L’Umbria e le pretese di Rutelli

Francesco Rutelli oltre ad essere Sindaco di Roma e parlamentare europeo
ha tempo anche per essere uno dei leader del Partito dei Democratici
(Prodi, Di Pietro, ecc”¦.). In una intervista ha posto ai Democratici di
Sinistra (Veltroni e D’Alema) le condizioni per l’ingresso di ministri
prodiani nel governo D’Alema, Cossutta, Cossiga.
Tra queste condizioni colpisce una anche perche’ interferisce con le
vicende politiche di casa nostra (l’Umbria). Dice Rutelli: “Poi le
elezioni regionali e la scelta dei candidati a presidenti. Qui occorre un
profilo altissimo. Nessuno puo’ pensare di cavarsela, dove è maggioranza
relativa proponendo il proprio segretario regionale. Occorre mettere in
campo grandi sindaci, imprenditori di primo piano, qualche ministro,
perche’ no? Qualche presidente uscente, se ha fatto bene, anzi molto
bene.” In questa scaletta sta tutta l’arroganza antidemocratica di un
ceto politico che ha fatto fortuna vendendo fumo, chiedendo agli altri
qualita’ o supposte qualita’che il suddetto ceto spesso non ha. In
conformità  a quale criterio, d’interesse generale, un sindaco (sempre
definito grande) è migliore di un buon segretario regionale di un partito
di massa? Il sistema che ama Rutelli, quello anglosassone, presuppone che
il leader di un partito è anche leader del governo o dell’opposizione.
Perche’ non dovrebbe valere anche in Italia? Dove sta scritto che un
grande imprenditore è a priori un buon amministratore di cosa pubblica?
Chi stabilisce che un presidente uscente ha fatto bene? Rutelli o gli
organi di partito o dei partiti della coalizione che si assume l’onere e
la responsabilita’ della candidatura? La democrazia diviene un optional.
Ci sono quelli che hanno le virtu’ necessarie ad evitare che la politica
sia frutto della partecipazione di tanti e non proprieta’ di coloro che
sono nati senza dover mai rendere conto di quello che fanno per il bene
collettivo.
Si pesca ancora una volta nella società  civile come luogo della virtù
contro la societa’ politica sempre luogo dell’incompetenza. Si badi bene
che i tipi come il Sindaco di Roma hanno sempre avuto poco a che fare con
la societa’ civile: sono quasi tutti professionisti della politica, da
sempre. Non ho niente contro la politica fatta da professionisti, anzi.
Consiglierei a costoro, per igiene mentale, ogni tanto di tornare ad
esercitare altre professioni che non dipendano dalla politica. In ogni
caso cessare di presentarsi come gli alfieri della critica dei partiti:
sono i partiti che hanno assicurato a molti di questi inamovibili
farfalloni della politica italiana carriere che nella società  civile non
avrebbero mai potuto avere. Un poco di riconoscenza non farebbe male.
E’ indubbio che l’andamento del dibattito per la scelta del candidato a
presidente della giunta regionale dell’Umbria è stato e sara’ molto
travagliato. Non deve meravigliare. Questa che si chiude è stata una
legislatura molto difficile in cui non era facile azzeccare una linea di
politica amministrativa adeguata ai problemi della nostra comunita’. Le
premesse ideologiche erano piegate alla critica immotivata di una
stagione amministrativa ricca d’intuizioni e di concrete realizzazioni.
Dare voti sarebbe scorretto e non è il nostro mestiere. Nella vivace
discussione dei diesse umbri, si è parlato di luci ed ombre. Forse
definizione piu’corretta sarebbe quella del prevalere di una tonalita’ di
grigio intenso su sprazzi di colore più vivace.
