quasi indifferenza del movimento
sindacale, rispetto allo stato della democrazia italiana, sul vero
e proprio tracollo del rapporto politica con i cittadini. Si
preferisce discutere su chi dovrà  essere il leader per le elezioni
del 2001 indebolendo il già  fragile Governo D’Alema.
Forme di schizofrenia politica prevalgono sulla limpidezza delle
posizioni. Pannella e la Bonino fanno accordi con Berlusconi?
Veltroni richiama tutti al dovere di discutere con il duetto più
amato d’Italia perchè: “Tante cose ci uniscono ai radicali”.
Quali? Non è dato sapere. Lo spinello libero non ci sembra
sufficiente per un alleanza con i liberisti più liberisti
d’Italia.
Il congresso di Torino rivendica il legame con la Socialdemocrazia
Europea. Veltroni organizza i Diesse come un partito americano. Ci
si inventa il fund raiser (cercatore di sottoscrizioni) tipica
figura del Partito di Clinton.
Il fascista Haider promette guerra agli immigrati e agli
emarginati. Il Ministro Bianco propone di mandare in galera dopo
il primo grado di giudizio a prescindere dalla Costituzione su cui
ha giurato fedeltà .
Si riapre la possibilità  di un accordo Centrosinistra-
Rifondazione. Il PCDI si sente discriminato e strilla l’esigenza
di valorizzare gli unici comunisti doc. Naturalmente sarebbero
loro.
Come ci orientiamo noi poveracci che dovremo votare tra un mese?
Il rigetto del berlusconismo sarà  sufficiente ad evitare altre
ondate di astensione di massa del popolo della sinistra?
Vengono al pettine gli intrecci di una stagione politica in cui la
sinistra di governo italiana ha smarrito ogni senso di sè, della
sua storia, dei suoi doveri. Si doveva andare oltre le tradizioni
del movimento operaio non appiattirsi sull’esistente.
Se si esaminano bene le cose quanto sta succedendo ciò è
certamente dovuto a scelte incaute dei dirigenti del
centrosinistra, l’elenco degli errori sarebbe lungo. Ma non si è
trattato di errori non voluti. Lo stato delle cose è frutto di una
scelta consapevole e convinta dei tanti, intellettuali, militanti
e dirigenti politici, che ritengono applicabile in Italia il
modello del maggioritario secco che vige in Inghilterra e negli
Stati Uniti come risposta alla crisi democratica. Il sistema
maggioritario come nuova ideologia.
I fattori di svolta sono stati molti. Ne citò soltanto due: il
referendum guidato da Segni contro la quota proporzionale; la
legge per l’elezione diretta dei sindaci.
Questi due momenti, dell’ultimo decennio, hanno significato la
morte della Repubblica fondata sui partiti di massa molto più che
i colpi venuti da Tangentopoli al sistema politico corrotto. Non
si è voluto riformare i partiti, si è coscientemente scelta la
strada della loro distruzione. Si è agito per governi “forti” e
per assemblee elettive senza poteri reali.
Che cosa si vuol dire? Eleggere direttamente il sindaco ha tolto,
finalmente, alle segreterie dei partiti il potere di decidere? Sì,
ma ha sostituito quel potere con un altro potere. Quello personale
del candidato e quello delle oligarchie che selezionano il
candidato. Nessun rimpianto per i vecchi metodi, ma dovremo pur
riflettere sulle conseguenze di una scelta di sistema elettorale
di tipo presidenziale. Questo sistema ha creato una nuova figura
politica. Un leader che con una propria squadra, risponde una
volta eletto, soltanto agli elettori. Non ha più bisogno di
strutture politiche di sostegno, i partiti politici divengono
obsoleti esattamente come le assemblee elettive. L’unica forma di
aggregazione reale è quella dei comitati elettorali che, come è
ovvio, servono per le elezioni e non per discussioni politiche.
Come si è visto, poi, alcuni di questi nostri Sindaci sanno far di
tutto un po’. Parlamentari europei, dirigenti di movimenti,
Ministri della Repubblica, alcuni corrono per diventare
Governatori (i prossimi Presidenti di Regione). Alcuni hanno una
visione dell’opportunità  politica molto particolare e tutte dovute
alle loro esigenze personali. Ognuno di loro potenzialmente è un
piccolo partito e agisce come tale.
