Federalismo diplomatico

Anche i leghisti si sono indignati. Con la solita raffinata filosofia Bossi ha accusato il Ministro Brancher di essere stato poco furbo. E’ la furbizia non l’etica, che è mancata al Ministro all’attuazione del federalismo. Brancher, già  dirigente Fininvest, ha richiesto il legittimo impedimento per non dover rispondere ai magistrati in un processo in cui è accusato di cose gravissime. Michele Ainis ha scritto sulla Stampa di Torino:”E’ irrituale il comunicato di Napolitano sul caso Brancher? Può darsi; ma certamente è fuori da ogni rito democratico che un ministro senza ministero, prima ancora di capire quale sia il suo daffare nel governo, mandi a dire ai propri giudici che ha troppo da fare, verrà  in tribunale un’altra volta. Trasformando il sospetto in una prova, quanto alle ragioni della sua fulminea nomina. E soprattutto trasformando il legittimo impedimento in un’onda collettiva di legittima indignazione.” E sì questa volta a Berlusconi non è andata benissimo. La scelta di aumentare un ministero era già  discutibile. Di federalismo se ne stanno occupando almeno altri quattro ministri. Banalmente Berlusconi, nominandolo ministro, voleva salvare il suo ex dipendente dalle sue beghe con la legge. Si inventa un ministero inutile come un frigorifero al polo nord, mentre a due mesi dalle dimissioni di Scajola, ancora non c’è un ministro allo sviluppo economico. L’indignazione è stata così diffusa che anche il cauto Napolitano, anche al di là  del ruolo che svolge, ha dovuto prendere posizione. Non c’è Paese al mondo in cui un politico sotto processo possa diventare ministro. Non conosco con esattezza il numero di ministri, sottosegretari o parlamentari sotto indagine per reati gravissimi ma la cosa, in Italia, non sembrerebbe meravigliare nessuno. Sembrerebbe. Se la maggioranza degli opinion maker non pare indignata per questa particolarità  italiana, la gente comune ha cominciato a ritenere singolare che la classe dirigente imponga sacrifici a tutti mentre alcuni politici, alcuni industriali, alcuni rentier e moltissimi altri continuano nei loro traffici illegali o ad evadere sistematicamente le tasse. In modi tradizionali, scioperi e manifestazioni di piazza o nelle piazze virtuali, blog e siti in rete, la protesta comincia a crescere. La discussione sulla manovra finanziaria è divenuta molto aspra e non riguarda soltanto governo e opposizione. Regioni e Comuni hanno con nettezza rifiutato l’ipotesi di Tremonti di scaricare sulla struttura decentrata della spesa pubblica tutto il peso della crisi. Non si tratta soltanto della difesa dell’interesse del ceto politico locale di avere risorse a dispetto della crisi. Trasporti, servizi socio-sanitari, scuole sono competenze regionali e comunali. Il taglio previsto renderà  impossibile, a meno di aumentare le tasse, mantenere a livelli di civiltà  questi servizi al cittadino.
Certo qualche ridimensionamento nelle spese regionali e locali bisognerà  pur farlo. Gli sprechi non sono mancati in questi anni. L’enormità  degli addetti alla carriera politica si aggiunge ai clientes da soddisfare se si vuol conservare il proprio sistema di potere. La casta non è un’invenzione giornalistica.
