da Francesco Mandarini | Gen 30, 2009
Nel giorno del suo insediamento a presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan, il 21 gennaio del 1981, disse: ” Nella crisi presente, il governo non è la soluzione al nostro problema; il governo è il problema.” .
Martedì scorso, Barack Hussein Obama ha affermato: “La questione non è se il nostro governo sia troppo grande o troppo piccolo ma se funziona: se aiuta le famiglie a trovare lavoro e salari decenti, cure alla loro portata e una pensione degna.” Due discorsi che segnano l’inizio e la fine di un ciclo della storia dell’umanità e che rappresentano bene due visioni del governo del mondo. (altro…)
da Francesco Mandarini | Gen 27, 2009
La storia della sinistra, non solo italiana, è storia di lacerazioni, divisioni, scissioni. Non deve meravigliare quindi che, a quasi un anno dalla sconfitta elettorale, la sinistra riformista o alternativa che sia vada nelle prime pagine dei giornali soltanto per le proprie miserie interne. Certo la scissione di Livorno ha ben altro spessore rispetto a quanto sta succedendo dentro il Partito della Rifondazione Comunista. Ma questi sono i tempi che ci è toccato vivere. Tempi difficili in cui alla crisi del neoliberismo corrisponde una sinistra senza idee, progetti, capacità di organizzare movimenti di contrasto del degrado che le classi dirigenti hanno provocato in tutto il mondo.
Il Partito Democratico è sospeso in un vuoto riempito solo da un balbettio inconsistente di un gruppo dirigente diviso su tutto. Anche coloro che hanno guardato con diffidenza al tentativo di formare un partito riformista all’americana, ma con qualche aspettativa di novità , rimangono stupefatti dalla sequela di banali errori che i diversi leader del PD stanno compiendo in questi mesi e dall’incapacità di trovare una linea di contrasto al berlusconismo. Ancora oggi, nonostante tutto, l’agenda politica è quella voluta dall’uomo di Arcore. (altro…)
da Francesco Mandarini | Gen 22, 2009
La Costituzione repubblicana all’art 49 così recita: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.
Nei primi decenni del dopoguerra i partiti rappresentarono il luogo in cui si insegnavano la democrazia, l’educazione civica e si formavano le classi dirigenti politiche e sociali del Paese. Funzionavano, i partiti, con un metodo democratico incentrato nello svolgimento di congressi che avevano cadenza in genere non annuale ma fissate da statuti che rispondevano al criterio della democraticità . La selezione della dirigenza avveniva tenendo conto delle diverse sensibilità e qualità della rappresentanza. L’Italia è stata governata per oltre quaranta anni dalla democrazia cristiana che riusciva, di volta in volta a costruire alleanze con altri partiti moderati e per una lunga stagione, con il partito socialista. Il PCI pur rappresentando quasi un terzo del corpo elettorale, espresse ministri soltanto dal 1946 al 1948. Gli addetti alla politica, in genere, non avevano condizioni di vita entusiasmanti e il funzionario di partito o l’amministratore locale poteva far conto su stipendi mediocri.
Ad esempio, nel PCI la regola era che un dirigente non potesse avere un trattamento economico superiore a quello di un metalmeccanico di quinta categoria e l’amministratore poteva contare soltanto sul mantenimento del reddito che aveva prima di essere eletto in qualche carica. Prevalente era il lavoro volontario non retribuito. Il far parte di un organismo di direzione politica provocava tensioni e amarezze, ma difficilmente ti cambiava la vita.
L’auto candidatura a qualche incarico non era affatto apprezzata e in genere comportava l’emarginazione di chi sbracciava troppo per ottenere un posto di comando o di rappresentanza.
La modernità per molti Paesi ha significato spesso l’affinamento del sistema politico, per l’Italia la costruzione di un ceto politico inossidabile e l’esplodere degli addetti alla politica.
E si capisce perchè. Oggi un qualsiasi incarico nella pubblica amministrazione può comportare, non per tutti ovviamente, un mutamento della condizione sociale e un lavoro non certo stressante. La vita democratica nelle formazioni politiche si esaurisce in qualche riunione per la scelta del candidato ad un incarico e le defaticanti riunioni nelle sperdute sezioni di partito per discutere di politica fanno ormai parte della storia.
Una storia sepolta nell’oblio delle attuali classi dirigenti.
Oggi il sistema politico italiano è costituito dal prevalere dei partiti personali. Forza Italia non ha mai svolto un congresso ma molte convention per osannare Berlusconi. Non è soltanto Mastella ad avere un partito personale. Anche Di Pietro ha fatto il suo.
Il PD sposta la data del congresso di mese in mese. Soltanto il PRC ha svolto recentemente un congresso con risultati non entusiasmanti visto che si prefigura una nuova scissione a sinistra e il movimento della Sinistra Democratica non sembra in grado di costituire quel collante ad una ricomposizione di qualcosa di vivo a sinistra del PD.
