Rottamatori e porcate

In questo fine settimana il partito democratico ha due appuntamenti di livello nazionale. Il primo è convocato dal segretario Bersani e riguarda i segretari dei circoli del PD. L’altro si svolgerà  a Firenze ed avrà  come protagonisti gli under 40 dello stesso partito.
Leader del movimento è il sindaco di Firenze Renzi, il rottamatore ha da tempo sollecitato il ricambio della classe dirigente del partito. Renzi ritiene urgente la questione della messa a riposo di leader che sono in campo da così tanti anni da costituire un impiccio al dispiegarsi delle potenzialità  del partito democratico nato con l’ambizione di costituire l’alternativa unica al centrodestra. Non si tratta soltanto del meccanismo levati tu che mi ci metto io, il problema è reale e va affrontato con rigore e coraggio, magari evitando slogan irrispettosi. Come farlo?
I concorsi per “volti nuovi per il cinema” possono a volte farti scoprire un Alberto Sordi o una Silvana Mangano. Nei tempi che viviamo il rischio è quello di trovarsi di fronte a qualche velina o velino che magari buca lo schermo, ma che certo non assicura un radioso futuro al movimento. Di esempi ne son piene le cronache. Che il rinnovamento dei gruppi dirigenti, di tutti i partiti, sia un problema reale è fuori discussione. Si è interrotto da decenni un circuito che, con limiti e insufficienze, assicurava un intreccio di responsabilità  tra le diverse generazioni di un partito. Sono ormai moltissimi anni che la gestione della politica è svolta da una sola generazione, quella che era in campo alla caduta del muro di Berlino. Una generazione che con cinismo e arroganza ha emarginato le generazioni più anziane e impedito l’emergere di nuove energie. Indifferente alle numerose sconfitte, incapace di analizzare gli errori gravi compiuti, rimane in campo e con tracotanza continua a progettare la propria interminabile carriera politica. Nella costruzione dei gruppi dirigenti prevalgono il salotto buono o la fedeltà  al leader di turno. Piuttosto che la qualità  del lavoro politico che si può produrre, ciò che è richiesto al giovane che vuole impegnarsi in politica, è lo schierarsi a favore di questo o quel leader.  L’aver favorito con le sciocche tesi del partito leggero la personalizzazione della politica, è una responsabilità  che nessuno sembra voler assumere. Il risultato è stato la produzione di un ceto politico che non riesce a costruire un gruppo dirigente credibile e una linea politica adeguata alla realtà . L’esplodere dei feudi, dei signorotti e dei vassalli non è dovuta alla cattiva volontà  dei singoli, ma ai meccanismi di funzionamento di partiti che non sanno darsi regole e vincoli trasparenti. (altro…)

Saltare un giro e tacere

Non c’è un Euro, ha gridato disperato un ministro della Repubblica. L’ultimo Consiglio dei Ministri ha deliberato un disegno di legge da far approvare al Parlamento entro dicembre, si chiama legge di stabilità . Espressione più glamour per quella che andava sotto il nome di finanziaria che regolava le spese dell’anno successivo.
La finanziaria cambia nome, non cambia la sostanza: per adesso non c’è un Euro da spendere e se ne riparla a dicembre. Così anche la famosa legge di riforma dell’Università  è stata accantonata dal Parlamento. Dopo che Tremonti ha comunicato che non ci sono le risorse necessarie. Tra le proteste di tutti, la riforma è stata rinviata a data da precisare.
Non sono esperto e non posso esprimere una valutazione sulla qualità  della riforma. Le cronache raccontano che ogni giorno, da mesi ormai, si svolgono manifestazioni contrarie alle norme volute dal Ministro Gelmini. Solo la conferenza dei Rettori, a maggioranza, ha apprezzato le norme. Docenti, ricercatori, studenti manifestano quotidianamente il loro dissenso.
