da Francesco Mandarini | Giu 6, 2006
Le ultime elezioni amministrative hanno reso ancora più evidente
la marginalità dei partiti politici rispetto alla vita dei
cittadini. Un esame attento dei risultati dimostra che la
personalizzazione della politica rende quasi superflua la politica
organizzata. Vincono o perdono i candidati a sindaco al di là
delle forze politiche che li esprimono. Lo straordinario successo
di Veltroni o di Chiamparino è dovuto essenzialmente alle qualità
amministrative dei due sindaci piuttosto che alla forza della
coalizione che li ha espressi. Dall’elezioni politiche sono
trascorse poche settimane e questa volta l’effetto Berlusconi non
c’è stato. Il centrodestra ha confermato una debolezza strutturale
nel suo insediamento territoriale e può consolarsi con la
riconquista di Milano. Che non è poco. Conferma lo scarso appeal
dell’Unione in una città molto importante per la vita economica e
politica del Paese come è la capitale lombarda.
La partita elettorale non si è giocata in televisione, ma nelle
piazze italiane e forse l’Unione dovrebbe trarne una lezione. Meno
TV e più partecipazione popolare sarebbe scelta saggia. Spiace
sentire Bertinotti affermare che se non si è in televisione non si
esiste politicamente. Al riguardo, ci vorrebbe più prudenza. I
rapporti con il popolo sono anche gestibili direttamente senza
passare da Bruno Vespa e anche il voto amministrativo lo dimostra.
In ogni caso si è trattato di un risultato elettorale che deve far
riflettere.
Prendiamo le elezioni in Umbria. A Città di Castello e a Gubbio
andranno al ballottaggio candidati sindaco soltanto dell’Unione,
la destra conferma la sua forza ad Assisi, perde l’amministrazione
di Nocera e scompare negli altri comuni dove si è votato
nonostante che alle politiche del 9 aprile avesse ottenuto quasi
il 44% dei voti. La tradizionale forza elettorale e organizzativa
dei DS, non è bastata a far eleggere al primo turno il sindaco a
Città di Castello e a Gubbio. Goracci, sindaco di Rifondazione,
ottiene quasi la maggioranza a Gubbio nonostante che il partito
guidato da Bracco è elettoralmente più forte. Perchè? Anche
scontando la mediocre gestione politica di tutta la vicenda, il
dato che emerge è uno solo:la qualità e gli interessi del
candidato prevalgono su ogni altro valore. E’ un bene o no? Una
lettura semplificata porta a concludere che è un bene che si
stabilisca un legame diretto cittadino-amministratore senza
mediazioni partitiche, ma ciò ha delle conseguenze dirompenti per
i partiti. Certo ormai un partito politico è nella sostanza il
“partito degli eletti”. Chi non è un amministratore o un deputato
ha poche chance di avere un ruolo politico. La politica esaurisce
il suo compito nell’amministrare un esistente deciso in altri
luoghi, rispetto alle istituzioni e da altri poteri lontani dai
partiti.
Non conosco bene le differenze programmatiche dei candidati
sindaco del centrosinistra nè quelle del centrodestra. Si è
discusso poco di programmi o di priorità da realizzare.
Non si è capito bene su cosa si siano divisi Ciliberti e Cecchini
a Città di Castello o Goracci e Barboni a Gubbio. Non sono tutti
unionisti? Non sono al governo in Provincia, Regione e a Roma?
Hanno prevalso logiche di schieramento che divengono allucinanti
visto che, tutti i partiti di centro-sinistra, sono insieme
nell’Ulivo e tra i DS e la Margherita si dovrebbe procedere in
tempi non biblici ad una fusione verso il partito democratico.
In una intervista, la presidente della nostra regione parla
dell’esigenza di andare alla costruzione del partito democratico
anche in Umbria. “Non è un mio sogno, di sicuro, anche se sono
convinta che bisogna farlo”. Dice la presidente. E si capisce
quanto sia difficile pensare come ad un sogno un partito che ad
oggi rischia di non essere nè carne nè pesce. Un partito per
formarsi ha bisogno di avere un orizzonte, un progetto che
travalica la gestione quotidiana degli affari correnti.
Scomparso quello del socialismo bisognerebbe immaginarsene un
altro e capire intanto a cosa serve il nuovo partito, a quali
interessi e valori corrisponde e quali sono le idee di società su
cui mettere d’accordo Rutelli e Mussi. Chi la costruirà questa
nuova organizzazione politica? Partire dagli amministratori e
dalle realtà locali dicono in molti. Giusto, ma non basterebbe.