Un esempio pesante delle attitudini della casta è quello della presenza delle regioni con sedi e funzionari in molti Paesi. Avete mai incontrato nei vostri viaggi all’estero o semplicemente visitando Roma, la rappresentanza dello Stato della California o quella della Wesfalia? Vi siete mai imbattuti a Milano nella sede della regione di Parigi o della Baviera? Sapete che le sedi delle regioni italiane all’estero sono 178? La creatività  italiana non ha limiti. La regione Veneto ha aperto dieci, rappresentanze in Cina, un ufficio in Bielorussia, uno in Bosnia, un paio in Canada, tre in Romania, quattro negli Stati Uniti, ecc”¦ecc. Piemonte, Lombardia e Veneto ne hanno complessivamente 78.Questa Farnesina regionale frantumata, questo federalismo diplomatico nel mondo è un significativo spreco di risorse pubbliche che serve esclusivamente ad un turismo amministrativo che è sempre stato sgradevole ma in una fase di crisi come l’attuale in cui sono messi a rischio servizi primari al cittadino diviene intollerabile. Da questo punto di vista la nostra è stata una regione sobria. Ciò non significa che non sia necessaria anche dalle nostre parti una riconsiderazione di ciò che si è istituzionalizzato in questi anni. Anche da noi è arrivato il tempo di introdurre alcuni criteri di base nell’organizzare la presenza pubblica nella società . Sarà  un’antica passione, ma rimango convinto che una parte consistente dell’attività  politica e di quella amministrativa deve svolgersi attraverso il lavoro volontario, non retribuito. Il male oscuro della politica è il carrierismo e relative prebende. Questo provoca una rincorsa affannosa a cercare il santo protettore capace di assicurarti un posto e un guadagno economico. Sono certi i partiti che non sia possibile far funzionare alcuni settori della pubblica amministrazione attraverso il volontariato? Eppure vi sono studi e ricerche che dimostrano come sia i giovani che gli anziani sono fortemente interessati ad attività  pubbliche anche senza avere un tornaconto finanziario. La presidente Marini ha parlato ripetutamente di necessaria sobrietà  e rigore nella gestione della cosa pubblica. Giusta impostazione a cui dare sostanza. Non sono in grado di individuare quali e quanti siano gli enti e le strutture da riconvertire o chiudere. Forse introducendo il criterio della gratuità  dell’incarico sarebbe più facile combattere municipalismi e localismi. Non annullo le circoscrizioni, ma la loro gestione è assicurata dal lavoro volontario da organizzare tra i cittadini interessati. Non chiudo l’ente culturale, ma il presidente e i membri del consiglio di amministrazione svolgono il loro ruolo gratuitamente o solo a rimborso spese. Un’utopia? Possibile, ma resto convinto che se non si ridimensiona alla radice il carrierismo politico non si va da nessuna parte. Si dirà  che certi incarichi necessitano del tempo pieno ed è vero. Un’altra utopia: chi sarà  a tempo pieno riceverà  un’indennità  pari al suo salario, i liberi professionisti e i membri del popolo delle partite IVA, avranno l’indennità  parametrata alla dichiarazione dei redditi. Lo so si tratta di pura fantasia, ma non sempre i sogni muoiono all’alba.

La Cina è vicina

A scuola ci hanno insegnato che la storia è maestra di vita. Osservando ciò che succede nel mondo della politica e dell’economia viene spontaneo pensare che il ceto dirigente di storia ne abbia studiata poca. Parlano di modernità  e ci propongono il ritorno all’ottocento o al modello di produzione asiatico.
Infatti, la destra politica ed economica presenta l’attacco all’articolo 41 della Costituzione come un esempio della modernità  da dover perseguire nel nostro Paese e l’accordo Fiat per Pomigliano il massimo di una nuova, avanzatissima metodologia contrattuale da estendere a tutti i lavoratori. Le due cose, modifica costituzionale e contratto Fiat, vanno lette come frutto di un unico progetto. Un disegno che, se realizzato, porterà  l’Italia a competere non con la Germania o con i Paesi nordici, ma con i trattamenti del lavoro vigenti in Cina o in Indonesia.
Dalla sua promulgazione ad oggi, non esiste una sola sentenza della Corte Costituzionale concernente l’articolo 41. Non c’è stato mai un imprenditore che abbia subito un danno dal rispetto dei principi previsti nella norma. Anzi, analizzando i dati dell’economia sommersa, degli incidenti sul lavoro, sull’evasione fiscale non sembra proprio che i vincoli all’imprenditorialità , denunciati da Tremonti e Sacconi, abbiano gran che funzionato.