La discussione continua e il dato piu’rilevante è la differente
valutazione tra la maggioranza dei diessini dell’Umbria rispetto al
rappresentante del centro dei DS. Cosa non da poco se si considera che,
poi, la campagna elettorale la dovranno svolgere anche quelli che non
sono d’accordo con le scelte di Roma.E’ la prima volta che succede? No,
anche nel passato differenti valutazioni ci sono state tra i dirigenti
della nostra regione e la Direzione nazionale, figuriamoci. Soltanto,
pero’, nel 1991 il presidente della regione fu “scelto” a Roma. Prima di
allora, sempre, fu il gruppo dirigente umbro ad indicare il capo del
governo regionale.La leggenda metropolitana di un centro del PCI che
decideva tutto è da considerarsi, appunto, una leggenda. La stagione
politica e’ radicalmente diversa e diverso deve essere l’atteggiamento di
ciascuno. Credo però che rimanga valida l’esigenza di andare a una scelta
che dia il segno di una ritrovata responsabilità  collettiva dei dirigenti
delle forze politiche che governano l’Umbria. L’elezione diretta del
presidente della giunta ne cambia in parte anche la natura per il ruolo
ancora più monocratico che dovrà  avere. L’affidabilità  politica e
amministrativa e’ qualità  richiesta. Organizzare il governo dell’Umbria
con autorità , ma senza autoritarismo. Utilizzare al meglio le risorse
umane e territoriali, non e’ cosa facile senza intensi rapporti politici.
Il candidato dovrà , quindi, essere un leader capace di guidare una
compagine di giunta oltre che necessariamente svolgere un ruolo politico
nel senso più ricco del termine. Non si ha bisogno di un altro manager,
ma di un riferimento non solo per il centrosinistra.
Giornale dell’Umbria 18 ottobre 1999

L’Umbria e le pretese di Rutelli

Francesco Rutelli oltre ad essere Sindaco di Roma e parlamentare europeo
ha tempo anche per essere uno dei leader del Partito dei Democratici
(Prodi, Di Pietro, ecc….). In una intervista ha posto ai Democratici di
Sinistra (Veltroni e D’Alema) le condizioni per l’ingresso di ministri
prodiani nel governo D’Alema, Cossutta, Cossiga.
Tra queste condizioni colpisce una anche perche’ interferisce con le
vicende politiche di casa nostra (l’Umbria). Dice Rutelli: ”Poi le
elezioni regionali e la scelta dei candidati a presidenti. Qui occorre un
profilo altissimo. Nessuno puo’ pensare di cavarsela, dove è maggioranza
relativa proponendo il proprio segretario regionale. Occorre mettere in
campo grandi sindaci, imprenditori di primo piano, qualche ministro,
perche’ no? Qualche presidente uscente, se ha fatto bene, anzi molto
bene.” In questa scaletta sta tutta l’arroganza antidemocratica di un
ceto politico che ha fatto fortuna vendendo fumo, chiedendo agli altri
qualita’ o supposte qualita’che il suddetto ceto spesso non ha. In
conformità a quale criterio, d’interesse generale, un sindaco (sempre
definito grande) è migliore di un buon segretario regionale di un partito
di massa? Il sistema che ama Rutelli, quello anglosassone, presuppone che
il leader di un partito è anche leader del governo o dell’opposizione.
Perche’ non dovrebbe valere anche in Italia? Dove sta scritto che un
grande imprenditore è a priori un buon amministratore di cosa pubblica?
Chi stabilisce che un presidente uscente ha fatto bene? Rutelli o gli
organi di partito o dei partiti della coalizione che si assume l’onere e
la responsabilita’ della candidatura? La democrazia diviene un optional.
Ci sono quelli che hanno le virtu’ necessarie ad evitare che la politica
sia frutto della partecipazione di tanti e non proprieta’ di coloro che
sono nati senza dover mai rendere conto di quello che fanno per il bene
collettivo.