Al di là  di queste proteste, colpisce il fatto che dopo un anno dalla presentazione della riforma, il governo del fare scopre che mancano le risorse per una riforma che tutti considerano essenziale per il futuro del Paese.
L’università  è argomento che tormenta molti altri Paesi d’Europa. Ad esempio, in Inghilterra il governo conservatore si appresta a produrre tagli pesantissimi nella spesa per l’istruzione universitaria. Ma le basi di partenza sono radicalmente diverse. L’Italia è in Europa uno dei Paesi a più basso livello per tutte le spese che riguardano, cultura, ricerca, formazione. Siamo buoni ultimi assieme a Grecia e Portogallo. Non riformare e tagliare le già  limitate risorse di questo comparto della spesa pubblica, è un delitto contro il futuro di molte generazioni. Tremonti fa bene a voler tenere i conti pubblici in ordine anche a prescindere dai vincoli europei, ma tagliare orizzontalmente la spesa senza scegliere con intelligenza una linea di sviluppo non ci porta da nessuna parte. Un nuovo sviluppo è difficile da costruire in mancanza di un progetto complessivo. Al di là  di tutto, il centrodestra non sembra in grado di prospettare una linea capace di contrastare la deriva del Paese. Per i leader della destra, l’urgenza sembra essere quella di riformare la giustizia e cambiare la carta costituzionale. Che la giustizia in Italia debba essere riformata è indubbio ma che lo si possa fare contro i magistrati sembrerebbe complicato. La Costituzione Repubblicana Italiana è considerata tra le più moderne e civili al mondo. Disegna una democrazia in cui il potere popolare può esprimersi non perchè elegge direttamente il capo del governo, ma perchè elegge un Parlamento che rappresenta tutti salvaguardando tutti gli interessi legittimi. L’attuale Parlamento è formato da nominati dalle oligarchie di partito che, a destra, al centro, come a sinistra hanno scelto diffusamente clientes privi di qualsiasi autonomia. Dipendenti che hanno come un’unica aspettativa la riconferma nell’impiego da parlamentare. La campagna acquisti di queste settimane aveva come premio d’ingaggio la ricandidatura in ricompensa del cambio di casacca. I padroni delle liste hanno questo potere e lo hanno esercitato alla grande per soffocare ogni vagito di resistenza alle brutture imposte da chi decide. L’urgenza non è di modificare la Costituzione, ma quella di applicarla in tutte le sue parti ad iniziare dal ripristino del diritto del cittadino di scegliere i propri rappresentanti.
Affaticato dal troppo fare il governo sembra galleggiare giorno per giorno. Mentre la situazione del Paese non riesce ad uscire da uno stato di confusione e malessere, i teatranti continuano nella loro commedia. La settimana era iniziata con una novità . Bersani e Vendola avevano trovato un accordo sia sulle primarie di coalizione che sull’esigenza di formulare proposte programmatiche da proporre per costruire una coalizione di governo. In ritardo? Meglio tardi che mai. Applausi soddisfatti in genere, poi sono iniziati i distinguo. Scontato quello di Casini, irritanti altri.
Goffredo Bettini, dirigente di rilievo fondatore del PD e King maker di Veltroni, in un’intervista al Manifesto ha invitato sia il suo segretario, Bersani, che Vendola a fare un passo indietro. Il ragionamento di Bettini è molto articolato e ricco di spunti intelligenti, ma la sintesi è che se si vogliono vincere le elezioni prossime venture bisogna scegliere un candidato a premier espressione di un mondo diverso da quello di Bersani o Vendola. Di nomi ne fa due: Luca Cordero di Montezemolo e Mario Draghi, Governatore della Banca d’Italia. Il primo ha già  rifiutato molte offerte, quelle di Casini e di Fini ad esempio. Mario Draghi, persona discreta non ha mai espresso intenzioni di scesa nell’agone politico. Come dire, non ne faccio una questione di merito, ma di metodo. Come è possibile che ad ogni iniziativa che tende ad unificare c’è un dirigente del PD che cerca di far saltare il tutto? Non si tratta, naturalmente, di impedire il libero dibattito, ma c’è il tempo della discussione e quello in cui chi non è d’accordo sta zitto nell’interesse di tutti. Ancora non si è capito che senza costruire un minimo di solidarietà  di gruppo dirigente il PD rimarrà  quel prodotto politico approssimativo che non può avere alcuna attrattiva elettorale?