Tentato il Movimento dei Sindaci, alcuni si accontentano di una
carriera politica che non deve mai avere limiti. L’elezione
diretta dei presidenti di giunta regionale prosegue, enfatizza,
questa scelta istituzionale. E’ questa la personalizzazione della
politica.
Non bisogna essere provinciali.
Questo processo non è stato inventato nè da Segni nè da Veltroni
nè da Rutelli. E’ quanto successo, ormai da molti anni, negli
Stati Uniti. Non è un sistema politico perfetto. Funziona così,
così, a me non piace. Il popolo americano vota poco, ma questo
rientra nelle loro tradizioni e poi l’importante è vincere anche
con pochi votanti. Per essere eletti in America bisogna avere
tantissimi soldi le campagne elettorali durano mesi e costano
tanto. Una volta eletto il deputato o il senatore, per essere
confermato, ha bisogno di molti fund raiser e molti lobbisti che
pagano, ma le leggi di quel Paese lo consentono (da noi no). E’
noto che il ricambio delle classi politiche in America è tra i più
lenti del mondo. Se entri al Senato o alla Camera hai molte
possibilità  di ritornarci per molte volte, basta assecondare i
lobbisti. Forse anche per questo il sistema piace ai nostri
innovatori al potere. Il futuro è assicurato. La cosa non deve
scandalizzare più di tanto. Quando la politica cessa di essere
strumento di mutamento della condizione umana per divenire
strumento passivo dell’economia è logica il prevalere di una
visione particolaristica della vita democratica. Non più leader
politici, ma gestori dell’esistente.Riformisti che non fanno
riforme. Innovatori che non innovano. Galleggiano su un esistente
non da loro determinato e che non riusciranno a modificare.
Micropolis febbraio 2000

L’AMERICA CHE E’ IN NOI

La stagione elettorale è iniziata con la violenza verbale del
Cavalier Berlusconi. L’accusa al centrosinistra è di aver fondato
un regime. Un regime comunista, naturalmente. Come un qualsiasi
imbonitore di successo, Berlusconi sa che gli insulti, anche se
ridicolmente falsi, ripetuti, urlati, alla fine lasciano il segno.
La pubblicità non è tutta una costruzione di banali assurdità
ripetute in maniera ossessiva? Non si vende un prodotto perché è
buono, si vende un’atmosfera, un’illusione.
Berlusconi dichiara illegittime le prossime elezioni regionali
soltanto perché, con molto ritardo, si disciplina l’uso dei mass
media nella propaganda elettorale. Berlusconi sa bene di mentire.
Continua nella sua linea peronista che, si badi bene, è abbastanza
in sintonia con molti degli umori di fondo della gente e non solo
nel nostro Paese. L’Austria insegna.
Roma è tappezzata da manifesti di Alleanza Nazionale che dicono:
“Attenti ai brogli. Il 16 aprile non ti fare espropriare il voto”.
Si mettono le mani avanti rispetto ad una possibile sconfitta del
centro destra. Si dirà che la spinta all’astensionismo colpisce
più il centrosinistra e allora fa comodo che il Polo drammatizzi
le elezioni regionali, aumenterà la mobilitazione dell’elettorato
del centrosinistra. L’impressione è che mistificando così si rende
ancora più fragile la democrazia del nostro Paese.
L’anomalia italiana ha cambiato segno: un tempo era il Paese
europeo con la sinistra comunista più forte. Oggi l’anomalia sta
tutta nel tipo di destra e nella leadership berlusconiana. E’ da
non sottovalutare il lavoro fatto in questi anni da Berlusconi per
accreditarsi come un moderato spendibile nel mercato del liberismo
imperante. L’adesione ai Popolari Europei è stato un indubbio
successo di Forza Italia e una sconfitta per i popolari italiani.
Tornando alle origini Forza Italia, il Polo sarebbe meglio dire,
mette sempre al primo posto gli interessi materiali del suo Capo.