Si pesca ancora una volta nella società civile come luogo della virtù
contro la societa’ politica sempre luogo dell’incompetenza. Si badi bene
che i tipi come il Sindaco di Roma hanno sempre avuto poco a che fare con
la societa’ civile: sono quasi tutti professionisti della politica, da
sempre. Non ho niente contro la politica fatta da professionisti, anzi.
Consiglierei a costoro, per igiene mentale, ogni tanto di tornare ad
esercitare altre professioni che non dipendano dalla politica. In ogni
caso cessare di presentarsi come gli alfieri della critica dei partiti:
sono i partiti che hanno assicurato a molti di questi inamovibili
farfalloni della politica italiana carriere che nella società civile non
avrebbero mai potuto avere. Un poco di riconoscenza non farebbe male.
E’ indubbio che l’andamento del dibattito per la scelta del candidato a
presidente della giunta regionale dell’Umbria è stato e sara’ molto
travagliato. Non deve meravigliare. Questa che si chiude è stata una
legislatura molto difficile in cui non era facile azzeccare una linea di
politica amministrativa adeguata ai problemi della nostra comunita’. Le
premesse ideologiche erano piegate alla critica immotivata di una
stagione amministrativa ricca d’intuizioni e di concrete realizzazioni.
Dare voti sarebbe scorretto e non è il nostro mestiere. Nella vivace
discussione dei diesse umbri, si è parlato di luci ed ombre. Forse
definizione piu’corretta sarebbe quella del prevalere di una tonalita’ di
grigio intenso su sprazzi di colore più vivace.
La discussione continua e il dato piu’rilevante è la differente
valutazione tra la maggioranza dei diessini dell’Umbria rispetto al
rappresentante del centro dei DS. Cosa non da poco se si considera che,
poi, la campagna elettorale la dovranno svolgere anche quelli che non
sono d’accordo con le scelte di Roma.E’ la prima volta che succede? No,
anche nel passato differenti valutazioni ci sono state tra i dirigenti
della nostra regione e la Direzione nazionale, figuriamoci. Soltanto,
pero’, nel 1991 il presidente della regione fu “scelto” a Roma. Prima di
allora, sempre, fu il gruppo dirigente umbro ad indicare il capo del
governo regionale.La leggenda metropolitana di un centro del PCI che
decideva tutto è da considerarsi, appunto, una leggenda. La stagione
politica e’ radicalmente diversa e diverso deve essere l’atteggiamento di
ciascuno. Credo però che rimanga valida l’esigenza di andare a una scelta
che dia il segno di una ritrovata responsabilità collettiva dei dirigenti
delle forze politiche che governano l’Umbria. L’elezione diretta del
presidente della giunta ne cambia in parte anche la natura per il ruolo
ancora più monocratico che dovrà avere. L’affidabilità politica e
amministrativa e’ qualità richiesta. Organizzare il governo dell’Umbria
con autorità, ma senza autoritarismo. Utilizzare al meglio le risorse
umane e territoriali, non e’ cosa facile senza intensi rapporti politici.
Il candidato dovrà, quindi, essere un leader capace di guidare una
compagine di giunta oltre che necessariamente svolgere un ruolo politico
nel senso più ricco del termine. Non si ha bisogno di un altro manager,
ma di un riferimento non solo per il centrosinistra.
Giornale dell’Umbria 18 ottobre 1999

Nuovisti d’Italia

Il primo fu Occhetto con il suo grido di battaglia “il nuovo
inizio”. Per questo fu eletto Presidente onorario di tutti i
nuovisti d’Italia. Uomini e donne di destra, di sinistra, di
centro alzarono il vessillo del nuovo che avanza e della lotta
contro il vecchio regime. Molti di questi erano stati terze o
quarte file del regime denunciato, ma in tempi in cui tutti si
vive in un eterno presente, senza memoria e senza futuro, si è
fatto conto della dimenticanza dei più rispetto al ruolo svolto
nel passato.