Per essere innovativi e moderni bisogna comunque eliminarli anche formalmente assieme ai contratti nazionali di lavoro. Così che l’iniziativa privata possa svolgersi non solo liberamente ma a prescindere dalla sicurezza, dalla libertà  dei lavoratori e dalla dignità  umana e con contratti sempre più individuali. Duecento anni di avanzamento dei diritti del lavoro cancellati in nome della concorrenza, un bel salto di qualità . Così se in Germania gli imprenditori e i sindacati lavorano sull’innovazione di prodotto e su un’organizzazione del lavoro più efficace, qui da noi l’unico vincolo da superare è l’alto costo della produzione unito ad una Costituzione arcaica che impedisce la creatività  imprenditoriale. Come se la bassa produttività  dipendesse dalla cattiva volontà  dei lavoratori e non da una bassa propensione all’investimento in ricerca e innovazione e dall’arretratezza di tutte le infrastrutture del Paese. Negare che la burocrazia italiana va destruttura e innovata profondamente sarebbe una sciocchezza. La farraginosità  dei controlli e dei permessi per aprire un’attività  economica è stata costruita attraverso leggi ordinarie e da una marea di circolari e di regolamenti che vengono stilati dai ministeri o dalle amministrazioni regionali, provinciali, comunali o dalle Camere di Commercio.
Per cambiare le cose basterebbero analizzare e rimuovere questa marea di norme che non sono frutto del dettato costituzionale, ma dell’incapacità  della politica e degli apparati burocratici di cui spesso sono figli. Ogni firma necessaria ad un progetto, ogni permesso esprime un piccolo o grande potere che viene esercitato con determinazione, con lentezza e a volte in modo becero e arrogante. Anche da qui nascono l’inquinamento e la corruzione. Questo è il problema. L’ottimo Brunetta avrebbe un gran lavoro da fare per modernizzare la burocrazia del Paese. Ha perso del tempo nella corsa alla sindacatura di Venezia. Non ha vinto il posto da primo cittadino della laguna, ha tempo per dedicarsi al suo impegno di Ministro. Buon lavoro.
Molto lavoro spetta al parlamento. Legge sull’intercettazioni, decreti tremontiani sulla crisi finanziaria sono le due scadenze principali. Sulla legge bavaglio si spera in un ripensamento della maggioranza dopo l’esplodere di proteste in Italia e all’estero.
Per il decreto Tremonti i giornali segnalano questa situazione:
“sono 2.550 gli emendamenti presentati dai vari gruppi parlamentari alla manovra in discussione in commissione Bilancio al Senato. Quasi la metà  sono della maggioranza. Il gruppo del Pdl è in testa quanto a proposte di modifica con 1.116 emendamenti. Dalla Lega sono arrivate 89 proposte di modifica, dal Pd 823. L’Italia dei Valori ha presentato 149 emendamenti, 293 l’Udc e 80 dal gruppo misto. Gli ordini del giorno sono in totale 43. Al momento non sono state presentate proposte di modifica dal relatore Antonio Azzollini e dal governo. La commissione Bilancio è convocata per martedì alle 15 con la replica di relatore e governo e poi inizierà  l’esame degli emendamenti. Da calendario, la manovra sarà  in aula il primo luglio.”
Un quadro difficile che lascia prevedere l’esplodere di tensioni nella maggioranza e tra questa e l’opposizione. La conferenza dei presidenti di regione ha già  espresso una valutazione allarmata. I sindaci di tutta Italia hanno previsto una manifestazione nazionale di protesta. La CGIL ha indetto uno sciopero e anche CISL e UIL guardano con preoccupazione quanto si deciderà  in parlamento. Angeletti e Bonanni sperano che la loro buona vicinanza con il Ministro Sacconi porti buoni frutti.