Eppure, Bettini ed altri nella loro eterna carriera politica di sconfitte ne possono elencare diverse. Ultima la scelta di Rutelli a candidato sindaco di Roma. Alemanno ancora ringrazia.
Se saltassero loro un giro e per un poco tacessero non sarebbe elegante e utile alla causa?

Trasparenza e propaganda

Rimane sconfortante il fatto che il ceto politico non riesca a trovare il modo di discutere partendo dalla realtà  dei fatti invece che  dall’ideologia. Cercare il consenso al di là  della verità  dei fatti in un momento di grave discredito della politica non è cosa saggia nè per il centrodestra nè per il centrosinistra.
Ad esempio l’indagine della magistratura perugina su alcuni fatti amministrativi concernenti l’area di Foligno è l’occasione per il centrodestra di ripetere slogan  sul sistema di potere costruito dal centrosinistra nei decenni di governo regionale.
La questione “sistema di potere” è questione molto dibattuta e farebbe un errore il centrosinistra se si ponesse in un atteggiamento di negazione a priori del problema.
Bisogna entrare nel merito con verifiche puntuali su come funziona oggi la macchina pubblica. Pochi hanno ormai dubbi sui limiti e sul deterioramento di un modello amministrativo frutto di una diversa fase dello sviluppo del Paese. Non a caso gli slogan rinnovamento o innovazione, sono usati anche nell’area del centrosinistra. Un’esigenza sollecitata dalla crisi della spesa pubblica, ma non solo. La difficoltà  nel costruire una classe dirigente adeguata alla nuova stagione è sotto gli occhi di tutti. Quel processo che va sotto il nome della feudalizzazione della politica nasce anche da un modello amministrativo divenuto arcaico e che, al di là  della qualità  dei singoli, produce feudatari e vassalli ed esagerando, servi della gleba. Sono venti anni che lo slogan “il nuovo che avanza” è la bandiera dei tanti segretari e leader delle diverse sigle succedute al PCI. E’ passata ormai una generazione, ma di nuovo ne è avanzato pochissimo e il siamo tutti riformisti non sembra abbia realizzato grandi riforme. Così che, la crisi verticale del welfare, trova impreparati, privi di idee e di progetti coloro che dovrebbero costruire una nuova fase di crescita e di sviluppo della nostra comunità . Un diverso modo di rapportare la cosa pubblica al cittadino salvaguardando i risultati raggiunti e modificando quanto di negativo si è prodotto non è cosa facile. L’asprezza della crisi economica non aiuta e forse è arrivato il tempo di cercare di mettere a leva le energie migliori dell’Umbria anche al di là  delle collocazioni politiche o sociali. E’ possibile riprodurre l’esperienza degli anni sessanta quando forze politiche, forze culturali e sociali si confrontarono per progettare l’Umbria futura? Erano quelli anni di aspre divisioni politiche e di durissime lotte sociali. Eppure le classi dirigenti di allora seppero trovare un terreno di ricerca comune nell’interesse generale di far uscire l’Umbria dal sottosviluppo e dal degrado. Si produssero molte idee, si studiò e si analizzò la realtà  senza paraocchi ideologici. L’uscita dall’arretratezza avvenne anche grazie a quelle idee e a quel clima di collaborazione di forze tra loro antagoniste.