La Lega pur essendo un partito articolato e intrecciato con il territorio, ha un leader capace di decidere in perfetta solitudine le scelte del partito. Non sono previste grandi discussioni rispetto ai voleri di Bossi. Alleanza Nazionale mantiene ancora una struttura organizzata ma non ha un segretario. Lo coordina un Ministro della Repubblica in attesa della fusione nel Partito di Berlusconi. Ci sono altri partiti quello di Lombardo o Rotondi ma sono semplici appendici del centrodestra. L’UDC di Casini sembra voler mantenere i caratteri di un partito che discute anche di politica e non solo di organigrammi, ma le forze sono esigue. (altro…)
da Francesco Mandarini | Gen 12, 2009
Nella prima repubblica c’erano i “signori delle tessere”. Oggi vengono chiamati cacicchi, capi bastone o più elegantemente capi feudo. La sostanza è che la scomparsa dei partiti di massa ha lasciato in campo formazioni politiche frantumate nei territori e sostanzialmente condizionate da leader locali che rispondono a questo o quel dirigente nazionale e quasi mai all’interesse generale di avere amministratori capaci ed eticamente affidabili. La catastrofe degli ultimi mesi non riguarda soltanto l’economia. Riguarda in Italia anche l’emergere nel centrosinistra, PD e sinistra, di un processo di deterioramento accelerato di un ceto amministrativo al potere da molti lustri in Regioni, comuni e province. Ormai sono quattro le regioni commissariate dal segretario del partito democratico. Alcune per ragioni di indagini giudiziarie, Abruzzo e Campania, due per ragioni più politiche, Sardegna e Toscana. Gli episodi sono noti e mi sembra saggio che il PD non gridi al complotto della magistratura ma cerchi di risolvere con rigore le questioni. Purtroppo non sempre sembra in grado di farlo. Che l’inquisito sindaco di Pescara utilizzi un cavillo legale per non dimettersi a me sembra una sconfitta per il partito democratico e per il centrosinistra. Che la sindaca di Napoli, persona sicuramente per molti versi apprezzabile, si senta legittimata a registrare un colloquio con dirigenti del partito napoletano, appare raccapricciante. Che il sindaco di Firenze ritenga opportuno incatenarsi di fronte alla sede di Repubblica, appare come una “grillata” senza senso. E questo al di là di un giudizio negativo sulla campagna scandalistica che il giornale in questione ha svolto contro l’amministrazione fiorentina. Siamo stati rassicurati giovedì che il Sindaco di Firenze non lascerà la politica come minacciato mercoledì, ma si sacrificherà con un posto da parlamentare nel Parlamento Europeo. Se non si analizzano i motivi oggettivi che hanno portato alla feudalizzazione della politica si può rivendicare quanto si vuole l’unità e la solidarietà di partito come fa Veltroni ma si perpetuerà una società feudale che in assenza del Principe sarà segnata da lotte tra le diverse Signorie e da tanti capitani di ventura.
L’intreccio tra affari e politica non è una novità di questi anni e non è peculiarità italiana. Caratteristica del nostro Paese è l’ampiezza del fenomeno e l’incidenza del potere economico su quello politico. Questo ultima specificità riguarda anche amministrazioni in cui non esiste affatto un problema etico. E sono certo che sono la stragrande maggioranza delle amministrazioni locali. Ma la fragilità della politica è causa del condizionamento delle scelte dell’interesse economico sui programmi e i progetti pubblici. AÂ volte le esigenze dell’imprenditoria entrano in conflitto con l’interesse generale, ad esempio, quando si tratta della salvaguardia dei beni pubblici come il territorio e l’ambiente. Troppo spesso le scelte amministrative non riescono a mediare tra i due interessi. (altro…)
da Francesco Mandarini | Dic 29, 2008
Il partito all’americana, il partito “leggero”, il partito “liquido” si è rivelato una catastrofe. Il Partito democratico, a poco più di un anno dalla sua scesa in campo, ha rischiato di frantumarsi, di sciogliersi come neve al sole. Un amalgama mal riuscito. E’ questa la definizione data da Massimo D’Alema di una formazione politica che era stata presentata come la più grande innovazione della storia dell’Italia repubblicana e forse di quella dell’Europa.
Nella direzione del PD del 19 dicembre il dibattito è stato aspro, per certi versi autentico, ma non è riuscito ad individuare soluzioni capaci di rappresentare quella svolta necessaria a tranquillizzare un popolo di centrosinistra frastornato e smarrito. La discussione si è conclusa con l’approvazione di un documento che contiene formulazioni generiche a certificare più che una unità del gruppo dirigente, una tregua tra le diverse correnti. La votazione ha dato un risultato “bulgaro”. Quasi all’unanimità . Il voto nasconde analisi e strategie alternative tra le diverse anime del partito. Si tratta soltanto di un armistizio per gestire una fase tremenda per la neonata creatura. Non c’è soltanto l’emergere di una questione morale che coinvolge amministratori del Pd in tutte le latitudini del Paese. Questione di per sè drammatica per il significato di omologazione di fette consistenti di ceto politico di area centrosinistra alla peggior pratica politica di antica memoria. Bene ha fatto Veltroni a non cadere nella trappola del complottismo, giusto rivendicare l’autonomia della magistratura anche quando sotto accusa sono dirigenti del PD. Utile sarebbe lavorare nello statuto del partito per introdurre incompatibilità tra incarichi politici e quelli amministrativi o porre vincoli formali al carrierismo politico. La politica va fatta con professionalità ma non può essere una professione a vita. Ogni tanto è saggio riposarsi o fare politica fuori delle istituzioni pubbliche. Non è il solito conflitto tra vecchio e nuovo ma l’esigenza di formalizzare il principio della politica come servizio, emarginando coloro che si servono della politica per il proprio tornaconto. Ho trovato stupefacente che il sindaco di una città importante, Pescara, sia anche segretario regionale di un partito, il PD. Al di là delle indagini, mi sembra paradossale il doppio incarico per l’evidente conflitto d’interessi che esso contiene.