Il PD promette emendamenti che delineino una linea alternativa a quella del Governo. Staremo a vedere.
Per intanto il gruppo dirigente ha mostrato una grande varietà  di posizioni rispetto a quanto sta succedendo a Pomigliano. Innegabile la difficoltà  di prendere una posizione netta. Il problema è complesso per un partito che ha al suo interno supporter della CISL, della UIL, della CGIL, della FIOM è complicato scegliere. Ci si poteva augurare una maggior preoccupazione per le parti dell’accordo che prevedono, di fatto, il ridimensionamento di un diritto costituzionale o l’annichilimento del contratto nazionale. Qualche balbettio c’è stato, ma non più di tanto. Si andrà  ad un referendum che concerne anche un diritto indisponibile, non contrattabile per nessuno. Quello previsto all’articolo 40 della Costituzione. Il diritto di sciopero. Sacconi e Tremonti sostengono che con l’accordo vinceranno i riformisti. Se l’accordo capestro di Marchionne è il riformismo che va bene alla destra forse qualche problema di aggettivazione per Bersani e company c’è. Dovranno trovare un’altra definizione per il loro partito. Tempo ce ne è: per il PD siamo ancora al working progress, ed è nota la creatività  dei democratici.

La Cina è vicina

A scuola ci hanno insegnato che la storia è maestra di vita. Osservando ciò che succede nel mondo della politica e dell’economia viene spontaneo pensare che il ceto dirigente di storia ne abbia studiata poca. Parlano di modernità e ci propongono il ritorno all’ottocento o al modello di produzione asiatico.
Infatti, la destra politica ed economica presenta l’attacco all’articolo 41 della Costituzione come un esempio della modernità da dover perseguire nel nostro Paese e l’accordo Fiat per Pomigliano il massimo di una nuova, avanzatissima metodologia contrattuale da estendere a tutti i lavoratori. Le due cose, modifica costituzionale e contratto Fiat, vanno lette come frutto di un unico progetto. Un disegno che, se realizzato, porterà l’Italia a competere non con la Germania o con i Paesi nordici, ma con i trattamenti del lavoro vigenti in Cina o in Indonesia.
Dalla sua promulgazione ad oggi, non esiste una sola sentenza della Corte Costituzionale concernente l’articolo 41. Non c’è stato mai un imprenditore che abbia subito un danno dal rispetto dei principi previsti nella norma. Anzi, analizzando i dati dell’economia sommersa, degli incidenti sul lavoro, sull’evasione fiscale non sembra proprio che i vincoli all’imprenditorialità, denunciati da Tremonti e Sacconi, abbiano gran che funzionato.
Per essere innovativi e moderni bisogna comunque eliminarli anche formalmente assieme ai contratti nazionali di lavoro. Così che l’iniziativa privata possa svolgersi non solo liberamente ma a prescindere dalla sicurezza, dalla libertà dei lavoratori e dalla dignità umana e con contratti sempre più individuali. Duecento anni di avanzamento dei diritti del lavoro cancellati in nome della concorrenza, un bel salto di qualità. Così se in Germania gli imprenditori e i sindacati lavorano sull’innovazione di prodotto e su un’organizzazione del lavoro più efficace, qui da noi l’unico vincolo da superare è l’alto costo della produzione unito ad una Costituzione arcaica che impedisce la creatività imprenditoriale. Come se la bassa produttività dipendesse dalla cattiva volontà dei lavoratori e non da una bassa propensione all’investimento in ricerca e innovazione e dall’arretratezza di tutte le infrastrutture del Paese. Negare che la burocrazia italiana va destruttura e innovata profondamente sarebbe una sciocchezza. La farraginosità dei controlli e dei permessi per aprire un’attività economica è stata costruita attraverso leggi ordinarie e da una marea di circolari e di regolamenti che vengono stilati dai ministeri o dalle amministrazioni regionali, provinciali, comunali o dalle Camere di Commercio.