Così è stato per la legge sulla regolamentazione degli spazi
televisivi. Il Polo ha messo in moto al grido “libertà” tutti i
mezzi disponibili: manifesti, spot a migliaia, aerei in cielo con
striscioni, presentatori e ballerine delle reti Mediaset.
Affrontare, con qualche anno di ritardo, la questione del
conflitto d’interessi di Berlusconi rischia di causare la terza
guerra mondiale.
C’è una certezza assoluta: l’incapacità del centrosinistra di
scegliere i tempi nel fare le cose. Non si pongono nemmeno il
problema di perché, nonostante che il Governo del Paese e tanta
parte del Governo Locale siano diretti da uomini e donne dei
Partiti che formano la coalizione, il consenso e i voti non
aumentino anzi. Le sinistre italiane sono numerose come sigle.
Tutte al loro minimo storico.
Stupisce la debolezza della risposta delle forze politiche del
centrosinistra, il silenzio rumoroso di tanta parte
dell’intellettualità italiana, la quasi indifferenza del movimento
sindacale, rispetto allo stato della democrazia italiana, sul vero
e proprio tracollo del rapporto politica con i cittadini. Si
preferisce discutere su chi dovrà essere il leader per le elezioni
del 2001 indebolendo il già fragile Governo D’Alema.
Forme di schizofrenia politica prevalgono sulla limpidezza delle
posizioni. Pannella e la Bonino fanno accordi con Berlusconi?
Veltroni richiama tutti al dovere di discutere con il duetto più
amato d’Italia perché: “Tante cose ci uniscono ai radicali”.
Quali? Non è dato sapere. Lo spinello libero non ci sembra
sufficiente per un alleanza con i liberisti più liberisti
d’Italia.
Il congresso di Torino rivendica il legame con la Socialdemocrazia
Europea. Veltroni organizza i Diesse come un partito americano. Ci
si inventa il fund raiser (cercatore di sottoscrizioni) tipica
figura del Partito di Clinton.
Il fascista Haider promette guerra agli immigrati e agli
emarginati. Il Ministro Bianco propone di mandare in galera dopo
il primo grado di giudizio a prescindere dalla Costituzione su cui
ha giurato fedeltà.
Si riapre la possibilità di un accordo Centrosinistra-
Rifondazione. Il PCDI si sente discriminato e strilla l’esigenza
di valorizzare gli unici comunisti doc. Naturalmente sarebbero
loro.
Come ci orientiamo noi poveracci che dovremo votare tra un mese?
Il rigetto del berlusconismo sarà sufficiente ad evitare altre
ondate di astensione di massa del popolo della sinistra?
Vengono al pettine gli intrecci di una stagione politica in cui la
sinistra di governo italiana ha smarrito ogni senso di sé, della
sua storia, dei suoi doveri. Si doveva andare oltre le tradizioni
del movimento operaio non appiattirsi sull’esistente.
Se si esaminano bene le cose quanto sta succedendo ciò è
certamente dovuto a scelte incaute dei dirigenti del
centrosinistra, l’elenco degli errori sarebbe lungo. Ma non si è
trattato di errori non voluti. Lo stato delle cose è frutto di una
scelta consapevole e convinta dei tanti, intellettuali, militanti
e dirigenti politici, che ritengono applicabile in Italia il
modello del maggioritario secco che vige in Inghilterra e negli
Stati Uniti come risposta alla crisi democratica. Il sistema
maggioritario come nuova ideologia.
I fattori di svolta sono stati molti. Ne citò soltanto due: il
referendum guidato da Segni contro la quota proporzionale; la
legge per l’elezione diretta dei sindaci.
Questi due momenti, dell’ultimo decennio, hanno significato la
morte della Repubblica fondata sui partiti di massa molto più che
i colpi venuti da Tangentopoli al sistema politico corrotto. Non
si è voluto riformare i partiti, si è coscientemente scelta la
strada della loro distruzione. Si è agito per governi “forti” e
per assemblee elettive senza poteri reali.