C’è qualcuno che può con competenza descrivere come funziona la parte pubblica della nostra Umbria? Eppure la stragrande maggioranza del prodotto interno è frutto della spesa pubblica e un buono o cattivo funzionamento dell’amministrazione produce danni o vantaggi per il singolo cittadino. Utile sarebbe qualche congresso di partito in meno e qualche studio in più.
Analizzare con rigore lo stato reale della macchina amministrativa regionale è una delle priorità  di tutti. Di coloro che sono al governo ma pure delle forze di opposizione. Anche le forze produttive sarebbe interessate a conoscere i vincoli e le possibilità  offerte da riforme intelligenti della burocrazia pubblica. Proposte e suggerimenti di sindacati o associazioni imprenditoriali aiuterebbero. (altro…)

Anatra zoppa

Che fare? Alla crisi del governo di centrodestra non si accompagna alcuna ricomposizione di una coalizione democratica: l’alternativa al governo Berlusconi-Bossi non è ancora maturata e le scorciatoie non sembrano credibili. Perchè? Perchè sono prive di qualsiasi contenuto comprensibile e utile ad invertire la tendenza al degrado democratico. Si continua a discettare di come mettere insieme esangui forze politiche senza mai partire dai problemi materiali del popolo. Casini va bene al PD, ma non a Di Pietro, Veltroni vorrebbe un bell’accordo con Rutelli, ma Rutelli vuole il terzo polo e Veltroni no. Di Pietro accetta l’accordo con i vendoliani, ma Casini odia la sinistra. Una nuova alleanza simil vecchio Ulivo? Mai. Strepita la minoranza del PD. La legge elettorale fa schifo, ma Veltroni odia il proporzionale, preferisce il maggioritario. D’Alema vorrebbe il sistema elettorale alla tedesca, ma gli altri democratici amerebbero il sistema alla francese. Le primarie si fanno, ma nonostante quanto scritto nello statuto voluto da Veltroni, il candidato non dovrà  essere per forza il Bersani.
Si potrebbe andare avanti per pagine e pagine a descrivere le divisioni del fronte anti Cavaliere.
Il problema rimane essenzialmente il permanere di una difficoltà  del Pd nel costruire un punto di aggregazione politica capace di mettere insieme moderati e riformisti. Mentre la sinistra così detta radicale, priva di mezzi, di strumenti di comunicazione e di forze, non riesce ad aggregare i molti movimenti e le molte lotte che un Paese in difficoltà  come il nostro continua a produrre in modo frammentato. Nella sua diaspora pluriennale non ha ancora trovato un punto di caduta per ricominciare un percorso politico che nasca dall’analisi della società  che si vuol cambiare. Permangono le vecchie divisioni. Anche in mondi lontani dalla storia della sinistra si riconosce e si apprezzano le qualità  del presidente della regione Puglie.
Vendola potrebbe costituire un punto di aggregazione su una piattaforma che non parte da antiche identità , ma da un progetto di società  che sia alternativo a quello imposto dai liberisti.
Ad oggi le truppe sparse della sinistra non sembrano in grado di riconoscere questa possibilità .
L’Italia post – Berlusconi è un Paese privo di fiducia che sembra assistere attonito alle comiche finali di un leader che, dopo molti anni di governo, non è riuscito a dimostrare che è possibile governare l’Italia come un’azienda privata. Berlusconi avrà , se lo dice Lui, salvato le banche americane pressando Obama alla Casa Bianca e avrà  impedito una guerra mondiale telefonando a Putin, ma non è riuscito a realizzare alcuna delle riforme promesse sedici anni or sono. Berlusconi è riuscito alla grande a impregnare la società  italiana della sua visione della vita, dei suoi valori e della traduzione all’amatriciana della rivoluzione conservatrice. Parti consistenti del popolo si riconoscono nel berlusconismo come modo di gestire le istituzioni democratiche e di come rendere privato l’interesse pubblico. Un riconoscimento che non si ferma alla destra, ma che ha segnato anche parti significative del centrosinistra e in genere della classe dirigente del Paese. Intellettuali, imprenditori, sindacalisti, giornalisti, funzionari pubblici hanno assunto per convinzione o paura i valori del principe di Arcore. Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti, basta un poco di attenzione a quanto ascoltiamo o leggiamo.