Fu così che per 10 anni la parola più usata nel gergo politico è
stata il “nuovo”. Nuovo inizio, nuovo partito, nuova politica,
nuovo sistema elettorale e si potrebbe continuare per pagine e
pagine con la sloganistica dei professionisti del nuovo.
E si, c’è chi fa l’impiegato in banca e chi, come professione, fa
l’innovatore in politica.
Fino ad oggi i risultati di questi innovatori non sono un gran che
e, basta guardare al rapporto cittadino cosa pubblica, niente di
buono è venuto alla democrazia italiana da quest’innovazione senza
contenuti e senza che mai si sia fatto un bilancio dei risultati
portati a vantaggio della collettività , dall’amministrare la cosa
pubblica.
Il gioco del chi è il più “nuovo” continua a dispetto
dell’esplodere dell’astensionismo nel voto e dal vero e proprio
collasso della partecipazione dei cittadini, come iscritti o
simpatizzanti, ai Partiti politici. Così si continua a prescindere
dal merito delle cose. Non sei d’accordo con una certa scelta
amministrativa? Denunci le difficoltà  nel rapporto con gli
elettori? E’ perchè sei il vecchio. Fai notare che un certo
comportamento è poco opportuno? Non sei moderno, non conosci il
valore dell’innovazione nel rapporto con gli elettori.
Quanto della discussione politica è falsificato da questo binomio
vecchio e nuovo?
Si dovrebbe essere più espliciti e più comprensibili quando si
ritiene che una proposta a candidato Sindaco di Perugia sia
sbagliata bisogna farlo capire con nettezza. Non è chiaro, per
esempio, cosa vuol dire la Signora Maria Prodi, esponente di primo
piano del nuovo Partito dei Democratici, quando dice: “Il
rinnovamento dei partiti dall’interno deve diventare operante
anche in Umbria dove il dibattito ristagna su nomi o sigle o
formule che non evocano più all’opinione pubblica alcun segno di
cambiamento reale”. Sembrerebbe che sia avversa alla candidatura
di Locchi.
Non si sa perchè una candidatura espressa dal maggior partito
umbro e, a quanto sembra, apprezzata da uno schieramento politico
che alle elezioni amministrative del 1995 ha preso quasi il 60%
dei voti è giudicata”¦..la vecchia politica, senza alcun appeal,
dalla rappresentante di un Partito che, per adesso, è soltanto
virtuale non avendo mai partecipato ad elezioni. Tanta è la
contrarietà  che i Democratici, sembrerebbe, almeno al primo turno,
vorrebbero votare un altro candidato a Sindaco di Perugia in
alternativa a Locchi.
Essendo attorno ai 50 anni il candidato Locchi non è
anagraficamente vecchio.
Sono molti anni che fa l’amministratore, ma in giro (non parlo,
non potrei farlo, in nome dell’opinione pubblica) si dice che
abbia dato in questi anni buona prova di se, ha fatto bene il suo
lavoro, è rispettato da amici e avversari per la sua competenza
amministrativa. Potrebbe essere un buon Sindaco. Non è così? Si
proponga un altro nome, senza tante storie di vecchio e di nuovo.
La fase dell’ora del dilettante, mi auguro, è finita e tornano a
valere criteri antichi nella scelta degli uomini e delle donne da
eleggere nelle assemblee democratiche.
Vogliamo cominciare ad introdurre il binomio capace o incapace?
Vogliamo tornare a considerare che, com’è stato ricordato su
queste pagine, la politica è un servizio reso per la “cura e
tutela degli interessi generali”?
Se il terreno rimane quello del chi è più alla moda, certamente la
polemica rimane di bassissimo profilo. E come fare a capire chi e
per cosa è utile alla città  senza conoscere i programmi dei
candidati e delle coalizioni?
