da Francesco Mandarini | Dic 29, 2008
Il partito all’americana, il partito “leggero”, il partito “liquido” si è rivelato una catastrofe. Il Partito democratico, a poco più di un anno dalla sua scesa in campo, ha rischiato di frantumarsi, di sciogliersi come neve al sole. Un amalgama mal riuscito. E’ questa la definizione data da Massimo D’Alema di una formazione politica che era stata presentata come la più grande innovazione della storia dell’Italia repubblicana e forse di quella dell’Europa.
Nella direzione del PD del 19 dicembre il dibattito è stato aspro, per certi versi autentico, ma non è riuscito ad individuare soluzioni capaci di rappresentare quella svolta necessaria a tranquillizzare un popolo di centrosinistra frastornato e smarrito. La discussione si è conclusa con l’approvazione di un documento che contiene formulazioni generiche a certificare più che una unità del gruppo dirigente, una tregua tra le diverse correnti. La votazione ha dato un risultato “bulgaro”. Quasi all’unanimità . Il voto nasconde analisi e strategie alternative tra le diverse anime del partito. Si tratta soltanto di un armistizio per gestire una fase tremenda per la neonata creatura. Non c’è soltanto l’emergere di una questione morale che coinvolge amministratori del Pd in tutte le latitudini del Paese. Questione di per sè drammatica per il significato di omologazione di fette consistenti di ceto politico di area centrosinistra alla peggior pratica politica di antica memoria. Bene ha fatto Veltroni a non cadere nella trappola del complottismo, giusto rivendicare l’autonomia della magistratura anche quando sotto accusa sono dirigenti del PD. Utile sarebbe lavorare nello statuto del partito per introdurre incompatibilità tra incarichi politici e quelli amministrativi o porre vincoli formali al carrierismo politico. La politica va fatta con professionalità ma non può essere una professione a vita. Ogni tanto è saggio riposarsi o fare politica fuori delle istituzioni pubbliche. Non è il solito conflitto tra vecchio e nuovo ma l’esigenza di formalizzare il principio della politica come servizio, emarginando coloro che si servono della politica per il proprio tornaconto. Ho trovato stupefacente che il sindaco di una città importante, Pescara, sia anche segretario regionale di un partito, il PD. Al di là delle indagini, mi sembra paradossale il doppio incarico per l’evidente conflitto d’interessi che esso contiene.
Ciò che Veltroni non ha ancora chiaro è lo scarto tra i problemi dell’Italia e la qualità del governo locale espresso dal centrosinistra. Per molti decenni l’amministrazione locale è stata il fiore all’occhiello della sinistra riformista o radicale che essa fosse. Le tre “regioni rosse”, i sindaci emiliani o toscani, l’Umbria di Pietro Conti, l’elenco sarebbe lungo da fare, rappresentarono per la sinistra l’orgoglio e la speranza.
Oggi anche a causa della crisi della finanza pubblica, il governo locale è spesso inadeguato e a volte a rimorchio dei potentati locali.
Sostengono in molti, giustamente, che fino a sentenza definitiva nessuno è colpevole e che non dovrebbe essere una comunicazione giudiziaria a costituire motivo per le dimissioni di un amministratore. Credo, ne sono convinto, che il PD sia una formazione politica di gente per bene come dice Veltroni. Ma essere per bene non significa necessariamente fare bene l’amministratore. E molte delle realtà locali dimostrano in anni recenti che la classe dirigente amministrativa espressione anche del PD è spesso inadeguata e a volte pessima. Esemplare è il caso Campania. Un eletto dal popolo non risponde al partito ma al popolo. Purtroppo i sindaci e i presidenti sono eletti direttamente e per legge hanno il diritto di concludere il mandato. In genere i candidati vengono scelti da un partito e il partito ha il diritto di giudicare autonomamente la qualità del lavoro del proprio iscritto. Quando necessario è appropriato sollecitare comportamenti dell’amministratore coerenti con l’interesse generale che, ovviamente, è quello di avere buone amministrazioni. Traducendo: Rosa Jervolino o Antonio Bassolino sono fuori dalle indagini per corruzione, ma se è dovuto intervenire il governo centrale a fare il miracolo di togliere la spazzatura a Napoli, le loro amministrazioni hanno dato pessima prova e ne dovrebbero prendere atto. Dimettersi non sarà obbligatorio, ma opportuno certamente. (altro…)
da Francesco Mandarini | Dic 21, 2008
Il Senato ha bocciato il piano di salvataggio delle industrie automobilistiche americane. Ciò ha provocato la caduta delle borse in tutto il mondo e il crollo del dollaro e del prezzo del petrolio.