Che cosa si vuol dire? Eleggere direttamente il sindaco ha tolto,
finalmente, alle segreterie dei partiti il potere di decidere? Sì,
ma ha sostituito quel potere con un altro potere. Quello personale
del candidato e quello delle oligarchie che selezionano il
candidato. Nessun rimpianto per i vecchi metodi, ma dovremo pur
riflettere sulle conseguenze di una scelta di sistema elettorale
di tipo presidenziale. Questo sistema ha creato una nuova figura
politica. Un leader che con una propria squadra, risponde una
volta eletto, soltanto agli elettori. Non ha più bisogno di
strutture politiche di sostegno, i partiti politici divengono
obsoleti esattamente come le assemblee elettive. L’unica forma di
aggregazione reale è quella dei comitati elettorali che, come è
ovvio, servono per le elezioni e non per discussioni politiche.
Come si è visto, poi, alcuni di questi nostri Sindaci sanno far di
tutto un po’. Parlamentari europei, dirigenti di movimenti,
Ministri della Repubblica, alcuni corrono per diventare
Governatori (i prossimi Presidenti di Regione). Alcuni hanno una
visione dell’opportunità politica molto particolare e tutte dovute
alle loro esigenze personali. Ognuno di loro potenzialmente è un
piccolo partito e agisce come tale.
Tentato il Movimento dei Sindaci, alcuni si accontentano di una
carriera politica che non deve mai avere limiti. L’elezione
diretta dei presidenti di giunta regionale prosegue, enfatizza,
questa scelta istituzionale. E’ questa la personalizzazione della
politica.
Non bisogna essere provinciali.
Questo processo non è stato inventato né da Segni né da Veltroni
né da Rutelli. E’ quanto successo, ormai da molti anni, negli
Stati Uniti. Non è un sistema politico perfetto. Funziona così,
così, a me non piace. Il popolo americano vota poco, ma questo
rientra nelle loro tradizioni e poi l’importante è vincere anche
con pochi votanti. Per essere eletti in America bisogna avere
tantissimi soldi le campagne elettorali durano mesi e costano
tanto. Una volta eletto il deputato o il senatore, per essere
confermato, ha bisogno di molti fund raiser e molti lobbisti che
pagano, ma le leggi di quel Paese lo consentono (da noi no). E’
noto che il ricambio delle classi politiche in America è tra i più
lenti del mondo. Se entri al Senato o alla Camera hai molte
possibilità di ritornarci per molte volte, basta assecondare i
lobbisti. Forse anche per questo il sistema piace ai nostri
innovatori al potere. Il futuro è assicurato. La cosa non deve
scandalizzare più di tanto. Quando la politica cessa di essere
strumento di mutamento della condizione umana per divenire
strumento passivo dell’economia è logica il prevalere di una
visione particolaristica della vita democratica. Non più leader
politici, ma gestori dell’esistente.Riformisti che non fanno
riforme. Innovatori che non innovano. Galleggiano su un esistente
non da loro determinato e che non riusciranno a modificare.
Micropolis febbraio 2000

L’Umbria e le pretese di Rutelli

Francesco Rutelli oltre ad essere Sindaco di Roma e parlamentare europeo
ha tempo anche per essere uno dei leader del Partito dei Democratici
(Prodi, Di Pietro, ecc….). In una intervista ha posto ai Democratici di
Sinistra (Veltroni e D’Alema) le condizioni per l’ingresso di ministri
prodiani nel governo D’Alema, Cossutta, Cossiga.
Tra queste condizioni colpisce una anche perche’ interferisce con le
vicende politiche di casa nostra (l’Umbria). Dice Rutelli: ”Poi le
elezioni regionali e la scelta dei candidati a presidenti. Qui occorre un
profilo altissimo. Nessuno puo’ pensare di cavarsela, dove è maggioranza
relativa proponendo il proprio segretario regionale. Occorre mettere in
campo grandi sindaci, imprenditori di primo piano, qualche ministro,
perche’ no? Qualche presidente uscente, se ha fatto bene, anzi molto
bene.” In questa scaletta sta tutta l’arroganza antidemocratica di un
ceto politico che ha fatto fortuna vendendo fumo, chiedendo agli altri
qualita’ o supposte qualita’che il suddetto ceto spesso non ha. In
conformità a quale criterio, d’interesse generale, un sindaco (sempre
definito grande) è migliore di un buon segretario regionale di un partito
di massa? Il sistema che ama Rutelli, quello anglosassone, presuppone che
il leader di un partito è anche leader del governo o dell’opposizione.