Nazione 7 aprile 1999

Nuovisti d’Italia

Il primo fu Occhetto con il suo grido di battaglia “il nuovo
inizio”. Per questo fu eletto Presidente onorario di tutti i
nuovisti d’Italia. Uomini e donne di destra, di sinistra, di
centro alzarono il vessillo del nuovo che avanza e della lotta
contro il vecchio regime. Molti di questi erano stati terze o
quarte file del regime denunciato, ma in tempi in cui tutti si
vive in un eterno presente, senza memoria e senza futuro, si è
fatto conto della dimenticanza dei più rispetto al ruolo svolto
nel passato.
Fu così che per 10 anni la parola più usata nel gergo politico è
stata il “nuovo”. Nuovo inizio, nuovo partito, nuova politica,
nuovo sistema elettorale e si potrebbe continuare per pagine e
pagine con la sloganistica dei professionisti del nuovo.
E si, c’è chi fa l’impiegato in banca e chi, come professione, fa
l’innovatore in politica.
Fino ad oggi i risultati di questi innovatori non sono un gran che
e, basta guardare al rapporto cittadino cosa pubblica, niente di
buono è venuto alla democrazia italiana da quest’innovazione senza
contenuti e senza che mai si sia fatto un bilancio dei risultati
portati a vantaggio della collettività, dall’amministrare la cosa
pubblica.
Il gioco del chi è il più “nuovo” continua a dispetto
dell’esplodere dell’astensionismo nel voto e dal vero e proprio
collasso della partecipazione dei cittadini, come iscritti o
simpatizzanti, ai Partiti politici. Così si continua a prescindere
dal merito delle cose. Non sei d’accordo con una certa scelta
amministrativa? Denunci le difficoltà nel rapporto con gli
elettori? E’ perché sei il vecchio. Fai notare che un certo
comportamento è poco opportuno? Non sei moderno, non conosci il
valore dell’innovazione nel rapporto con gli elettori.
Quanto della discussione politica è falsificato da questo binomio
vecchio e nuovo?
Si dovrebbe essere più espliciti e più comprensibili quando si
ritiene che una proposta a candidato Sindaco di Perugia sia
sbagliata bisogna farlo capire con nettezza. Non è chiaro, per
esempio, cosa vuol dire la Signora Maria Prodi, esponente di primo
piano del nuovo Partito dei Democratici, quando dice: “Il
rinnovamento dei partiti dall’interno deve diventare operante
anche in Umbria dove il dibattito ristagna su nomi o sigle o
formule che non evocano più all’opinione pubblica alcun segno di
cambiamento reale”. Sembrerebbe che sia avversa alla candidatura
di Locchi.
Non si sa perché una candidatura espressa dal maggior partito
umbro e, a quanto sembra, apprezzata da uno schieramento politico
che alle elezioni amministrative del 1995 ha preso quasi il 60%
dei voti è giudicata…..la vecchia politica, senza alcun appeal,
dalla rappresentante di un Partito che, per adesso, è soltanto
virtuale non avendo mai partecipato ad elezioni. Tanta è la
contrarietà che i Democratici, sembrerebbe, almeno al primo turno,
vorrebbero votare un altro candidato a Sindaco di Perugia in
alternativa a Locchi.
Essendo attorno ai 50 anni il candidato Locchi non è
anagraficamente vecchio.
Sono molti anni che fa l’amministratore, ma in giro (non parlo,
non potrei farlo, in nome dell’opinione pubblica) si dice che
abbia dato in questi anni buona prova di se, ha fatto bene il suo
lavoro, è rispettato da amici e avversari per la sua competenza
amministrativa. Potrebbe essere un buon Sindaco. Non è così? Si
proponga un altro nome, senza tante storie di vecchio e di nuovo.
La fase dell’ora del dilettante, mi auguro, è finita e tornano a
valere criteri antichi nella scelta degli uomini e delle donne da
eleggere nelle assemblee democratiche.
Vogliamo cominciare ad introdurre il binomio capace o incapace?
Vogliamo tornare a considerare che, com’è stato ricordato su
queste pagine, la politica è un servizio reso per la “cura e
tutela degli interessi generali”?