Senza l’intervento pubblico General Motors, Chrysler e Ford si avviano al fallimento. Ciò mette a rischio, tra diretti e indiretti, quattro milioni di posti di lavoro. Una catastrofe che non riguarda soltanto gli Stati Uniti, ma che ha un impatto globale. Come è potuto succedere? Gli analisti concordano nel giudicare l’industria automobilistica americana arretrata rispetto alla concorrenza giapponese ed europea e disastrose le scelte fatte negli anni dai Top Manager più pagati al mondo. Modelli di auto onnivori nei consumi e paradossali nell’impatto ambientale. Le sport utility vehicles, i Suv, che hanno ingombrato le strade di tutto il mondo si sono dimostrati utili soltanto per i produttori di petrolio. Oggi sia General Motors che le altre case automobilistiche ne hanno interrotta la produzione per mancanza di domanda. Nella tragedia della crisi una buona notizia. Ma la crisi dei produttori americani non dipende soltanto da scelte industriali sbagliate. Contano moltissimo, nel disastro, gli esborsi che i giganti dell’auto Usa hanno dovuto fare per mantenere i rispettivi Fondi previdenziali e sanitari. Come è noto la previdenza pubblica USA è di dimensioni insignificanti. Funziona, diciamo così la previdenza privata. I Fondi sono implementati dai versamenti dei lavoratori e da quelli delle imprese. La crisi finanziaria ha inciso pesantemente sulla gestione dei Fondi previdenziali così che a rischio diventano anche le pensioni di milioni di lavoratori già in quiescenza. Nel 2007 il Fondo della General Motors aveva un disavanzo di 39 miliardi di dollari. La sanità in America ha due caratteristiche. Risulta da anni tra le peggiori al mondo ed incide sul prodotto interno lordo per il doppio (16%) di quello dei Paesi a sistema sanitario pubblico. A destra e a sinistra si dice che il mondo dopo il crack sarà radicalmente diverso da quello che abbiamo conosciuto. Un’ovvietà ripetuta in tutte le sedi ed è forse un bene. Il problema però è per quale mondo nuovo lavorare e quali priorità e valori costruire con il massimo consenso possibile. (altro…)
da Francesco Mandarini | Dic 12, 2008
Nel solo mese di novembre la disoccupazione negli Stati Uniti è aumentata di 533 mila unità . In pochi mesi sono stati perduti oltre due milioni di posti di lavoro. La crisi dell’industria automobilistica rischia di produrre, tra diretti e indiretti, oltre tre milioni di disoccupati. Lo Stato della California, ottava potenza economica del mondo, ha annunciato la bancarotta se non ci sarà un intervento del governo federale. Il grande crack del liberismo comincia a preoccupare anche G.W.Bush. Il commander in chief si è accorto soltanto adesso che il suo Paese è in recessione. Il bilancio complessivo dell’amico americano del nostro Capo è disastroso per l’America e per il mondo. Il presidente eletto Obama dovrà rimanere in panchina. Fino al 20 di gennaio del prossimo anno, giorno del giuramento, continua a decidere Bush. Fino ad oggi, non sembrano esserci ricette per invertire la tendenza negativa ma tutti riconoscono che la crisi è globale e muterà nel profondo il modo di essere delle società . Il modello di sviluppo del meno Stato e più mercato è catastroficamente fallito nel suo luogo di eccellenza, gli Stati Uniti, travolgendo l’intero pianeta. E’ certo che la vita di milioni di persone rischia di avere un peggioramento radicale se non si afferma un diverso modo di produrre e consumare. (altro…)
da Francesco Mandarini | Dic 5, 2008
Negli anni 2001-2006 al governo c’era Berlusconi e il Ministro dell’economia era Giulio Tremonti.
Erano gli anni della finanza creativa e dei condoni su tutto per fare cassa premiando chi evadeva, da una vita, tasse e tributi o depositava all’estero grandi ricchezze. Grazie alle scelte del Ministro Tremonti, i conti pubblici andarono fuori controllo e il rapporto debito Pil peggiorò così tanto da far attivare alla Commissione Europea una procedura d’infrazione contro l’Italia.
Sprezzante contro i burocrati di Bruxelles, Tremonti considerava i parametri di bilancio fissati dalla Comunità Europea un optional.
Per la cronaca. La procedura d’infrazione contro l’Italia è stata sospesa per l’azione di risanamento dei conti operata dal governo Prodi.
La gravità della crisi è tale da far decidere a Barroso, rigido Commissario della Commissione, la possibilità dello sforamento dei vincoli di Maastricht per i singoli stati. Un’opportunità per rendere più sostanzioso l’intervento pubblico nel contrasto ai fattori strutturali del crack non più solo finanziario, ma che riguarda l’economia reale. Tremonti e Berlusconi non intendono utilizzare questa possibilità , sono diventati rigorosissimi. Non sono più gli spendaccioni del quinquennio di governo precedente.
Dei veri paladini dei vincoli comunitari: nemmeno un Euro di aumento del disavanzo pubblico. Così i provvedimenti anticrisi votati venerdì dal Consiglio dei Ministri, dopo ampi approfondimenti che hanno impegnato per quasi dieci minuti i membri del governo, appaiono ai più come pannicelli caldi per curare la polmonite della crisi. La manovra è quantificata in 80 miliardi di Euro, ma per lo più si tratta di trucchi contabili. (altro…)