Come non rendersi conto che ciò che va ricostruito è un rapporto
tra la politica e la vita della gente? I vecchi partiti di massa
rappresentavano nel bene e nel male anche una comunità . Si
articolavano in strutture di base e in organizzazioni di massa che
coprivano spesso anche il tempo libero dei militanti. Essere
iscritto alla democrazia cristiana o al partito socialista,
significava acquisire un’identità , un senso di appartenenza che
condizionava comportamenti e valori. Quelle strutture non sono più
riproducibili? Certamente no, ma il vuoto che esse hanno lasciato
deve essere riempito immaginando una nuova fase della democrazia
italiana che, ormai è evidente, non gode di buonissima salute.
Una prima occasione di riflessione potrebbe essere quella offerta
della campagna referendaria per l’abolizione della controriforma
costituzionale votata dal centrodestra. Al momento il leader
politico più impegnato è il senatore a vita Oscar Luigi Scalfaro.
Persona degnissima, di grande tempra politica ma che forse ha
bisogno di qualche sostegno da parte dei leader unionisti.
Sistemati ministri, vice-ministri e sottosegretari, i capi della
coalizione al governo potrebbero fare un piccolo sforzo di
mobilitazione? Non si vince un posto da sindaco o da deputato nè è
in discussione la collocazione di questo o di quello. Questa volta
si tratterebbe di una vittoria che riguarda tutti i democratici.
Salvaguardare la Carta Costituzionale del ’48 forse vale più di un
posto al sole.
Corriere dell’Umbria 4 giugno 2006
da Francesco Mandarini | Giu 6, 2006
Le ultime elezioni amministrative hanno reso ancora più evidente
la marginalità dei partiti politici rispetto alla vita dei
cittadini. Un esame attento dei risultati dimostra che la
personalizzazione della politica rende quasi superflua la politica
organizzata. Vincono o perdono i candidati a sindaco al di lÃ
delle forze politiche che li esprimono. Lo straordinario successo
di Veltroni o di Chiamparino è dovuto essenzialmente alle qualitÃ
amministrative dei due sindaci piuttosto che alla forza della
coalizione che li ha espressi. Dall’elezioni politiche sono
trascorse poche settimane e questa volta l’effetto Berlusconi non
c’è stato. Il centrodestra ha confermato una debolezza strutturale
nel suo insediamento territoriale e può consolarsi con la
riconquista di Milano. Che non è poco. Conferma lo scarso appeal
dell’Unione in una città molto importante per la vita economica e
politica del Paese come è la capitale lombarda.
La partita elettorale non si è giocata in televisione, ma nelle
piazze italiane e forse l’Unione dovrebbe trarne una lezione. Meno
TV e più partecipazione popolare sarebbe scelta saggia. Spiace
sentire Bertinotti affermare che se non si è in televisione non si
esiste politicamente. Al riguardo, ci vorrebbe più prudenza. I
rapporti con il popolo sono anche gestibili direttamente senza
passare da Bruno Vespa e anche il voto amministrativo lo dimostra.
In ogni caso si è trattato di un risultato elettorale che deve far
riflettere.
Prendiamo le elezioni in Umbria. A Città di Castello e a Gubbio
andranno al ballottaggio candidati sindaco soltanto dell’Unione,
la destra conferma la sua forza ad Assisi, perde l’amministrazione
di Nocera e scompare negli altri comuni dove si è votato
nonostante che alle politiche del 9 aprile avesse ottenuto quasi
il 44% dei voti. La tradizionale forza elettorale e organizzativa
dei DS, non è bastata a far eleggere al primo turno il sindaco a
Città di Castello e a Gubbio. Goracci, sindaco di Rifondazione,
ottiene quasi la maggioranza a Gubbio nonostante che il partito
guidato da Bracco è elettoralmente più forte. Perché? Anche
scontando la mediocre gestione politica di tutta la vicenda, il
dato che emerge è uno solo:la qualità e gli interessi del
candidato prevalgono su ogni altro valore. E’ un bene o no? Una
lettura semplificata porta a concludere che è un bene che si
stabilisca un legame diretto cittadino-amministratore senza
mediazioni partitiche, ma ciò ha delle conseguenze dirompenti per
i partiti. Certo ormai un partito politico è nella sostanza il
“partito degli elettiâ€. Chi non è un amministratore o un deputato
ha poche chance di avere un ruolo politico. La politica esaurisce
il suo compito nell’amministrare un esistente deciso in altri
luoghi, rispetto alle istituzioni e da altri poteri lontani dai
partiti.