Se il terreno rimane quello del chi è più alla moda, certamente la
polemica rimane di bassissimo profilo. E come fare a capire chi e
per cosa è utile alla città senza conoscere i programmi dei
candidati e delle coalizioni?
Nazione 7 aprile 1999

L’america più vicina

Tra pochi mesi anche, in Umbria, si andrà  a scegliere i nuovi Sindaci, i
Presidenti delle Province oltre che il “nostro” Parlamentare europeo e
ciò senza che si sia fatto un chiaro bilancio del lavoro svolto in questi
anni dalle Amministrazioni locali e dagli attuali Parlamentari europei.
Non si possono certo chiamare bilanci quelli che, alla fine dell’anno,
sono stati presentati da rappresentanti di Comuni e Province. Troppa
enfasi sui risultati raggiunti, poca la consapevolezza dei problemi
aperti nella nostra regione.
Quel tipo di bilancio è percepibile positivamente soltanto dagli addetti
ai lavori e da pochi intimi. La stragrande parte della cittadinanza è
sempre più portata, anche da noi, ad un distacco dalle cose della
politica sempre più marcato.
L’impressione è che questo distacco è così forte che tra un po’ di tempo
si potrà  essere tutti contenti. L’America è più vicina, pochi anche in
Italia come negli USA, andranno a votare! Diventeremo un Paese
“normale”.
Saremo finalmente moderni con gran soddisfazione di quelli che ritengono
la partecipazione al voto come un dato d’arretratezza e non di civiltà .
D’altra parte, bisogna riconoscerlo, le cose della politica non
entusiasmano più anche per motivi che trascendono le attuali classi
dirigenti dell’Umbria. Nessuno è riuscito a sostituire la partecipazione
democratica organizzata dai Partiti con strumenti partecipativi che
n’occupassero il posto. Pochi hanno tentato d’inventarsi qualcosa.
Siamo ancora ad una transizione in cui diversi tipi di oligarchie
“interpretano” le attese delle masse.
Naturalmente può succedere che le oligarchie illuminate facciano scelte
d’uomini e donne sbagliate. Succede e non c’è niente di strano.
Strano sarebbe se non si fosse imparata la lezione. Non si tratta di
chiedere autocritiche n’è il caso di affermare che è finita la stagione
dei professori. In ogni professione ci sono persone adatte ad
amministrare (difficile farlo bene) e quelle che sono preferibili avere
come professionisti del “particolare”.
Bisognerà  individuare un metodo che consenta delle scelte più legate ad
oggettività  e trasparenza: le indicazioni di candidature devono avere un
qualche senso anche di là  dagli equilibri interni al ceto
politico/amministrativo esistente. Anche per gli elettori è un diritto
avere candidati a Sindaco persone che abbiano già  dimostrato una qualche
affidabilità  amministrativa.
Mi sembra apprezzabile, quindi, il fatto che i rappresentanti dell’Ulivo
in Umbria, siano orientati a proporre il metodo delle “primarie” per la
scelta delle candidature. Si sa che il sottoscritto non ha consonanza con
schieramenti come quello dell’Ulivo, ma piuttosto in quelli riconducibili
ad organizzazioni dei partiti.
Mi hanno già  detto, autorevolmente, che le “primarie” sono
“un’americanata”.
E’ possibile, ma in mancanza di procedure certe nella scelta dei
candidati, non esistendo più i Partiti di massa, che fare?
Non si può riproporre il “metodo” 1995 e 1996 in cui pochi intimi (le
oligarchie appunto) hanno imposto (questa è la parola corretta) Sindaci e
Parlamentari in conformità  ad una valutazione che dire personale è poco
ed esclusivamente propagandando il criterio del nuovo che avanza.