Aldo Schiavone ha scritto su Repubblica: “Nella notte del berlusconismo arranca un Paese in larga parte stremato. Il logoramento dell’Italia è in effetti impressionante. Compromessi quasi tutti i legami che tengono insieme sia le regioni, sia le classi. Degradato quasi ogni spazio pubblico. L’occupazione giovanile ai minimi europei. Eroso fino all’osso quel che resta del lavoro operaio, abbandonato a se stesso senza regole e senza quasi protezione. Nessun nuovo investimento sulle grandi infrastrutture tecnologiche, sulla scuola, sulla ricerca. Mentre i nostri rivali europei dirottano su questi settori risorse enormi”. Basta così per carità  di patria.
Difficile capire quando, ma è certo che anche questa legislatura finirà  presto. La legge elettorale truffaldina ha garantito a Berlusconi una maggioranza enorme. Eppure la crisi del governo è stata evitata perchè nessuno vuole le elezioni adesso. I sondaggi dicono che il partito più forte sarebbe oggi quello delle astensioni. Il PDL sotto il 30% e se pur la Lega guadagnasse qualche punto questo non assicurerebbe alcuna maggioranza berlusconiana.
Berlusconi è diventato un presidente, come dicono gli americani, “lame duck”, un’anatra zoppa. Non basterà  accordarsi con Bossi per imporre al parlamento le sue leggi ad personam. Senza i finiani non ha più una maggioranza. Un vero successo politico della sua campagna monegasca. A primavera saremo chiamati a votare? E’ probabile. Che fare? Per il centrodestra c’è da cominciare a riflettere sul come giustificare il fallimento dell’esperienza di governo, per il centro e per la sinistra si tratta invece di conquistare una credibilità  come forze di cambiamento. Non è soltanto questione di scelte, ma di mettere insieme donne e uomini affidabili e non bruciati dal teatrino della politica di questi anni. Ma le scelte dovranno essere fatte a partire dalle priorità  del Paese. La priorità  è il lavoro che manca. Quando una donna su due non lavora, quando decine e decine di fabbriche chiudono, quando la maggioranza dei nuovi lavori è precaria. Quando il quadro è questo, mettere in moto un processo economico che produca lavoro è obbligatorio se si vuol salvare la democrazia. La politica non vive una bella stagione. Troppe volte appare affare della casta e dannosa per il popolo. Riconquistare la fiducia dei cittadini non sarà  cosa facile,ma sappiamo che senza una buona politica i problemi del Paese non si risolvono. E’ arrivato il tempo di mettere in campo coloro che hanno in testa l’interesse generale e non quello delle consorterie o dei loro feudatari.

Baruffe e barzellette

Molto rumore per nulla? Non direi. Dopo la direzione del Pd di questi giorni gli esperti sostengono che i veltroniani, dopo le reazioni aspre di parti consistenti di iscritti ed elettori del PD, abbiano ridimensionato le loro aspettative accontentandosi delle aperture di Bersani all’esigenza di una discussione per rilanciare il partito. Invece di votare contro, si sono astenuti. Bene. Bravi. Il Paese è loro grato. Coloro che esperti non sono continuano a non capire che cosa significasse l’ennesima discesa in campo di Veltroni. Gli intendimenti dei settantasei parlamentari che hanno firmato un documento che segue altri documenti di altri pezzi del PD, hanno ballato una sola estate? No: essi rappresentano una corrente che si è formata rompendo la corrente di minoranza uscita dall’ultimo congresso che, attraverso le primarie, ha eletto Bersani alla segreteria del PD. Non condivido la tesi che tutto questo è utile per garantire che, con le elezioni alle porte, sia necessario organizzarsi al fine di garantirsi posti nelle liste in nome delle varie sensibilità  del partito. Una cattiveria questa detta da chi non accetta discussioni?