Per cambiare le cose basterebbero analizzare e rimuovere questa marea di norme che non sono frutto del dettato costituzionale, ma dell’incapacità della politica e degli apparati burocratici di cui spesso sono figli. Ogni firma necessaria ad un progetto, ogni permesso esprime un piccolo o grande potere che viene esercitato con determinazione, con lentezza e a volte in modo becero e arrogante. Anche da qui nascono l’inquinamento e la corruzione. Questo è il problema. L’ottimo Brunetta avrebbe un gran lavoro da fare per modernizzare la burocrazia del Paese. Ha perso del tempo nella corsa alla sindacatura di Venezia. Non ha vinto il posto da primo cittadino della laguna, ha tempo per dedicarsi al suo impegno di Ministro. Buon lavoro.
Molto lavoro spetta al parlamento. Legge sull’intercettazioni, decreti tremontiani sulla crisi finanziaria sono le due scadenze principali. Sulla legge bavaglio si spera in un ripensamento della maggioranza dopo l’esplodere di proteste in Italia e all’estero.
Per il decreto Tremonti i giornali segnalano questa situazione:
“sono 2.550 gli emendamenti presentati dai vari gruppi parlamentari alla manovra in discussione in commissione Bilancio al Senato. Quasi la metà sono della maggioranza. Il gruppo del Pdl è in testa quanto a proposte di modifica con 1.116 emendamenti. Dalla Lega sono arrivate 89 proposte di modifica, dal Pd 823. L’Italia dei Valori ha presentato 149 emendamenti, 293 l’Udc e 80 dal gruppo misto. Gli ordini del giorno sono in totale 43. Al momento non sono state presentate proposte di modifica dal relatore Antonio Azzollini e dal governo. La commissione Bilancio è convocata per martedì alle 15 con la replica di relatore e governo e poi inizierà l’esame degli emendamenti. Da calendario, la manovra sarà in aula il primo luglio.”
Un quadro difficile che lascia prevedere l’esplodere di tensioni nella maggioranza e tra questa e l’opposizione. La conferenza dei presidenti di regione ha già espresso una valutazione allarmata. I sindaci di tutta Italia hanno previsto una manifestazione nazionale di protesta. La CGIL ha indetto uno sciopero e anche CISL e UIL guardano con preoccupazione quanto si deciderà in parlamento. Angeletti e Bonanni sperano che la loro buona vicinanza con il Ministro Sacconi porti buoni frutti.
Il PD promette emendamenti che delineino una linea alternativa a quella del Governo. Staremo a vedere.
Per intanto il gruppo dirigente ha mostrato una grande varietà di posizioni rispetto a quanto sta succedendo a Pomigliano. Innegabile la difficoltà di prendere una posizione netta. Il problema è complesso per un partito che ha al suo interno supporter della CISL, della UIL, della CGIL, della FIOM è complicato scegliere. Ci si poteva augurare una maggior preoccupazione per le parti dell’accordo che prevedono, di fatto, il ridimensionamento di un diritto costituzionale o l’annichilimento del contratto nazionale. Qualche balbettio c’è stato, ma non più di tanto. Si andrà ad un referendum che concerne anche un diritto indisponibile, non contrattabile per nessuno. Quello previsto all’articolo 40 della Costituzione. Il diritto di sciopero. Sacconi e Tremonti sostengono che con l’accordo vinceranno i riformisti. Se l’accordo capestro di Marchionne è il riformismo che va bene alla destra forse qualche problema di aggettivazione per Bersani e company c’è. Dovranno trovare un’altra definizione per il loro partito. Tempo ce ne è: per il PD siamo ancora al working progress, ed è nota la creatività dei democratici.