Il ragionamento è stato, allora, banalmente cinico: tanto votano
(parlando di noi) anche gli sconosciuti o quelli che non apprezzano. Non
vorranno (gli elettori, sempre noi) per caso premiare lo schieramento
avverso?
Quanti hanno al fine baciato il rospo! E quanti hanno detto: è l’ultima
volta!
Formalizzare una procedura in cui gli elettori partecipano concretamente
alla scelta delle candidature è obbligatorio se si vuole ripristinare
qualche rapporto con le persone chiamate a votare e quello delle
“primarie” è uno dei metodi possibili.
L’alternativa quale sarebbe? Oggi gli organi dirigenti dei Partiti sono o
inesistenti, nel loro funzionamento democratico, o così pletorici da
essere inagibili. Non è così?
Basta parlare con qualche dirigente di qualsiasi Partito per avere la
conferma di quanto si sostiene. In realtà  i Partiti come partecipazione
di massa alla vita politica sono scomparsi, sono rimasti tutti i peggiori
difetti della cosi detta partitocrazia.
Sarebbe, quindi, un’occasione persa se, questa tornata elettorale, non
fosse colta dalle forze politiche per cercare un nuovo rapporto con gli
elettori e questo non solo discutendo priorità  e programmi di governo, ma
anche chiamandoli ad una partecipazione formale alla scelta dei
candidati.
Il quadro democratico non un gran che. La crisi della politica si
trascina di giorno in giorno, d’anno in anno, il vuoto di politica è
riempito da quel senso di precarietà  e d’incertezza in cui poi
s’inserisce la sfiducia nella democrazia come forma alta di governo delle
cose.
La nostra comunità  subisce, in tante forme, una crisi d’identità  molto
seria e sarebbe certo ingeneroso attribuire all’attuale classe dirigente
le ragioni di fondo di questa crisi. Ma questo pazientissimo popolo
perugino ed umbro ha diritto di avere efficaci amministratori. Dal 1995
al 1999 questo, non in tutti i casi sicuramente, non è stato.
Molti degli attuali Sindaci o Assessori non hanno provocato la crisi (nè
il terremoto), ma certo non hanno fatto molto per invertire la tendenza
negativa.
Nazione 12 gennaio 1999

L’america più vicina

Tra pochi mesi anche, in Umbria, si andrà a scegliere i nuovi Sindaci, i
Presidenti delle Province oltre che il “nostro” Parlamentare europeo e
ciò senza che si sia fatto un chiaro bilancio del lavoro svolto in questi
anni dalle Amministrazioni locali e dagli attuali Parlamentari europei.
Non si possono certo chiamare bilanci quelli che, alla fine dell’anno,
sono stati presentati da rappresentanti di Comuni e Province. Troppa
enfasi sui risultati raggiunti, poca la consapevolezza dei problemi
aperti nella nostra regione.
Quel tipo di bilancio è percepibile positivamente soltanto dagli addetti
ai lavori e da pochi intimi. La stragrande parte della cittadinanza è
sempre più portata, anche da noi, ad un distacco dalle cose della
politica sempre più marcato.
L’impressione è che questo distacco è così forte che tra un po’ di tempo
si potrà essere tutti contenti. L’America è più vicina, pochi anche in
Italia come negli USA, andranno a votare! Diventeremo un Paese
“normale”.
Saremo finalmente moderni con gran soddisfazione di quelli che ritengono
la partecipazione al voto come un dato d’arretratezza e non di civiltà.
D’altra parte, bisogna riconoscerlo, le cose della politica non
entusiasmano più anche per motivi che trascendono le attuali classi
dirigenti dell’Umbria. Nessuno è riuscito a sostituire la partecipazione
democratica organizzata dai Partiti con strumenti partecipativi che
n’occupassero il posto. Pochi hanno tentato d’inventarsi qualcosa.
Siamo ancora ad una transizione in cui diversi tipi di oligarchie
“interpretano” le attese delle masse.