Discutere in genere è buona cosa quando esistono tesi contrapposte rispetto alle esigenze che si vogliono esplicitare. C’è qualcuno che può spiegare almeno a grandi linee quali sono le idee di un partito che dovrebbe rappresentare il fulcro di un’alternativa al berlusconismo? Si dice lavoro al primo posto, ma poi ha ragione Marchionne o la CGIL? E chi lo sa. Un partito non è un’accademia di filosofi che discutono sui destini dell’uomo, ma uno strumento la cui missione è quella di contribuire alla crescita di una società  aiutando le forze sociali e culturali a risolvere i problemi che si presentano. Non si può essere credibili se non si ha la capacità  di scegliere quali interessi rappresentare e contro quali interessi combattere. Non è questione di lotta di classe, quella è già  in atto da tempo, è questione di decidere se la crisi deve continuare ad essere pagata dagli stessi che la pagano da decenni o è tempo che anche coloro che si sono arricchiti in questi decenni contribuiscono, secondo il dettato Costituzionale, al bene dell’Italia.
La politica in Italia sembra essersi ridotta a una sorta di guerra di bande il cui scopo è quello di annichilire il proprio avversario. Sia esso interno al partito o esterno l’importante è rafforzare il proprio potere favorendo i propri clientes. L’esplosione della crisi del centrodestra è sotto gli occhi di tutti e i suoi aspetti grotteschi non fanno che renderla più pericolosa. Un Paese appeso alla lite per il condominio di Montecarlo è un Paese a cui le classi dirigenti prospettano un pessimo futuro. Se anche la presidente della Confindustria è arrivata a concludere, dopo mesi di pensamenti, che l’Italia è messa peggio di tanti altri le prospettive, nonostante il parere del giulivo Ministro Sacconi, non sembrano brillanti. Richiedere che la politica svolga diversamente il proprio compito non sembra essere una forzatura da estremisti e se lo richiede anche la Marcegaglia, qualcosa di vero dovrebbe esserci.
Che con i chiari di luna che attraversiamo, ancora oggi non ci sia il Ministro allo Sviluppo economico è una sorta di barzelletta da non raccontare ai bambini.
Siamo l’unico Paese in Europa che non ha uno straccio di politica industriale e pensare che, superata la crisi finanziaria, si ricomincerà  a produrre come prima gli stessi beni è semplicemente da irresponsabili.
Eppure il ceto politico continua imperterrito a svolgere i suoi riti e baruffa dopo baruffa si accelera il processo di degrado della democrazia e dell’economia italiana.
Con l’autunno arrivano gli aumenti di tutte le tariffe per i servizi pubblici. Cosa scontata visti i tagli di Tremonti ai bilanci delle amministrazioni territoriali. Ciò che scontato non sarebbe dovuto essere è la mancanza di una campagna d’informazione e di mobilitazione dell’opinione pubblica rispetto al degradarsi di tutto ciò che è pubblico. Un amico amministratore sconsolato mi ha raccontato della difficoltà  che incontra nel cercare di spiegare alla gente lo stato della finanza comunale e dell’esigenza di aumentare le tariffe pur tagliando servizi.