Macelleria sociale

Un altro venerdì nero per le borse mondiali. La crisi finanziaria sembra senza fine. Aumenta l’incertezza. La cosa non riguarda soltanto i piccoli risparmiatori. La crisi coinvolge tutte le famiglie perchè in tutte le famiglie c’è il giovane disoccupato o un pensionato o un lavoratore che hanno visto ridimensionato il proprio tenore di vita. Sommerso da statistiche che confermano quasi sempre il degrado del nostro Paese, il popolo vorrebbe capire quale strada la politica indica per risolvere i problemi, ma la politica continua con i suoi riti incomprensibili ai più. I teatrini sono gli stessi: Ballarò, Anno Zero, Porta a Porta, svolgono i loro spettacoli con un canovaccio sempre uguale, con uguali protagonisti. Al popolo spetta il ruolo di tifoso da curva Nord. L’umore del cittadino di destra o di sinistra cambia se Tizio è stato più bravo di Caio nel dibattito televisivo. Una farsa in cui era difficile ridere, ma che si sta convertendo in una tragedia. Difficile non allarmarsi. La quotidianità  ci ricorda le difficoltà  nell’immaginare un futuro sereno per la nostra comunità , mentre la classe dirigente continua a trastullarsi in dibattiti in cui prevale l’interesse ad insultare l’avversario piuttosto che a trovare soluzioni ai problemi del Paese. A due settimane dall’annuncio si comincia a capire che cosa prevede il decreto da 25 miliardi voluto da Tremonti e accettato a collo torto da Berlusconi. Al di là  dell’analisi dei singoli provvedimenti, si può affermare che è evidente un paradosso: coloro che subiscono la crisi pagheranno la crisi e coloro che la crisi hanno prodotto, non pagheranno un Euro. Anzi alcuni continueranno ad arricchirsi proprio attraverso l’utilizzo dei meccanismi della crisi finanziaria. Capiremo nelle prossime settimane cosa proporranno le forze politiche per rendere i provvedimenti più equi. Per adesso quello che colpisce è l’incapacità  del centrosinistra di prospettare uno scenario diverso da quello di Tremonti. E’ indubbia la responsabilità  del governo nell’aver negato fino a poche settimane fa la gravità  della situazione. Ma il centrosinistra non è stato fino ad ora in grado di proporre alternative ai tagli imposti dal governo. L’Italia è un Paese in cui la ricchezza è distribuita senza alcuna equità . Negli ultimi decenni, anche quando il centrosinistra è stato al governo, si è allargata la forbice tra i ricchi e i poveri. La crisi non potrebbe essere l’occasione per restringere la forbice? Non sarebbe giusto far pagare più coloro che più posseggono? Non dovrebbe essere questo l’orizzonte di una forza anche timidamente riformista? Per i riformisti nostrani sembra quasi una bestemmia parlare dei grandi patrimoni o delle rendite finanziarie che, in Italia, sono tassate in modo ridicolo. Destra, sinistra e centro invocano la lotta all’evasione fiscale. Il governatore Draghi ha denunciato il fatto che la macelleria sociale che risulterà  dai provvedimenti nasce dal livello di evasione. Sacrosanto. Che fare, quindi? La scelta tremontiana è chiara: ridimensionare la spesa pubblica. Lo si ottiene bloccando gli stipendi dei dipendenti pubblici, intervenendo sulle pensioni e ridimensionando la spesa delle regioni e delle autonomie locali. Coerente con ciò che si è prodotto in questi anni attraverso i tagli alla scuola e alle università  pubbliche o alla ricerca, il governo propone una ricetta di salvaguardia dei conti pubblici per soddisfare i vincoli comunitari. Quali sono le proposte alternative dell’opposizione? Non è dato sapere. Drammaticamente emergono la debolezza del partito democratico e l’estremismo parolaio delle altre forze di centrosinistra. E’ allarmante il fatto che ancora oggi il PD non riesca a darsi un’identità  riconoscibile. Forse è giunto il tempo di analizzare in profondità  le ragioni della perdurante fragilità  del riformismo italiano. Oggi il PD è un partito di amministratori locali che però non ha un’organizzazione territoriale che vive al di là  delle scadenze elettorali. (altro…)