Non conosco bene le differenze programmatiche dei candidati
sindaco del centrosinistra né quelle del centrodestra. Si è
discusso poco di programmi o di priorità da realizzare.
Non si è capito bene su cosa si siano divisi Ciliberti e Cecchini
a Città di Castello o Goracci e Barboni a Gubbio. Non sono tutti
unionisti? Non sono al governo in Provincia, Regione e a Roma?
Hanno prevalso logiche di schieramento che divengono allucinanti
visto che, tutti i partiti di centro-sinistra, sono insieme
nell’Ulivo e tra i DS e la Margherita si dovrebbe procedere in
tempi non biblici ad una fusione verso il partito democratico.
In una intervista, la presidente della nostra regione parla
dell’esigenza di andare alla costruzione del partito democratico
anche in Umbria. “Non è un mio sogno, di sicuro, anche se sono
convinta che bisogna farloâ€. Dice la presidente. E si capisce
quanto sia difficile pensare come ad un sogno un partito che ad
oggi rischia di non essere né carne né pesce. Un partito per
formarsi ha bisogno di avere un orizzonte, un progetto che
travalica la gestione quotidiana degli affari correnti.
Scomparso quello del socialismo bisognerebbe immaginarsene un
altro e capire intanto a cosa serve il nuovo partito, a quali
interessi e valori corrisponde e quali sono le idee di società su
cui mettere d’accordo Rutelli e Mussi. Chi la costruirà questa
nuova organizzazione politica? Partire dagli amministratori e
dalle realtà locali dicono in molti. Giusto, ma non basterebbe.
Come non rendersi conto che ciò che va ricostruito è un rapporto
tra la politica e la vita della gente? I vecchi partiti di massa
rappresentavano nel bene e nel male anche una comunità . Si
articolavano in strutture di base e in organizzazioni di massa che
coprivano spesso anche il tempo libero dei militanti. Essere
iscritto alla democrazia cristiana o al partito socialista,
significava acquisire un’identità , un senso di appartenenza che
condizionava comportamenti e valori. Quelle strutture non sono più
riproducibili? Certamente no, ma il vuoto che esse hanno lasciato
deve essere riempito immaginando una nuova fase della democrazia
italiana che, ormai è evidente, non gode di buonissima salute.
Una prima occasione di riflessione potrebbe essere quella offerta
della campagna referendaria per l’abolizione della controriforma
costituzionale votata dal centrodestra. Al momento il leader
politico più impegnato è il senatore a vita Oscar Luigi Scalfaro.
Persona degnissima, di grande tempra politica ma che forse ha
bisogno di qualche sostegno da parte dei leader unionisti.
Sistemati ministri, vice-ministri e sottosegretari, i capi della
coalizione al governo potrebbero fare un piccolo sforzo di
mobilitazione? Non si vince un posto da sindaco o da deputato né è
in discussione la collocazione di questo o di quello. Questa volta
si tratterebbe di una vittoria che riguarda tutti i democratici.
Salvaguardare la Carta Costituzionale del ’48 forse vale più di un
posto al sole.
Corriere dell’Umbria 4 giugno 2006
da Francesco Mandarini | Mag 28, 2006
L’accoglienza è stata definita tiepida e gli applausi di pura
cortesia. Eppure il governo Prodi era andato con le migliori
intenzioni: diciotto ministri, un esercito di sottosegretari
presenti in aula. Questa dimostrazione trasbordante di attenzione
non è bastata ad ottenere fiducia all’assemblea annuale della
confindustria. Perchè? La nostalgia di Berlusconi premier? E’
possibile. Ma ad una analisi più attenta si può ritenere che la
manifestazione confindustriale sia stata l’ultima dimostrazione
della volontà dell’economia di rendere ancora più subalterna la
politica. Che si vuol dire? Che l’Italia non se la passi bene è
evidente a tutti. Non è chiaro di chi sono le responsabilità . Lo
scaricabarile è uno sport molto amato nel nostro bel Paese. Tutti
della politica i ritardi e le insufficienze? Sembrerebbe strano.
Qualche contributo al disastro, certificato dall’ultimo rapporto
ISTAT e dai giudizi delle agenzie di rating, lo hanno dato anche
le forze sociali della nazione. Non è così?
