da Francesco Mandarini | Ott 30, 2007
LA MOSSA DEL CAVALLO
Martdeì 30 ottobre 2007
Caro direttore, il dubbio che conclude il tuo editoriale del lunedì è anche il mio. Che la nascita del Pd costituisca una sorta di mossa del cavallo che sollecita a destra e a sinistra una risposta rapida è evidente. Ciò che ancora non è chiaro sono le prospettive del sistema politico italiano che, con qualsiasi legge elettorale, richiede chiarezza sul tipo di coalizione che si vuol costruire per governare il paese. Ritengo difficile realizzare nell’immediato in Italia un meccanismo all’americana. Bisognerebbe cambiare la Costituzione dopo che un referendum ha stabilito, soltanto un anno fa, che va bene quella che c’è. Negli Usa è scontata la vocazione maggioritaria del candidato a presidente. In Italia la conseguenza è diversa e mi sembra evidente che se Veltroni ha deciso di andare oltre l’alleanza con la sinistra (radicale?, lasciamo perdere) dovrà urgentemente indicare chi la sostituisce. Fatta la scelta mi sembra ardimentoso mantenere vivo il governo Prodi per le ragioni che tu scrivi. Non sarà una tragedia, ma poi che succede? Si può essere entusiasti per la novità , ma nessuno può pensare che il Pd raggiungerà la maggioranza assoluta nelle prossime elezioni. Sommessamente faccio rilevare che quasi tutto il governo locale al momento è gestito da coalizioni simil-Unione. Rompere a Roma significherà alleanze omogenee a ogni latitudine? Non si attiverà un processo a cascata del tipo di quello vissuto negli anni ’60 con il primo centro-sinistra? Vivo in una già “regione rossa”, l’Umbria, non canto certo le lodi di chi mi governa, ma sono abbastanza certo che la vocazione maggioritaria del Pd significherà mettere a rischio un’alleanza che, nel bene e nel male, ha mutato alla radice la terra in cui vivo. Un tempo usavamo, lo ricordi certamente, la categoria dell’avventurismo. Oggi non è più di moda. Proprio perchè mi terrorizza pensare a un fallimento del Pd, consiglierei maggior prudenza e verificare i “sogni” alla luce della dura realtà istituzionale e politica del Paese. Un saluto cordialissimo a te e a Macaluso
Francesco Mandarini e-mail
da Francesco Mandarini | Ott 25, 2007
Il referendum sindacale sul welfare e le elezioni primarie per il Partito Democratico sono stati due momenti che possono essere letti attraverso un significato politico simile? Credo proprio di sì. I due fatti ci dicono che, nonostante tutto, sopravvive una spinta alla partecipazione democratica molto forte che si esprime ad ogni occasione fornita dalle leadership politiche di ogni tipo e sensibilità politica.
La consultazione sindacale è stata la dimostrazione del permanere di un ruolo sostanziale del sindacato nella società italiana mentre le primarie, che hanno premiato Walter Veltroni, sono state la dimostrazione concreta che l’ondata qualunquista contro la politica, può essere contrastata se si trovano forme di coinvolgimento della gente nelle scelte della politica.
Sia il referendum che le primarie della scorsa settimana hanno costituito motivo di attenzione per le forze progressiste europee, alcune delle quali sembrano interessate a un lavoro comune con il nuovo partito italiano. Non è poco.
Legittima quindi sia la soddisfazione di CGIL-CISL-UIL sia quella dei costruttori il nuovo partito. Dopo il compiacimento, consigliabile per tutti qualche momento di riflessione e di analisi delle consultazioni e dei problemi che permangono nel Paese.
Ad esempio, per il sindacato non può essere cosa irrilevante il fatto che una parte “emblematica” del mondo del lavoro, i metalmeccanici, abbia respinto l’accordo del 23 luglio.
Non può, Epifani, sottovalutare il fatto che milioni di precari non hanno potuto partecipare all’evento sindacale e che, d’altra parte, sembrerebbe fantasioso pensare che l’accordo risolva il problema del precariato in Italia. E più in generale i leader sindacali non possono non porsi il problema della ripartizione del reddito nazionale che si è consolidata negli ultimi decenni tra redditi da lavoro, redditi da capitale e da rendite finanziarie. L’impoverimento del valore del lavoro è un processo mondiale, ma in Italia per i lavoratori è andata molto peggio che in Francia o in Inghilterra. Non ci sarà qualche responsabilità anche del sindacato? L’accusa rivolta alle confederazioni è quella di proteggere i “garantiti”. E’ingenerosa? E’ probabile. Rimane il fatto che la precarietà : “àˆ un’emergenza etica e sociale, in grado di minare la stabilità del Paese e compromettere seriamente il suo futuro.”. Non l’hanno detto gli estremisti del “Il Manifesto”, ma Papa Benedetto XVI.