La firma

Non ha ancora firmato. Allarme fortunatamente a borsa chiusa. Evidentemente non c’era urgenza d’intervenire per affrontare una crisi che sta mettendo in dubbio la stessa esistenza della moneta unica europea. Martedì, Berlusconi aveva con determinazione, preteso che il Consiglio dei Ministri approvasse a scatola chiusa il decreto di tagli per 24 miliardi voluto dal ministro Tremonti. Venerdì viene comunicato dal Capo che la firma necessaria non c’è ancora. Chi ci capisce qualcosa è bravo. La realtà  è semplicemente questa: a quattro giorni dalla decisione del governo, non c’è ancora un testo definitivo del decreto. Non esiste perchè le forze politiche al governo sono divise su cosa inserire nel decreto, su quali interventi fare. Si aboliscono le province con meno di 220 mila abitanti? Tremonti dice di sì, Berlusconi lo nega e Bossi annuncia guerra civile se si abolisse la provincia di Bergamo. Che statista straordinario. Si spostano i versamenti delle liquidazioni dei dipendenti pubblici? E chi lo sa. Formigoni, il presidente  della regione lombarda, denuncia che, con questi tagli alle regioni e alle autonomie locali, muore ogni ipotesi federalista. Calderoli ministro leghista assicura che non è così. Federalismo sarà , lo assicura Berlusconi. Si potrebbe continuare ad elencare le divisioni della destra, ma sarebbe un esercizio inutile. Soltanto sabato in tarda mattinata il decreto viene consegnato a Napolitano. Non ne conosciamo il contenuto finale.
La prima cosa che una classe dirigente dovrebbe fare sarebbe quella di dire la verità  agli italiani. E la verità  è che la crisi che stiamo vivendo non nasce con il caso Grecia, ma ha origine dalle contraddizioni e dalle debolezze del nostro Paese. Nei due anni di governo Berlusconi si sono persi 700 mila posti di lavoro, la produzione industriale è tornata ai livelli del 1985, intere generazioni di giovani sono senza lavoro, la spesa pubblica è cresciuta senza controllo e senza aumentare la qualità  dei servizi al cittadino. Berlusconi ha dichiarato: abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità . Domanda: chi ha avuto questa possibilità , signor presidente?
L’Italia è il Paese occidentale in cui la differenza tra ricchi e poveri è aumentata in maniera patologica. Siamo i primi al mondo in accoppiata con gli Stati Uniti. I poveri sempre più poveri, i ricchi sempre più ricchi. L’impoverimento riguarda anche fasce ampie di ceto medio e soltanto il risparmio delle famiglie ha consentito a molti un livello di vita accettabile. Il popolo in questi anni non ha scialacquato, non ne ha avuti i mezzi.
Aver sostenuto per mesi che la crisi era alle nostre spalle contrasta con la richiesta di  sacrifici che ci impone lo stato dei conti pubblici. Al di là  dei vincoli europei. Non è questione di pessimismo o ottimismo. Nessuno può sostenere che non bisogna intervenire anche chiedendo al popolo dei sacrifici. L’Italia, la sua storia lo dimostra, riesce a dare il meglio di sè nei periodi difficili. Se è chiara la strada e le prospettive che si vogliono raggiungere la risposta è sempre stata positiva. Il piccolo imprenditore o la casalinga riescono ad inventare atteggiamenti per superare le fasi di crisi. Se ritiene giusta l’azione delle leadership al potere, il popolo sa rispondere con passione e intelligenza.
Ciò che non è più tollerabile è il continuare a pretendere che soltanto una parte del Paese sia sacrificata. La crisi ha origini diverse, ma la principale è stata la finanziarizzazione dell’economia e la conseguente speculazione. Il paradosso è che gli artefici del disastro, i beneficiari della rapina, gli arricchiti dalla crisi, i rentier di ogni tipo continuano ad essere esentati dal sacrificio richiesto agli altri.