Pur con i vincoli di una legislazione che non favorisce lo
sviluppo, c’è da chiedersi se la classe dirigente imprenditoriale
ha svolto in questi anni il ruolo che ad essa compete per lo
sviluppo del Paese. Porsi questo quesito è legittimo. Ed è giusto
anche valutare se Montezemolo e gli industriali del Nord-Est
possono imporre la loro visione delle cose a chi è chiamato a
governare l’Italia nell’interesse di tutti e non solo di una parte
pur importante. Non è da tutti accettato quale unico valore di una
società il primato del profitto d’impresa. Non è legge divina la
pretesa di chiedere il libero mercato e le privatizzazioni
all’italiana per poi pretendere il sostegno dell’intervento
pubblico a favore delle imprese. Il regime fiscale vigente non
favorisce affatto gli investimenti produttivi e non premia nè il
lavoro nè l’imprenditoria più dinamica. E’ vero e bisogna
intervenire per risolvere il problema. La proposta di Prodi di
ridurre le tasse sul lavoro a vantaggio di lavoratori e imprese è
una proposta su cui impegnare governo e forze della produzione.
Non basta? Probabilmente no, certamente c’è anche da approfondire
il perchè si è consolidata negli anni una scarsa capacità di
innovazione del “sistema Italia” per ciò che concerne la presenza
nei mercati esteri. Tutta colpa della pessima politica di questi
anni? Non è così, ma se così fosse bisognerebbe ricordare la
passione dell’ex presidente della confindustria, D’Amato, per il
nascente governo del centrodestra guidato dall’industriale
Berlusconi. Il governo “amico” non ha aiutato l’industria a
crescere, ma il problema è più complesso dei limiti di Berlusconi.
Che la Confindustria non abbia voluto fare un bilancio veritiero
dell’esperienza governativa di Berlusconi non aiuta a comprendere
le cose da fare per uscire dal declino nè paiono convincenti le
richieste di tagli alla spesa pubblica. Dove tagliare? I servizi
al cittadino sono già scadenti. Sanità e pensioni già
ridimensionati. La scarsità delle risorse investite in ricerca ed
innovazione di prodotto è uno dei motivi della crisi del made in
Italy. Lo dicono tutti, ma nessuno ha fatto nulla per risolvere il
2
problema. L’insufficienza egli investimenti nel futuro va
aggiunta alla storica debolezza delle grandi infrastrutture e dei
servizi all’impresa a cominciare dal sistema creditizio. Da questo
punto di vista nessuno può dare lezioni. Tutti hanno rinviato i
problemi. E’ tempo che ognuno faccia il proprio mestiere al meglio
e possibilmente guardando all’interesse generale.
Da questo punto di vista è impressionate il torrente di
dichiarazioni dei nuovi nostri governanti. Come “Allegre comari di
Windsor”, ministri, vice ministri, sottosegretari, presidenti di
gruppi, segretari dell’Unione, ci hanno sommerso di dichiarazioni
su tutto e di tutto di più. Pagine e pagine di giornali piene di
chiacchiere inutili. La marmellata della politica in televisione
non è cessata dopo le elezioni. Come se niente fosse alcuni leader
hanno ripreso il loro ruolo di attori televisivi. Stesse battute,
stessi tic, stesse ovvietà . Solo Prodi ha detto un bel No al
padrone di Porta a Porta. La confusione era tanta che Prodi è
dovuto intervenire per richiamare all’ordine la sua armata di
esternatori del nulla.
Per natura non sono per “un solo uomo al comando”, una coalizione
rappresenta interessi e sensibilità diverse che non possono che
essere rappresentate. Possibilmente con misura, serietà e
intelligenza. Il problema è banale: in giro per l’Italia c’è un
signore, Berlusconi, che continua nella sua campagna di
delegittimazione del governo Prodi. Non riconosce la sconfitta e
si ritiene truffato. Lui. L’esigenza per tutti dovrebbe essere
quella di mettere all’opera una compagine di governo che dia il
senso di una svolta profonda rispetto ai comportamenti dei
berluscones. Se Berlusconi minaccia una nuova “marcia su Roma”, la
saggia risposta è dimostrare al Paese una capacità di concrete
scelte coraggiose e radicali che diano fiducia alla gente. Il
centrosinistra non può aver timore se le piazze si riempiono di
cittadini. La democrazia per la cultura della sinistra è anche
l’agorà . Il limite della classe dirigente politica è stato ed è
proprio quello di marginalizzare il tema della democrazia di
massa. Ad un mese dal referendum confermativo sulla “riforma” che
distrugge la Costituzione i grandi leader dell’Unione non sembra
abbiano alcuna intenzione di mobilitare la gente in difesa della
Carta costituzionale. Se i Sì vincessero il referendum il governo
dell’Ulivo farebbe finta di niente? Il disegno destabilizzante del
cavaliere si compirebbe e qualche problema per la democrazia
italiana ci sarebbe. Pensarci in tempo sarebbe utile.
