da Francesco Mandarini | Mar 30, 2012
Le cause di lavoro pendenti in Italia sono centocinquantamila. Lo sapete quante sono attivate ai sensi dell’articolo diciotto dello Statuto dei Lavoratori? Tra le trecento e le cinquecento. Il nuovo presidente di Confindustria, Squinzi, ha confermato l’insignificanza della norma per il funzionamento delle imprese. Fior, fiore di economisti e imprenditori sostengono che, i bassi investimenti, sono dovuti essenzialmente alla burocrazia, alla giustizia amministrativa e alla criminalità organizzata. Oltre che, ovviamente, alla gravità della crisi economica mondiale. D’altra parte lo Statuto è una legge che vige da quarantadue anni e nel passato, investimenti esteri in Italia non sono mancati. Definire rigido un mercato del lavoro che ha quarantasette tipologie contrattuali sembrerebbe una follia frutto dell’ideologia liberista che vorrebbe l’assoluta libertà dell’imprenditore nella gestione della forza lavoro. Ma d’ideologia si tratta, non di leggi naturali. Lo stesso pensiero unico che ha prodotto la disastrosa situazione dell’economia occidentale. Indifferenti ai riscontri negativi del loro concreto agire, le classi al potere, testardamente, vogliono applicare le loro ricette in ogni Paese. L’hanno fatto in Grecia, in Portogallo, in Gran Bretagna, in Spagna. I risultati? Squilibri tali che mettono a rischio la stessa tenuta sociale delle diverse nazioni e un impoverimento generalizzato. Sobriamente coerente con il pensiero unico, il governo Monti cerca di applicare le stesse ricette anche in Italia. Non accetta veti da parte di nessuno, dice. Mi spezzo ma non mi piego, dice educatamente. In realtà la destra pidiellina ha bloccato ripetutamente Monti quando il Premier o i suoi ciarlieri ministri hanno parlato di Rai o di giustizia o di taxi. Non sembrerebbe politicamente corretto che i veti non valgono soltanto per il Partito Democratico. Questo partito ha accettato con grande generosità di appoggiare Monti. Bersani è in mezzo ai guai. Ancora una volta le diverse anime dei democratici si confrontano sul da fare e lo fanno con la consueta asprezza. C’è chi sostiene che tutto ciò che dice e fanno la Fornero e Monti va sostenuto di là del merito e chi vorrebbe almeno il diritto di interloquire. Come pensano i montiani del PD di avere i voti dei milioni di lavoratori colpiti dai provvedimenti “ideologici†del governo? Pensa davvero l’onorevole Fioroni che abolire le salvaguardie dell’articolo diciotto consentirà ai giovani di ottenere un posto di lavoro decente? Secondo quale esperienza, a minori diritti sono corrisposti massicci investimenti in nuove attività produttive? A oggi alla stretta di Marchionne sulle condizioni di vita dei lavoratori della FIAT, è seguita la minaccia dello stesso Marchionne di chiudere altri due stabilenti in Italia. Purtroppo l’impressione è che il partito democratico rischia l’implosione proprio sulla questione delle tutele dei lavoratori. C’è chi sostiene che sono interventi non coerenti con il suo ruolo istituzionale ma Il presidente Napolitano è ripetutamente intervenuto a sostegno della “riforma†del mercato del lavoro. Sono le fabbriche che chiudono il problema, dice il presidente. E’ vero ma rimane incomprensibile il nesso tra questa problematica con la destrutturazione dell’articolo diciotto. Non lo dice soltanto quella estremista della Camusso ma economisti moderati che non hanno in testa né Marx né Keynes.
P.S. Ottime notizie dal Nord: il partitino del candido Rutelli appoggerà la candidatura a sindaco del leghista Tosi. Perfetto.