Nei provvedimenti noti non c’è nulla che lasci prevedere una qualche forma di contenimento della speculazione o di contributo da parte delle fasce benestanti. (altro…)

Beni comuni

I pessimisti sostengono che il nostro è un Paese senza memoria. Gli ottimisti considerano l’Italia una nazione a memoria corta. Scegliete voi ma per come sta andando la discussione sul processo che ci porterà  all’Italia federale, propendo per la prima posizione. Non si spiega altrimenti la mancanza di cautela rispetto ad una procedura che abbiamo già  sperimentato nel passato con la creazione nel 1970 degli istituti regionali. Quella fu una mezza riforma che comportò un aumento della spesa pubblica rilevante. Perchè successe? Senza alcun criterio i decreti attuativi della legge istitutiva, furono deliberati per trasferire personale dallo Stato alle regioni. In mancanza di professionalità  adeguate i novelli enti non poterono che assumere personale per coprire le funzioni trasferite. I Ministeri non si svuotarono di personale mentre le poche risorse finanziarie assegnate alle regioni portarono a bilanci completamente squilibrati. Oltre il 70% della spesa regionale era, ed è, riferita al servizio sanitario. Attraverso referendum furono aboliti i ministeri dell’Agricoltura, della Sanità  e del Turismo, ma con la consueta furbizia italiota si cambiò il nome dei ministeri ma nessun ministeriale rischiò il trasferimento. Le regioni diventarono, non tutte per fortuna, enti sovradimensionati e a loro volta centralistici nei confronti delle autonomie locali. Come sempre succede una mezza riforma non è meglio di nessuna riforma e quello che sembra morto, il centralismo, mangia il vivo, il vero decentramento. Con il federalismo sarà  possibile trasferire da Roma a Bolzano o a Caltanisetta il personale dello Stato? Certo ci rassicura la presenza di Calderoli e Brunetta, ma qualche preoccupazione ci sembra legittima.
E’ ormai legge quello che viene chiamato il federalismo demaniale. Parti consistenti delle proprietà  dello Stato centrale sono trasferite a zero costo alle regioni e agli altri enti locali. La cosa di per sè sembrerebbe ottima. Anche se i beni trasferiti al Nord del Paese sono il doppio di quelli assegnati alle regioni del Sud, l’idea di valorizzare il patrimonio delle autonomie potrebbe essere buona cosa, sembrerebbe un percorso intelligente. Il problema non è così semplice. Senza risorse per la gestione dei beni ed in presenza di enti al collasso finanziario come sono regioni e comuni, l’unica strada aperta è quella della vendita dei beni pubblici. Una gigantesca asta che potrà  riguardare palazzi, ma anche le foreste, le acque o altri beni che pubblici sono e pubblici dovrebbero rimanere.
Non sarà  così, non rimarranno pubblici. Lo spezzatino dovrà  essere messo in vendita per riquadrare i bilanci. La manovra in gestazione nella testa del creativo Tremonti prevede il taglio dei trasferimenti a regioni e comuni di 4 miliardi, la spesa sanitaria sarà  ridotta di 2 miliardi e mezzo. Indovinate che altra novità ? Un altro condono edilizio. Questa volta per coloro che hanno costruito case abusivamente. Dicono che si tratta di 2 milioni di case. Non è un errore di stampa. Due milioni di case abusive saranno condonate. Non si sa se ridere o piangere. Non metteremo le mani nelle tasche degli italiani assicurano i nostri governanti. E’ un’attività  questa che lasciano volentieri ai sindaci e ai presidenti di regione. Tagliano I.C.I,, trasferiscono meno risorse a comuni e regioni. In questa situazione che deve fare Boccali o la Marini?
O tagliano i servizi al cittadino o mettono nuove tasse, mi sembra scontato. Nemmeno a regime federale sarà  previsto il batter moneta. (altro…)