La questione del precariato rimane questione centrale per l’Italia. Mobilitarsi contro è giusto.
Se questo è un problema (il problema), si capisce poco l’accanimento, anche dei leader sindacali, contro la manifestazione per combattere il precariato indetta dalla sinistra e che si è svolta a Roma il 20 ottobre. Stupefacente poi, la circolare prodotta dalla CGIL nazionale tesa ad impedire che le bandiere sindacali sfilassero in un corteo composto in massima parte da iscritti al sindacato. L’euforia da referendum dovrebbe lasciare il posto a qualche attimo di riflessione rispetto agli argomenti di chi non la pensa come Epifani o Angeletti. (altro…)
da Francesco Mandarini | Ott 18, 2007
Una coppia di amici pensionati, marito e moglie, entrambi convinti elettori di Rifondazione, sono andati a votare per il referendum indetto dai sindacati. Il loro è stato un sì al quesito posto rispetto ai protocolli firmati il 23 luglio.
Alla mia meraviglia, conoscendo il loro orientamento politico, mi è stato risposto: “Con la sinistra ridotta come è ridotta possiamo negare il sostegno al sindacato? L’unica struttura organizzata che cerca di difendere il mondo del lavoro deve essere salvaguardata anche a costo di accettare un accordo insoddisfacente”.
Difficile sapere quanti lavoratori abbiano fatto lo stesso ragionamento. Certamente nel voto ha prevalso la volontà di sostenere le Confederazioni sindacali nella scelta di indire un referendum per approvare i protocolli sul welfare. Evidente che le ragioni del No non erano così forti da contrastare la massiccia campagna dei mass media tesa a valorizzare l’accordo tra  governo e organizzazioni sociali. I rapporti di forza sono quelli che sono e la sinistra è in minoranza nel governo e nel Paese. Con pochissimi strumenti di informazione, marginalizzata nella grande stampa ha poco spazio di influenza mediatica. Bisognerebbe capirlo e adattare le scelte politiche e organizzative partendo da questo dato negativo. Ad esempio la difesa rigida dell’età pensionabile è stata una scelta giusta?
Non sono un esperto, ma credo che la rigidità della sinistra sulla scelta dell’età pensionabile era in conflitto con il senso comune della gente. Un conto lavorare alla catena di montaggio o in miniera e altro lavorare in qualche ufficio, dicevano in molti.
Non va sottovalutato il significato squisitamente politico che ha assunto il referendum sindacale. Maometto è morto, Carlo Marx è morto e il governo Prodi non sta benissimo. Per molti continua ad essere terrorizzante l’idea di un ritorno a Palazzo Chigi del Cavaliere di Arcore magari con Gasparri a Ministro degli Interni e Cicchitto agli Esteri. La vittoria del No avrebbe significato la caduta del governo dell’Unione con tutto ciò che ne sarebbe derivato. (altro…)
da Francesco Mandarini | Ott 8, 2007
Dichiarazione a “Repubblica” di Walter Veltroni: “Il PD italiano sarà come il partito democratico americano e i laburisti inglesi. Questa è l’ispirazione politica, alla quale aggiungiamo la matrice culturale italiana, le nostre storie particolari.”.
Troppa grazia Sant’Antonio, si potrebbe dire. Il candidato leader del PD mette insieme modelli di partito, molto differenti tra loro, che hanno origine in un contesto istituzionale radicalmente diverso da quello del bel Paese.
Negli USA vige una repubblica presidenziale che contempla l’assoluta autonomia di Senato e Camera dei Rappresentanti. In Inghilterra funziona una monarchia che non ha alcuna influenza sul sistema politico. Il premier non è eletto dal popolo, ma dal partito. Tony Blair, dopo aver vinto le elezioni, è stato rimosso attraverso una riunione del New Labour. Esattamente come successe a Margaret Thatcher. Il primo ministro inglese può sciogliere il Parlamento quando vuole. Il “grande” Bush ha il potere di mettere veti ai deliberati del Senato, ma non può mandare a casa i senatori. Un presidente americano può essere rimosso esclusivamente attraverso il meccanismo dell’impeachment. Il New Labour nonostante la cura Blair ha le sue radici nel mondo del lavoro. Sono le Trade Union, i sindacati, che finanziano in modo decisivo il partito. Il PD americano funziona in prevalenza attraverso i finanziamenti delle grandi corporation economiche.