Corriere dell’Umbria 25 marzo2012
da Francesco Mandarini | Mar 30, 2012
Le cause di lavoro pendenti in Italia sono centocinquantamila. Lo sapete quante sono attivate ai sensi dell’articolo diciotto dello Statuto dei Lavoratori? Tra le trecento e le cinquecento. Il nuovo presidente di Confindustria, Squinzi, ha confermato l’insignificanza della norma per il funzionamento delle imprese. Fior, fiore di economisti e imprenditori sostengono che, i bassi investimenti, sono dovuti essenzialmente alla burocrazia, alla giustizia amministrativa e alla criminalità organizzata. Oltre che, ovviamente, alla gravità della crisi economica mondiale. D’altra parte lo Statuto è una legge che vige da quarantadue anni e nel passato, investimenti esteri in Italia non sono mancati. Definire rigido un mercato del lavoro che ha quarantasette tipologie contrattuali sembrerebbe una follia frutto dell’ideologia liberista che vorrebbe l’assoluta libertà dell’imprenditore nella gestione della forza lavoro. Ma d’ideologia si tratta, non di leggi naturali. Lo stesso pensiero unico che ha prodotto la disastrosa situazione dell’economia occidentale. Indifferenti ai riscontri negativi del loro concreto agire, le classi al potere, testardamente, vogliono applicare le loro ricette in ogni Paese. L’hanno fatto in Grecia, in Portogallo, in Gran Bretagna, in Spagna. I risultati? Squilibri tali che mettono a rischio la stessa tenuta sociale delle diverse nazioni e un impoverimento generalizzato. Sobriamente coerente con il pensiero unico, il governo Monti cerca di applicare le stesse ricette anche in Italia. Non accetta veti da parte di nessuno, dice. Mi spezzo ma non mi piego, dice educatamente. In realtà la destra pidiellina ha bloccato ripetutamente Monti quando il Premier o i suoi ciarlieri ministri hanno parlato di Rai o di giustizia o di taxi. Non sembrerebbe politicamente corretto che i veti non valgono soltanto per il Partito Democratico. Questo partito ha accettato con grande generosità di appoggiare Monti. Bersani è in mezzo ai guai. Ancora una volta le diverse anime dei democratici si confrontano sul da fare e lo fanno con la consueta asprezza. C’è chi sostiene che tutto ciò che dice e fanno la Fornero e Monti va sostenuto di là del merito e chi vorrebbe almeno il diritto di interloquire. Come pensano i montiani del PD di avere i voti dei milioni di lavoratori colpiti dai provvedimenti “ideologici” del governo? Pensa davvero l’onorevole Fioroni che abolire le salvaguardie dell’articolo diciotto consentirà ai giovani di ottenere un posto di lavoro decente? Secondo quale esperienza, a minori diritti sono corrisposti massicci investimenti in nuove attività produttive? A oggi alla stretta di Marchionne sulle condizioni di vita dei lavoratori della FIAT, è seguita la minaccia dello stesso Marchionne di chiudere altri due stabilenti in Italia. Purtroppo l’impressione è che il partito democratico rischia l’implosione proprio sulla questione delle tutele dei lavoratori. C’è chi sostiene che sono interventi non coerenti con il suo ruolo istituzionale ma Il presidente Napolitano è ripetutamente intervenuto a sostegno della “riforma” del mercato del lavoro. Sono le fabbriche che chiudono il problema, dice il presidente. E’ vero ma rimane incomprensibile il nesso tra questa problematica con la destrutturazione dell’articolo diciotto. Non lo dice soltanto quella estremista della Camusso ma economisti moderati che non hanno in testa nè Marx nè Keynes.
P.S. Ottime notizie dal Nord: il partitino del candido Rutelli appoggerà la candidatura a sindaco del leghista Tosi. Perfetto.
Corriere dell’Umbria 25 marzo2012
da Francesco Mandarini | Mar 19, 2012
Il differenziale tra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi è tornato venerdì scorso ai livelli dell’agosto 2011. Buona notizia che consente qualche risparmio alle finanze pubbliche e che certifica l’affidabilità del governo Monti nei mercati finanziari. Rimane ancora misteriosa la politica del governo per ciò che concerne la crescita del Paese. Bisogna intendersi quando si parla di crescita. Immaginare uno sviluppo basato su massicci interventi pubblici in infrastrutture che hanno un impatto massiccio nel territorio, non è ipotizzabile nè per ragioni finanziarie, le risorse non ci sono, nè per ragioni ecologiche. E’ invece augurabile una crescita che risolva l’antico problema della manutenzione volta a evitare i vari disastri chiamati naturali, ma che naturali non sono. L’Italia è una terra “giovane” sottoposta a frane, terremoti, inondazioni. Una politica di messa a norma delle vastissime zone a rischio sarebbe una scelta saggia: è certificato che il costo di risanamento è nettamente inferiore a quanto si deve investire per risanare i disastri. Quante sono le nuove abitazioni che rimangono per anni sfitte? Non c’è statistica che l’abbia raccontato. E nessuno sta facendo indagini su quanta parte dei centri storici sia disabitata e priva di ogni funzione economica. Si continuano a costruire palazzi e centri commerciali mentre parti consistenti delle città sono in decadenza. E’ inimmaginabile una scelta politico-amministrativa che incentivi il riuso di spazi all’interno delle cinte urbane? Quanto lavoro si potrebbe creare se invece di ricercare