Corriere dell’Umbria 28 maggio 2006
da Francesco Mandarini | Mag 21, 2006
Non c’è verso. L’idea di qualche dirigente del centrosinistra era
quella che, passate le elezioni, nominati i vertici del Parlamento,
eletto il Presidente della Repubblica, nel centrodestra ci si
mettesse l’anima in pace e si cominciasse a comportare come è
ovvio in ogni democrazia. Chi perde le elezioni si oppone al
governo ma, nell’interesse del Paese, si evitano atteggiamenti
dannosi per le istituzioni. Quello che è successo in Senato
durante il voto di fiducia al governo Prodi, è inconcepibile.
Parte della destra ha fischiato ed aggredito verbalmente i
senatori a vita che, nella loro autonomia, hanno scelto di votare
positivamente per il governo. Sono stati ingiuriati Ciampi,
Scalfaro, Cossiga, Pininfarina, Colombo. Andreotti è stato
definito dalla destra un traditore. Berlusconi, da par suo, ha
definito immorale la scelta dei senatori a vita di partecipare,
nel rispetto del dettato costituzionale, al voto del Senato.
Sentir parlare di moralità dal Cavalier Berlusconi qualche brivido
lo provoca. Come produce qualche perplessità il tentativo di
pacificazione di Chiti e D’Alema con la proposta di assegnare al
centrodestra commissioni importanti nel Parlamento. Non è che sia
sbagliato cercare di svelenire il clima politico offrendo agli
sconfitti la possibilità di partecipare positivamente alla vita
politica. Ricordiamo come fù discussa l’amnistia ai fascisti
promossa dal Ministro Palmiro Togliatti subito dopo la guerra di
liberazione. Gli storici la giudicano una scelta opportuna e
comunque coraggiosa. Un Paese che esce da una guerra civile ha
bisogno di atti di magnanimità , ma una parte del popolo non
apprezzò la scelta. Le differenze con allora sono enormi: tra le
altre i fascisti non potevano che riconoscersi sconfitti. I
berluscones, invece, pensano di aver vinto loro le elezioni e non
sembrano intenzionati a nessun patto di civile confronto politico.
Meglio mettere al lavoro, finalmente, un governo capace di dare
soluzione ai gravi problemi della nostra Italia. Senza settarismi
e senza vendette, ma con la determinazione di cambiare
profondamente lo stato di cose esistente. Bisogna guardare i
problemi per quelli che sono. Se è certo che Berlusconi ha perso
le elezioni è anche vero che il berlusconismo ha impregnato nel
profondo la società italiana ed è certo anche che la nostra
democrazia vive ancora una pessima stagione. E’ urgente il bisogno
di scelte radicali. Serietà , sobrietà , severità , sono gli
atteggiamenti che si attendono i cittadini italiani dopo anni di
un pessimo spettacolo politico che ha visto protagonisti assieme a
Tremonti e company, anche “attori” di centrosinistra. La vittoria
risicata dell’Ulivo non può far dimenticare la sgradevolezza che
provoca una politica fatta di carriere e di ambizioni personali.
La situazione è tale da richiedere un salto di qualità enorme.
Per la classe dirigente del centrosinistra la partita è decisiva.
Per i vari Fassino, Mastella, Rutelli, Bertinotti e via, via
elencando non ci sarà altra occasione: o saranno capaci di far
uscire il Paese dal declino o dovranno andare politicamente in
pensione. Non sarà facile. Il rapporto della gente comune con la
politica non è ottimo. L’ideologia dominante è quella
dell’inutilità della politica. Bisogna prenderne atto e lavorare
per dare un senso al lavoro, difficile, del fare politica.
Anche da questo punto di vista è apprezzabile lo sforzo del
Presidente Prodi nel rivendicare l’esigenza di riscoprire
nell’etica un valore irrinunciabile nell’agire politico.