Perche’ non dovrebbe valere anche in Italia? Dove sta scritto che un
grande imprenditore è a priori un buon amministratore di cosa pubblica?
Chi stabilisce che un presidente uscente ha fatto bene? Rutelli o gli
organi di partito o dei partiti della coalizione che si assume l’onere e
la responsabilita’ della candidatura? La democrazia diviene un optional.
Ci sono quelli che hanno le virtu’ necessarie ad evitare che la politica
sia frutto della partecipazione di tanti e non proprieta’ di coloro che
sono nati senza dover mai rendere conto di quello che fanno per il bene
collettivo.
Si pesca ancora una volta nella società civile come luogo della virtù
contro la societa’ politica sempre luogo dell’incompetenza. Si badi bene
che i tipi come il Sindaco di Roma hanno sempre avuto poco a che fare con
la societa’ civile: sono quasi tutti professionisti della politica, da
sempre. Non ho niente contro la politica fatta da professionisti, anzi.
Consiglierei a costoro, per igiene mentale, ogni tanto di tornare ad
esercitare altre professioni che non dipendano dalla politica. In ogni
caso cessare di presentarsi come gli alfieri della critica dei partiti:
sono i partiti che hanno assicurato a molti di questi inamovibili
farfalloni della politica italiana carriere che nella società civile non
avrebbero mai potuto avere. Un poco di riconoscenza non farebbe male.
E’ indubbio che l’andamento del dibattito per la scelta del candidato a
presidente della giunta regionale dell’Umbria è stato e sara’ molto
travagliato. Non deve meravigliare. Questa che si chiude è stata una
legislatura molto difficile in cui non era facile azzeccare una linea di
politica amministrativa adeguata ai problemi della nostra comunita’. Le
premesse ideologiche erano piegate alla critica immotivata di una
stagione amministrativa ricca d’intuizioni e di concrete realizzazioni.
Dare voti sarebbe scorretto e non è il nostro mestiere. Nella vivace
discussione dei diesse umbri, si è parlato di luci ed ombre. Forse
definizione piu’corretta sarebbe quella del prevalere di una tonalita’ di
grigio intenso su sprazzi di colore più vivace.
La discussione continua e il dato piu’rilevante è la differente
valutazione tra la maggioranza dei diessini dell’Umbria rispetto al
rappresentante del centro dei DS. Cosa non da poco se si considera che,
poi, la campagna elettorale la dovranno svolgere anche quelli che non
sono d’accordo con le scelte di Roma.E’ la prima volta che succede? No,
anche nel passato differenti valutazioni ci sono state tra i dirigenti
della nostra regione e la Direzione nazionale, figuriamoci. Soltanto,
pero’, nel 1991 il presidente della regione fu “scelto” a Roma. Prima di
allora, sempre, fu il gruppo dirigente umbro ad indicare il capo del
governo regionale.La leggenda metropolitana di un centro del PCI che
decideva tutto è da considerarsi, appunto, una leggenda. La stagione
politica e’ radicalmente diversa e diverso deve essere l’atteggiamento di
ciascuno. Credo però che rimanga valida l’esigenza di andare a una scelta
che dia il segno di una ritrovata responsabilità collettiva dei dirigenti
delle forze politiche che governano l’Umbria. L’elezione diretta del
presidente della giunta ne cambia in parte anche la natura per il ruolo
ancora più monocratico che dovrà avere. L’affidabilità politica e
amministrativa e’ qualità richiesta. Organizzare il governo dell’Umbria
con autorità, ma senza autoritarismo. Utilizzare al meglio le risorse
umane e territoriali, non e’ cosa facile senza intensi rapporti politici.
Il candidato dovrà, quindi, essere un leader capace di guidare una
compagine di giunta oltre che necessariamente svolgere un ruolo politico
nel senso più ricco del termine. Non si ha bisogno di un altro manager,
ma di un riferimento non solo per il centrosinistra.
Giornale dell’Umbria 18 ottobre 1999