le risorse della Bucalossi, i comuni favorissero il recupero delle vecchie strutture abitative, commerciali o d’intrattenimento? Non è possibile riconvertire parte delle imprese edili in aziende volte al restauro delle abitazioni dei rioni dei centri urbani ormai ridotti a gusci vuoti? Crescere per una società è possibile anche favorendo i consumi collettivi. Una sanità e un sistema scolastico adeguati ai tempi significano anche possibilità di lavoro e non solo, quindi, la soddisfazione e la tutela di diritti essenziali dei cittadini. Ciò che ha prevalso in questi anni è stata una politica di tagli al già precario welfare italiano. Siamo in Europa agli ultimi posti in settori fondamentali quali la scuola e le politiche per la famiglia. Il governo della destra non ha fatto nulla per invertire la tendenza all’impoverimento delle famiglie italiane. C’era la speranza che il nuovo governo, oltre a affrontare l’emergenza del debito, avesse in mente qualcosa di diverso dalla solita ricetta del neo-liberismo, meno stato più mercato. Si sperava che visto il fallimento “mondiale” di tale impostazione, Monti avrebbe cercato rimedi diversi. Al momento non se ne vedono. La discussione sembra impantanata sulla riforma del mercato del lavoro e sull’articolo diciotto dello statuto del lavoro. Lo Stato continua a non pagare i propri fornitori. Le aziende continuano a chiudere; la cassa integrazione ad aumentare; la sanità pubblica a decadere a vantaggio di quella (più costosa) privata. Ma lo spread diminuisce e, com’è noto, la speranza rimane l’ultima a morire. E i così detti partiti? Il festival degli scandali a tutte le latitudini sembrano le sole notizie rilevanti a conferma della decadenza della democrazia repubblicana. Corriere dell’Umbria 18 marzo 2012
da Francesco Mandarini | Mar 13, 2012
L’economia di carta, quella della finanza, degli spread e di quell’incomprensibile groviglio di speculazioni e facili arricchimenti, sembra meno volatile. L’economia reale, quella che produce beni materiali, lavoro e benessere per il popolo, va malissimo. A gennaio la produzione di auto è calata del trentatré e cinque per cento con effetti devastanti su tutto l’indotto delle piccole fabbriche. I tassi di disoccupazione e di cassa integrazione continuano a crescere provocando un malessere sociale colto intelligentemente nella manifestazione di Roma della FIOM. Sul significato della manifestazione Valentino Parlato ricorda che: “la nostra Costituzione afferma che siamo una Repubblica fondata sul lavoro. Nell’attuale confronto sulla riforma del lavoro, va data grande attenzione anche agli aspetti simbolici. E vengo all’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, sul quale siamo a uno scontro fondamentalmente ideologico, simbolico, cui anche il Presidente Napolitano dovrebbe prestare più attenzione. Un industriale come Carlo De Benedetti ha detto che l’art.18 non gli è mai servito nella gestione d’impresa. Cancellare l’art. 18 oggi non serve affatto agli imprenditori. Cancellarlo è solo dare uno schiaffo in faccia a chi lavora e ai sindacati tutti, dire loro che debbono piegare la schiena davanti al padroneâ€. Non ha ragione il fondatore del Manifesto? Una forzatura del governo rispetto a questa materia non potrebbe che provocare l’esplosione di un conflitto di cui il Paese non ha bisogno. La moria d’imprese, piccole e medie è dovuta alla ventennale mancanza di ogni politica industriale e di sviluppo. Il nodo non è quello di rendere più facili i licenziamenti ma quello di creare occasioni che rendono possibile una nuova fase di crescita del Paese. A questo la politica deve dare risposta. Riprogettare l’Italia è compito del governo centrale ma anche delle realtà regionali. Da questo punto di vista impressiona lo stato della politica in Umbria. La nostra è una terra che è uscita dal sottosviluppo soltanto qualche decennio fa. Pur in ritardo nella rete delle infrastrutture tradizionali, e debole nel settore del terziario avanzato, ha saputo negli anni settanta e ottanta crescere conquistando mercati non solo nel tessile e nell’abbigliamento ma anche nella meccanica, nell’industria alimentare e in altri settori produttivi. La sottocapitalizzazione delle imprese ha sollecitato politiche della pubblica amministrazione tese a fornire risorse ma essenzialmente progetti di sviluppo, utilizzando al meglio i fondi comunitari. La tenuta sociale è stata assicurata da un welfare regionale e locale eccellente in alcuni settori, ma anche con aspetti di assistenzialismo basato sull’implementazione delle strutture burocratiche. Oggi tutto questo è in crisi e negarlo sarebbe da sciocchi. Sandra Monacelli, capogruppo dell’UDC in consiglio regionale, sostiene che per affrontare “questa inedita congiuntura storica†c’è bisogno di formule nuove. Se ho ben compreso, si tratterebbe di tradurre in umbro l’esperienza del governo Monti. La proposta ha una sua legittimità nella misura in cui il centrosinistra non riesce a ritrovare la strada di stare insieme in maniera civile e produttiva. Soprattutto è urgente dimostrare che l’alleanza al potere è in grado di assicurare una capacità di governo adeguata alle esigenze di una crisi che rende ormai precaria la stessa tenuta sociale della nostra comunità .