La reazione più diffusa è quella contro la “casta”. Il siete tutti uguali è l’affermazione più diffusa. Assieme alla richiesta di colpire gli sprechi nella pubblica amministrazione, c’è un astio e un rancore che non nasce dal qualunquismo sparso a piene mani da tanti. La delusione è dovuta principalmente dal fatto che anche nel centrosinistra è prevalsa per anni la tesi che il privatizzare era bello e la gestione pubblica di per sè faceva schifo. Invece di scommettere sulla riqualificazione della spesa e sull’innovazione del rapporto tra cittadino e amministratore, si è ottusamente seguita l’ideologia liberista del ridimensionamento della presenza pubblica anche nella gestione di beni che non possono che essere collettivi. Quanto patrimonio si è venduto in questi anni per far quadrare i bilanci? Sarebbe da sciocchi non considerare utile vendere strutture che non hanno alcun interesse generale, ma quando di tratta di società  che gestiscono pezzi di città  o beni come l’acqua, la cosa assume altro significato. Amministrare oggi un Comune o una Regione è molto difficile. Lo si può far meglio se si riesce a recuperare un rapporto di fiducia con la popolazione sulla base di concrete svolte nel modo di comunicare le difficoltà  ma anche le possibilità  di salvaguardare il ruolo dei servizi al cittadino assieme a stimoli che combattono la pesante crisi economica dell’Umbria. Non sono un esperto, ma quanto sarebbe apprezzato da artigiani o altri fornitori se i pagamenti del settore pubblico fossero accelerati? Non ne trarrebbe beneficio l’economia complessiva?
Per fortuna che Berlusconi c’è. Un’altra bella notizia, proprio ieri ci ha promesso che il disegno di legge contro le intercettazioni riprenderà  il suo iter legislativo. Allegria, siamo tutti salvi.

Tutti a casa

Doveva nascere un Movimento con la maiuscola, poi viste le reazioni, si è preferito la minuscola per connotare il documento che certifica la ridiscesa in campo di Walter Veltroni.
Lungi da me ogni tentativo di criminalizzare una minoranza politica. Arcaico come sono ritengo ancora che il dissenso come il dubbio siano il sale della democrazia. Il problema si pone quando si vuol vendere panna irrancidita per panna fresca. Le perplessità  nascono quando si continua a ragionare senza alcun bilancio di quello che una linea politica ha prodotto nel concreto operare di una formazione politica nata per cambiare il mondo conosciuto. Rilanciare lo spirito maggioritario della fondazione del PD, lo spirito del Lingotto si dice, prescinde completamente da un’analisi dello stato della democrazia italiana, oggi in questa fine estate. Non tiene conto del fatto che i due partiti maggiori (PD e PDL) in due anni, secondo i sondaggi citati da Veltroni, passano dal 70% dei voti ottenuti nelle elezioni del 2008, al 55% di oggi. Veltroni sostiene che Lui segretario il PD raggiunse quasi il 34% ed oggi Bersani otterrebbe il 25%. Forse sarebbe utile ricordare che quel quasi 34% contiene la cannibalizzazione di tutte le forze di sinistra che, grazie al corriamo da soli del PD veltroniano, non sono più rappresentate. Si potrebbe sostenere con qualche ragione che non è un dramma se Pecoraro Scanio o Diliberto non siano stati eletti, ma la questione è che nessuno rappresenta più, nella massima assemblea elettiva forze, culture e sensibilità  che sono state importanti nella democrazia italiana. L’aumento esponenziale dell’astensione al voto dimostra che non esiste più il voto utile o il cemento dell’antiberlusconismo che porta voti al partito più grande. Il turarsi il naso e votare non vanno più di moda. Nel documento dei 75 veltroniani non si considera per nulla l’evidente crisi del bipolarismo maggioritario all’italiana. Unica bibbia del centrosinistra come del centrodestra il maggioritario plebiscitario sta facendo acqua da tutte le parti, sia a destra che nel centrosinistra. Forse non è garbato chiedere un’analisi critica di come per quasi venti anni le forze del centrosinistra hanno operato per riformare il sistema politico. Ma in mancanza di qualsiasi capacità  di analisi di coloro che ci chiedono il voto, sollecitare una riflessione sull’accaduto sembrerebbe il minimo.