Tutti, ad ogni livello istituzionale, dovranno imprimere una
svolta nel proprio lavoro. E’ molto utile, da questo punto vista,
la scelta della giunta regionale dell’Umbria di iniziare
formalmente il percorso di riforma delle strutture amministrative
regionali e sub-regionali. Quale deve essere l’obbiettivo
principale dell’impegno riformatore? Semplificare il funzionamento
della struttura pubblica attraverso l’innovazione e rendere più
trasparente il rapporto con la cittadinanza. La stratificazione di
enti e di strutture pubbliche è arrivata al livello di guardia dal
punto anche di vista dei costi. Sulla riforma endoregionale è
importante costruire il consenso delle forze produttive e
culturali, ma è più essenziale lavorare per la “defeudalizzazione”
della classe dirigente politica e non solo. Se ci sarà qualche
presidenza in meno non sarà una tragedia. Le masse apprezzerebbero.
I meccanismi elettorali hanno enfatizzato il rapporto dei
dirigenti politici con il loro territorio frantumando una visione
regionale dei problemi. Si è sviluppata una corsa ad accaparrare
per questo o quel territorio una competenza, un ente, un punto di
potere e di spesa pubblica smarrendo qualsiasi sensibilità per
l’interesse generale. La liquefazione dei partiti di massa ha
comportato la scomparsa di qualsiasi sede di discussione dei
problemi. Lo svuotamento delle assemblee elettive rende
problematica la rappresentanza degli interessi legittimi delle
forze sociali favorendo la frantumazione territoriale. Intere
classi dirigenti politiche si vanno formando con una sensibilità e
con ambizioni tutte riconducibili al proprio destino. Anche i
migliori quadri devono adeguarsi a questa lotta per la carriera.
E la cosa non va affatto bene. E’ tempo che i capitani di lungo
corso della politica comincino a lavorare per un forte processo di
rinnovamento. Per fortuna il miracolo Berlusconi è in declino e
nessuno voterà soltanto per impedire che vinca l’Uomo di Arcore. I
voti bisognerà conquistarseli con una buona amministrazione e con
una buona politica.
Corriere dell’Umbria 21 maggio 2006
da Francesco Mandarini | Mag 14, 2006
Poteva essere una catastrofe. L’intervista di Piero Fassino al
giornale del suo amico dell’infanzia politica torinese, Giuliano
Ferrara, era di tale gravità da lasciare aperto qualsiasi scenario
per l’elezione del Presidente della Repubblica. Nella sua
creatività il segretario diessino sollecitava un voto favorevole
della destra sulla base di quattro punti programmatici che il
candidato D’Alema avrebbe dichiarato. Una follia istituzionale a
sentire costituzionalisti di fama o il senatore Scalfaro.
Anche uno studente del primo anno di giurisprudenza sa che il
presidente della repubblica non ha nè può avere un programma, ma
deve rispettare soltanto il vincolo del dettato costituzionale.
L’invenzione fassiniana, per fortuna, è durata lo spazio di un
mattino. Resta inevasa la domanda del perchè di questa caduta
politica. Si può ipotizzare che si sia trattato di un errore
commesso per ingenuità ? La cosa non ha più rilevanza. Saggiamente
D’Alema ha cercato di non bruciarsi ulteriormente e ha lavorato
per candidare Napolitano. Bene, anzi molto bene. L’eletto
presidente della repubblica è persona apprezzabile per molti
aspetti. Ad esempio è un ex comunista che pur riconoscendo gli
errori compiuti dal PCI, non ha abiurato, non è un pentito della
sua storia. Vi paresse poco in una stagione in cui dominano i
tanti convertiti sulla via di Damasco. Soltanto la cecità politica
dei berluscones ha impedito che il Presidente fosse eletto a più
larga maggioranza. Il carattere, la qualità istituzionale di
Napolitano rassicurano sulla sua capacità di essere al di sopra
dei settarismi di parte. Berlusconi non lo ha capito, ma ci vuole
pazienza. Con il tempo capirà di aver perso le elezioni e la
storiella dei brogli potrà continuare a raccontarla soltanto a
Bondi e Cicchitto. Presidente della Repubblica soltanto della
maggioranza? La cosa non mi appassiona più di tanto ed è anzi la
conferma che il centrosinistra, se vuol governare nell’interesse
del Paese, deve avere una sua linea politica aperta al contributo
di tutti, ma ferma nei suoi punti essenziali.