Ciò che Veltroni non ha ancora chiaro è lo scarto tra i problemi dell’Italia e la qualità del governo locale espresso dal centrosinistra. Per molti decenni l’amministrazione locale è stata il fiore all’occhiello della sinistra riformista o radicale che essa fosse. Le tre “regioni rosse”, i sindaci emiliani o toscani, l’Umbria di Pietro Conti, l’elenco sarebbe lungo da fare, rappresentarono per la sinistra l’orgoglio e la speranza.
Oggi anche a causa della crisi della finanza pubblica, il governo locale è spesso inadeguato e a volte a rimorchio dei potentati locali.
Sostengono in molti, giustamente, che fino a sentenza definitiva nessuno è colpevole e che non dovrebbe essere una comunicazione giudiziaria a costituire motivo per le dimissioni di un amministratore. Credo, ne sono convinto, che il PD sia una formazione politica di gente per bene come dice Veltroni. Ma essere per bene non significa necessariamente fare bene l’amministratore. E molte delle realtà locali dimostrano in anni recenti che la classe dirigente amministrativa espressione anche del PD è spesso inadeguata e a volte pessima. Esemplare è il caso Campania. Un eletto dal popolo non risponde al partito ma al popolo. Purtroppo i sindaci e i presidenti sono eletti direttamente e per legge hanno il diritto di concludere il mandato. In genere i candidati vengono scelti da un partito e il partito ha il diritto di giudicare autonomamente la qualità del lavoro del proprio iscritto. Quando necessario è appropriato sollecitare comportamenti dell’amministratore coerenti con l’interesse generale che, ovviamente, è quello di avere buone amministrazioni. Traducendo: Rosa Jervolino o Antonio Bassolino sono fuori dalle indagini per corruzione, ma se è dovuto intervenire il governo centrale a fare il miracolo di togliere la spazzatura a Napoli, le loro amministrazioni hanno dato pessima prova e ne dovrebbero prendere atto. Dimettersi non sarà obbligatorio, ma opportuno certamente. (altro…)
da Francesco Mandarini | Dic 21, 2008
Il Senato ha bocciato il piano di salvataggio delle industrie automobilistiche americane. Ciò ha provocato la caduta delle borse in tutto il mondo e il crollo del dollaro e del prezzo del petrolio.
Senza l’intervento pubblico General Motors, Chrysler e Ford si avviano al fallimento. Ciò mette a rischio, tra diretti e indiretti, quattro milioni di posti di lavoro. Una catastrofe che non riguarda soltanto gli Stati Uniti, ma che ha un impatto globale. Come è potuto succedere? Gli analisti concordano nel giudicare l’industria automobilistica americana arretrata rispetto alla concorrenza giapponese ed europea e disastrose le scelte fatte negli anni dai Top Manager più pagati al mondo. Modelli di auto onnivori nei consumi e paradossali nell’impatto ambientale. Le sport utility vehicles, i Suv, che hanno ingombrato le strade di tutto il mondo si sono dimostrati utili soltanto per i produttori di petrolio. Oggi sia General Motors che le altre case automobilistiche ne hanno interrotta la produzione per mancanza di domanda. Nella tragedia della crisi una buona notizia. Ma la crisi dei produttori americani non dipende soltanto da scelte industriali sbagliate. Contano moltissimo, nel disastro, gli esborsi che i giganti dell’auto Usa hanno dovuto fare per mantenere i rispettivi Fondi previdenziali e sanitari. Come è noto la previdenza pubblica USA è di dimensioni insignificanti. Funziona, diciamo così la previdenza privata. I Fondi sono implementati dai versamenti dei lavoratori e da quelli delle imprese. La crisi finanziaria ha inciso pesantemente sulla gestione dei Fondi previdenziali così che a rischio diventano anche le pensioni di milioni di lavoratori già in quiescenza. Nel 2007 il Fondo della General Motors aveva un disavanzo di 39 miliardi di dollari. La sanità in America ha due caratteristiche. Risulta da anni tra le peggiori al mondo ed incide sul prodotto interno lordo per il doppio (16%) di quello dei Paesi a sistema sanitario pubblico. A destra e a sinistra si dice che il mondo dopo il crack sarà radicalmente diverso da quello che abbiamo conosciuto. Un’ovvietà ripetuta in tutte le sedi ed è forse un bene. Il problema però è per quale mondo nuovo lavorare e quali priorità e valori costruire con il massimo consenso possibile. (altro…)