Il rincorrere sistemi politici esteri è pericoloso. Ogni impianto istituzionale è frutto della storia della nazione.
L’Italia è una repubblica parlamentare e ciò, giova ricordarlo, è stato confermato soltanto un anno fa con un referendum al quale ha partecipato la maggioranza del popolo.
E’ certo possibile e necessario riformare le istituzioni democratiche italiane.
Superare il bicameralismo perfetto, ridurre il numero dei parlamentari, agevolare l’azione di governo con regolamenti parlamentari più efficaci. Tutto ciò è fondamentale e deve essere nell’agenda politica del PD italiano, ma senza stravolgere il dettato Costituzionale che assegna alla rappresentanza parlamentare il diritto dovere di esercitare il potere legislativo anche in conflitto con il governo.
L’ansia di Veltroni nel fare proposte è certo giustificata dal degrado della situazione politica.
Sarà un ottobre di ferro e fuoco per il governo dell’Unione. Finanziaria, scioperi, manifestazioni mettono a leva la tenuta della coalizione.
Quando Prodi si vede costretto ad emettere giudizi sulla qualità di un talk show per soddisfare le esigenze poste da Mastella, siamo alla frutta. Quando un ministro importante, Di Pietro, presenta una proposta di legge assieme ad uno dei leader, Fini, dell’opposizione significa che siamo all’impazzimento della classe politica.
Non sono un appassionato della politica in televisione. Continua a stupirmi constatare che incide più negli atteggiamenti dei leader politici una trasmissione televisiva che un’assemblea di lavoratori che approva o respinge una proposta politica.
Ritengo allarmante che nonostante il consenso generale sull’esigenza di riformare le istituzioni non si compiano atti radicali che segnino una svolta nel rapporto tra l’azione politica e i bisogni della gente.
I giornali sono pieni di dotti articoli di opinion maker che continuano a descrivere il disagio non solo economico di parti consistenti del popolo italiano. La rabbia cresce, scrivono. (altro…)
da Francesco Mandarini | Ott 3, 2007
Micropolis ha sempre considerato la creazione del Partito Democratico come un’ altra fase dell’ americanizzazione della società italiana. Per questo siamo stati critici rispetto alla scelta di fondere i DS con la Margherita. Lo smottamento diessino verso il moderatismo era iniziato da tempo e la sua dissoluzione lascia pochi rimpianti per chi continua a ritenere che la democrazia italiana ha bisogno di una sinistra moderna quanto si vuole, ma che rappresenti il mondo del lavoro e mantenga aperta la speranza di un mondo diverso da quello imposto dal liberismo.
L’inconsistenza programmatica dei soci fondatori del PD ha fatto da pendant alla scelta plebiscitaria per l’elezione del segretario nazionale e di quelli regionali. Il già fragile governo Prodi ha subito colpi durissimi dalle improvvisazioni dei “coraggiosi” rutelliani. Le ripetute esternazioni programmatiche di Veltroni se hanno ricevuto l’apprezzamento di Montezemolo e certo hanno entusiasmato i redattori dell’organo del Partito Democratico, “La Repubblica”, hanno anche messo in fibrillazione la maggioranza.
Da fattore di consolidamento del quadro politico il PD rischia di essere fattore di crisi.
Nelle intenzioni dei promotori il nuovo partito doveva essere “la grande avventura” che salvava il Paese dalla decadenza. Con quello che sta succedendo è più corretto definire il processo in atto come puro avventurismo del riformismo senza riforme dei vari Fassino, Rutelli e via dicendo. Dopo una campagna durata mesi tesa a dimostrare che i problemi per Prodi nascevano dall’estremismo della sinistra al governo, anche Eugenio Scalfari ha dovuto ammettere che sono le varie forze del centro che brigano per ottenere la fine dell’Unione. Statisti del calibro di Dini, Mastella e Di Pietro sono al lavoro per rompere la maggioranza nella speranza di formare un centro politico capace di contrattare potere con la destra e con quel che rimane del centrosinistra.
Il quadro politico nazionale è in confusione totale, ma il disastro non si ferma a Roma. (altro…)