Il berlusconismo non è una maledizione divina. E’ il risultato delle scelte o delle non scelte delle forze politiche in campo a destra ma anche nel centrosinistra. Forze che si sono fatte trascinare dai miti della seconda repubblica. Liberismo, giustizialismo, plebiscitarismo. La governabilità  a discapito di ogni valore di rappresentanza politica o sociale non è il frutto marcio della destra, ma il risultato dell’ideologia dominante anche nel centrosinistra. La grande riforma coma panacea del Paese è il filo nero che, partendo dal craxismo, arriva a Berlusconi, trascinando anche pezzi decisivi del centro-sinistra. Il Parlamento è stato svuotato di ogni potere per volontà  del Capo, ma tutte le assemblee, dei comuni, delle province e delle regioni hanno perso ogni possibilità  di svolgere un ruolo dopo che leggi del centrosinistra hanno consegnato tutto il potere al presidente o al sindaco eletto dal popolo.
Che dire poi delle leggi elettorali vigenti anche in regioni governate dal centrosinistra? Lasciamo perdere. Sarà  anche in difficoltà  il cavaliere, ma i competitor non sembrano in grande forma. Perchè continua a dominare la scena il cavaliere di Arcore? Dopo l’incapacità  di governo dimostrata dalla destra ci sarebbe di che fare per le forze di opposizione. Un Paese allo sbando ha bisogno di idee e di valori che rimettano a leva le energie migliori. Invece il maggior partito di opposizione rischia l’implosione. Ricomincia con gli stessi partecipanti l’eterno gioco dell’oca. Un pregevole intellettuale, Michele Ainis, ha scritto un bel pezzo sulla Stampa di Torino intitolato “La repubblica degli ex”. Ricorda le giravolte, i cambi di casacca e di ruoli dei diversi protagonisti della vicenda politica italiana degli ultimi decenni. L’articolo avrebbe bisogno di un’integrazione che a me viene spontanea. Nel gennaio del 2000 si svolse il congresso dei DS, Segretario Walter Veltroni. Lo slogan congressuale era “I care”. Fu considerato un omaggio alla democrazia americana dei kennediani italiani. Finalmente dopo la lunga storia segnata dalle elaborazioni gramsciane, si poteva anche a sinistra entusiasmarsi per l’America. Per chi conosce la democrazia che ha prodotto Obama, ma anche Reagan, la scelta del congresso diessino suscitò qualche perplessità . Non per settarismo ma perchè era evidente la mistificazione. L’inganno consiste nel fatto che se si vuol fare come in America bisogna avere una certa coerenza altrimenti si rischia la truffa ideologica. Nel mondo anglosassone vige una regola non scritta. La regola prevede che un leader sconfitto o che ha terminato un mandato di governo, cessi di essere protagonista della vita politica. Le ridiscese in campo non esistono. Margaret Thatcher è stata la principale protagonista della rivoluzione conservatrice degli anni ’70 e ’80. Ha governato la Gran Bretagna per 18 anni poi, per decisione del partito, fu sostituita da Major.
La signora lasciò con auto privata Downing Street e si ritirò a vita privata. In questi anni non un qualsiasi tentativo di intervenire nella vita politica. Nessuno sentirà  più parlare di Gordon Brown come dirigente politico. Tony Blair dominatore del New-Labour, nelle scorse settimane ha detto di non escludere un suo rientro in politica: è stato sommerso da urla così diffuse nel Paese che sembra abbia cambiato idea. L’avversione è stata così palese e rumorosa che Tony ha scelto di non presentare più il suo libro di memorie. Insomma chi perde va a casa e cambia mestiere. In Italia invece si preferisce il gioco dell’oca. Si cambiano caselle, non si fa mai un bilancio del lavoro svolto, e si aspetta di ridiscendere in campo. Dopo aver impedito ai giovani di crescere come dirigenti politici, i nostri dicono che non possono mettersi da parte. Mancano le forze giovani. Giocano loro, lo fanno per generosità .