Adesso si tratta di formare il governo. Sembra tutto fatto. Il
popolo è in ansia di sapere se il grande Rutelli sarà oltre che
ministro anche vice-presidente. Forse Prodi dovrebbe esercitare la
funzione che la Costituzione gli affida. E’ il capo del governo
che sceglie i ministri: non c’è logica politica che imponga una
vice presidenza rutelliana. Si tratta soltanto di ambizione
personale. D’Alema ha fatto passi indietro importanti. Fassino,
bontà sua, ne ha fatto un altro. Potrebbe per una volta farne uno
l’ex-radicale? Non è che abbia un curriculum di così travolgenti
successi politici da richiedere particolari medaglie. Lo stesso
ultimo risultato elettorale non appare come un torrente di voti
per la Margherita. Non è tempo che i vari oligarchi cessino di
preoccuparsi delle proprie posizioni di potere?
Prodi se ci sei batti un colpo, è tempo.
E qualche colpo dovrebbero battere anche i dirigenti dell’Unione
in Umbria. Le cose non vanno benissimo nelle istituzioni locali.
Gli scadenti risultati elettorali ne sono un segno. La crisi del
sistema pubblico è nelle cose. Meno risorse e meno capacità
progettuale. L’impressione è quella di enti che negli anni hanno
visto il crescere delle spese per il proprio mantenimento rispetto
a quelle per gli investimenti. La diminuzione delle risorse
comunitarie renderà problematica qualsiasi azione d’innovazione.
Gli ottimi rapporti, consolidati attraverso i molti viaggi
all’estero dei nostri amministratori, con le grandi finanziarie
giapponesi, americane, sudamericane e svizzere, non hanno portato
grandi risorse in Umbria. Dove trovare i mezzi per affrontare le
problematiche dell’Umbria? Forse cominciando a risparmiare nella
spesa corrente.
Sembrerebbe obbligatoria una marcia indietro rispetto al processo
di “entificazione” dei problemi che abbiamo vissuto per decenni.
Quanti enti, aziende, strutture vivono attraverso i contributi
pubblici? Non esistono ricerche al riguardo. La stagione della
“regione leggera” ha prodotto qualcosa, magari dei frutti OGM?
Nemmeno quelli.
Si parla, ormai da anni, di riformare gli apparati pubblici verso
una semplificazione istituzionale capace di produrre maggior
efficacia, maggior trasparenza e minori costi di gestione.
Le proposte sono tante: terza provincia, quattro circondari ecc.
ecc.. Processo non facile. Interessi legittimi dei vari territori
si intrecciano con localismi inammissibili e con egoismi
personali. Quello che si avverte con nettezza è l’esigenza di
costruire una proposta che prescinde dall’interesse immediato del
ceto politico. Abbiamo a che fare con una classe dirigente che
vive un eterno presente senza radici che ha in testa come unica
cosa futura interessante la prospettiva personale. Esangui i
partiti politici, rimangono le lobbies, le famigliole e i clientes
del territorio. Ognuno si fa il programma per il prossimo incarico
senza che ci sia luogo dove si progetti l’interesse complessivo di
un partito, di un movimento, di una coalizione. Che in una
situazione come questa ci si illude di aggregare le forze
riformiste in un unico partito, dimostra che, nei nostri eroi,
all’ottimismo della volontà si è sostituito l’ottimismo
dell’intelligenza. E non è buona cosa.
Corriere dell’Umbria 14 maggio 2006
da Francesco Mandarini | Mag 14, 2006
Poteva essere una catastrofe. L’intervista di Piero Fassino al
giornale del suo amico dell’infanzia politica torinese, Giuliano
Ferrara, era di tale gravità da lasciare aperto qualsiasi scenario
per l’elezione del Presidente della Repubblica. Nella sua
creatività il segretario diessino sollecitava un voto favorevole
della destra sulla base di quattro punti programmatici che il
candidato D’Alema avrebbe dichiarato. Una follia istituzionale a
sentire costituzionalisti di fama o il senatore Scalfaro.
Anche uno studente del primo anno di giurisprudenza sa che il
presidente della repubblica non ha né può avere un programma, ma
deve rispettare soltanto il vincolo del dettato costituzionale.