da Francesco Mandarini | Mar 13, 2012
L’economia di carta, quella della finanza, degli spread e di quell’incomprensibile groviglio di speculazioni e facili arricchimenti, sembra meno volatile. L’economia reale, quella che produce beni materiali, lavoro e benessere per il popolo, va malissimo. A gennaio la produzione di auto è calata del trentatrè e cinque per cento con effetti devastanti su tutto l’indotto delle piccole fabbriche. I tassi di disoccupazione e di cassa integrazione continuano a crescere provocando un malessere sociale colto intelligentemente nella manifestazione di Roma della FIOM. Sul significato della manifestazione Valentino Parlato ricorda che: “la nostra Costituzione afferma che siamo una Repubblica fondata sul lavoro. Nell’attuale confronto sulla riforma del lavoro, va data grande attenzione anche agli aspetti simbolici. E vengo all’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, sul quale siamo a uno scontro fondamentalmente ideologico, simbolico, cui anche il Presidente Napolitano dovrebbe prestare più attenzione. Un industriale come Carlo De Benedetti ha detto che l’art.18 non gli è mai servito nella gestione d’impresa. Cancellare l’art. 18 oggi non serve affatto agli imprenditori. Cancellarlo è solo dare uno schiaffo in faccia a chi lavora e ai sindacati tutti, dire loro che debbono piegare la schiena davanti al padrone”. Non ha ragione il fondatore del Manifesto? Una forzatura del governo rispetto a questa materia non potrebbe che provocare l’esplosione di un conflitto di cui il Paese non ha bisogno. La moria d’imprese, piccole e medie è dovuta alla ventennale mancanza di ogni politica industriale e di sviluppo. Il nodo non è quello di rendere più facili i licenziamenti ma quello di creare occasioni che rendono possibile una nuova fase di crescita del Paese. A questo la politica deve dare risposta. Riprogettare l’Italia è compito del governo centrale ma anche delle realtà regionali. Da questo punto di vista impressiona lo stato della politica in Umbria. La nostra è una terra che è uscita dal sottosviluppo soltanto qualche decennio fa. Pur in ritardo nella rete delle infrastrutture tradizionali, e debole nel settore del terziario avanzato, ha saputo negli anni settanta e ottanta crescere conquistando mercati non solo nel tessile e nell’abbigliamento ma anche nella meccanica, nell’industria alimentare e in altri settori produttivi. La sottocapitalizzazione delle imprese ha sollecitato politiche della pubblica amministrazione tese a fornire risorse ma essenzialmente progetti di sviluppo, utilizzando al meglio i fondi comunitari. La tenuta sociale è stata assicurata da un welfare regionale e locale eccellente in alcuni settori, ma anche con aspetti di assistenzialismo basato sull’implementazione delle strutture burocratiche. Oggi tutto questo è in crisi e negarlo sarebbe da sciocchi. Sandra Monacelli, capogruppo dell’UDC in consiglio regionale, sostiene che per affrontare “questa inedita congiuntura storica” c’è bisogno di formule nuove. Se ho ben compreso, si tratterebbe di tradurre in umbro l’esperienza del governo Monti. La proposta ha una sua legittimità nella misura in cui il centrosinistra non riesce a ritrovare la strada di stare insieme in maniera civile e produttiva. Soprattutto è urgente dimostrare che l’alleanza al potere è in grado di assicurare una capacità di governo adeguata alle esigenze di una crisi che rende ormai precaria la stessa tenuta sociale della nostra comunità .