Naturalmente può succedere che le oligarchie illuminate facciano scelte
d’uomini e donne sbagliate. Succede e non c’è niente di strano.
Strano sarebbe se non si fosse imparata la lezione. Non si tratta di
chiedere autocritiche n’è il caso di affermare che è finita la stagione
dei professori. In ogni professione ci sono persone adatte ad
amministrare (difficile farlo bene) e quelle che sono preferibili avere
come professionisti del “particolare”.
Bisognerà individuare un metodo che consenta delle scelte più legate ad
oggettività e trasparenza: le indicazioni di candidature devono avere un
qualche senso anche di là dagli equilibri interni al ceto
politico/amministrativo esistente. Anche per gli elettori è un diritto
avere candidati a Sindaco persone che abbiano già dimostrato una qualche
affidabilità amministrativa.
Mi sembra apprezzabile, quindi, il fatto che i rappresentanti dell’Ulivo
in Umbria, siano orientati a proporre il metodo delle “primarie” per la
scelta delle candidature. Si sa che il sottoscritto non ha consonanza con
schieramenti come quello dell’Ulivo, ma piuttosto in quelli riconducibili
ad organizzazioni dei partiti.
Mi hanno già detto, autorevolmente, che le “primarie” sono
“un’americanata”.
E’ possibile, ma in mancanza di procedure certe nella scelta dei
candidati, non esistendo più i Partiti di massa, che fare?
Non si può riproporre il “metodo” 1995 e 1996 in cui pochi intimi (le
oligarchie appunto) hanno imposto (questa è la parola corretta) Sindaci e
Parlamentari in conformità ad una valutazione che dire personale è poco
ed esclusivamente propagandando il criterio del nuovo che avanza.
Il ragionamento è stato, allora, banalmente cinico: tanto votano
(parlando di noi) anche gli sconosciuti o quelli che non apprezzano. Non
vorranno (gli elettori, sempre noi) per caso premiare lo schieramento
avverso?
Quanti hanno al fine baciato il rospo! E quanti hanno detto: è l’ultima
volta!
Formalizzare una procedura in cui gli elettori partecipano concretamente
alla scelta delle candidature è obbligatorio se si vuole ripristinare
qualche rapporto con le persone chiamate a votare e quello delle
“primarie” è uno dei metodi possibili.
L’alternativa quale sarebbe? Oggi gli organi dirigenti dei Partiti sono o
inesistenti, nel loro funzionamento democratico, o così pletorici da
essere inagibili. Non è così?
Basta parlare con qualche dirigente di qualsiasi Partito per avere la
conferma di quanto si sostiene. In realtà i Partiti come partecipazione
di massa alla vita politica sono scomparsi, sono rimasti tutti i peggiori
difetti della cosi detta partitocrazia.
Sarebbe, quindi, un’occasione persa se, questa tornata elettorale, non
fosse colta dalle forze politiche per cercare un nuovo rapporto con gli
elettori e questo non solo discutendo priorità e programmi di governo, ma
anche chiamandoli ad una partecipazione formale alla scelta dei
candidati.
Il quadro democratico non un gran che. La crisi della politica si
trascina di giorno in giorno, d’anno in anno, il vuoto di politica è
riempito da quel senso di precarietà e d’incertezza in cui poi
s’inserisce la sfiducia nella democrazia come forma alta di governo delle
cose.
La nostra comunità subisce, in tante forme, una crisi d’identità molto
seria e sarebbe certo ingeneroso attribuire all’attuale classe dirigente
le ragioni di fondo di questa crisi. Ma questo pazientissimo popolo
perugino ed umbro ha diritto di avere efficaci amministratori. Dal 1995
al 1999 questo, non in tutti i casi sicuramente, non è stato.
Molti degli attuali Sindaci o Assessori non hanno provocato la crisi (né
il terremoto), ma certo non hanno fatto molto per invertire la tendenza
negativa.
Nazione 12 gennaio 1999