L’invenzione fassiniana, per fortuna, è durata lo spazio di un
mattino. Resta inevasa la domanda del perché di questa caduta
politica. Si può ipotizzare che si sia trattato di un errore
commesso per ingenuità ? La cosa non ha più rilevanza. Saggiamente
D’Alema ha cercato di non bruciarsi ulteriormente e ha lavorato
per candidare Napolitano. Bene, anzi molto bene. L’eletto
presidente della repubblica è persona apprezzabile per molti
aspetti. Ad esempio è un ex comunista che pur riconoscendo gli
errori compiuti dal PCI, non ha abiurato, non è un pentito della
sua storia. Vi paresse poco in una stagione in cui dominano i
tanti convertiti sulla via di Damasco. Soltanto la cecità politica
dei berluscones ha impedito che il Presidente fosse eletto a più
larga maggioranza. Il carattere, la qualità istituzionale di
Napolitano rassicurano sulla sua capacità di essere al di sopra
dei settarismi di parte. Berlusconi non lo ha capito, ma ci vuole
pazienza. Con il tempo capirà di aver perso le elezioni e la
storiella dei brogli potrà continuare a raccontarla soltanto a
Bondi e Cicchitto. Presidente della Repubblica soltanto della
maggioranza? La cosa non mi appassiona più di tanto ed è anzi la
conferma che il centrosinistra, se vuol governare nell’interesse
del Paese, deve avere una sua linea politica aperta al contributo
di tutti, ma ferma nei suoi punti essenziali.
Adesso si tratta di formare il governo. Sembra tutto fatto. Il
popolo è in ansia di sapere se il grande Rutelli sarà oltre che
ministro anche vice-presidente. Forse Prodi dovrebbe esercitare la
funzione che la Costituzione gli affida. E’ il capo del governo
che sceglie i ministri: non c’è logica politica che imponga una
vice presidenza rutelliana. Si tratta soltanto di ambizione
personale. D’Alema ha fatto passi indietro importanti. Fassino,
bontà sua, ne ha fatto un altro. Potrebbe per una volta farne uno
l’ex-radicale? Non è che abbia un curriculum di così travolgenti
successi politici da richiedere particolari medaglie. Lo stesso
ultimo risultato elettorale non appare come un torrente di voti
per la Margherita. Non è tempo che i vari oligarchi cessino di
preoccuparsi delle proprie posizioni di potere?
Prodi se ci sei batti un colpo, è tempo.
E qualche colpo dovrebbero battere anche i dirigenti dell’Unione
in Umbria. Le cose non vanno benissimo nelle istituzioni locali.
Gli scadenti risultati elettorali ne sono un segno. La crisi del
sistema pubblico è nelle cose. Meno risorse e meno capacitÃ
progettuale. L’impressione è quella di enti che negli anni hanno
visto il crescere delle spese per il proprio mantenimento rispetto
a quelle per gli investimenti. La diminuzione delle risorse
comunitarie renderà problematica qualsiasi azione d’innovazione.
Gli ottimi rapporti, consolidati attraverso i molti viaggi
all’estero dei nostri amministratori, con le grandi finanziarie
giapponesi, americane, sudamericane e svizzere, non hanno portato
grandi risorse in Umbria. Dove trovare i mezzi per affrontare le
problematiche dell’Umbria? Forse cominciando a risparmiare nella
spesa corrente.
Sembrerebbe obbligatoria una marcia indietro rispetto al processo
di “entificazione†dei problemi che abbiamo vissuto per decenni.
Quanti enti, aziende, strutture vivono attraverso i contributi
pubblici? Non esistono ricerche al riguardo. La stagione della
“regione leggera†ha prodotto qualcosa, magari dei frutti OGM?
Nemmeno quelli.
Si parla, ormai da anni, di riformare gli apparati pubblici verso
una semplificazione istituzionale capace di produrre maggior
efficacia, maggior trasparenza e minori costi di gestione.
Le proposte sono tante: terza provincia, quattro circondari ecc.
ecc.. Processo non facile. Interessi legittimi dei vari territori
si intrecciano con localismi inammissibili e con egoismi
personali. Quello che si avverte con nettezza è l’esigenza di
costruire una proposta che prescinde dall’interesse immediato del
ceto politico. Abbiamo a che fare con una classe dirigente che
vive un eterno presente senza radici che ha in testa come unica
cosa futura interessante la prospettiva personale. Esangui i
partiti politici, rimangono le lobbies, le famigliole e i clientes
del territorio. Ognuno si fa il programma per il prossimo incarico
senza che ci sia luogo dove si progetti l’interesse complessivo di
un partito, di un movimento, di una coalizione. Che in una
situazione come questa ci si illude di aggregare le forze
riformiste in un unico partito, dimostra che, nei nostri eroi,
all’ottimismo della volontà si è sostituito l’ottimismo
dell’intelligenza. E non è buona cosa.
Corriere dell’Umbria 14 maggio 2006