da Francesco Mandarini | Mar 18, 2011
La crisi della spesa pubblica e delle politiche di welfare non è prerogativa italiana. In tutto il mondo occidentale quaranta anni di politiche liberiste hanno lasciato società spesso in frantumi in cui i ricchi sono diventati più ricchi e i meno abbienti si sono visti ridurre oltre la capacità d’acquisto di salari e pensioni, anche parti significative del sostegno pubblico. Un intervento composto da una rete di servizi, di interventi dello stato e in genere dell’amministrazione pubblica che assicuravano una crescita e una tenuta sociale altrimenti precaria. Dopo tanti anni di meno stato e più mercato il quadro è quello di una disoccupazione di massa e di ridimensionamento di tutto ciò che è servizi al cittadino. La precarietà regna sovrana.
Le società occidentali risultano tutte impoverite e comunque prive di prospettive per le nuove generazioni.
La crisi finanziaria nata negli Stati Uniti ha provocato lo spostamento di ingenti risorse pubbliche verso un sistema finanziario malato implementando i deficit pubblici e senza incidere sui redditi di coloro che hanno provocato il disastro. La ricchezza da speculazione finanziaria continua a sfuggire ad ogni fiscalità mentre i redditi da impresa o da lavoro continuano a sostenere i bilanci pubblici.
In ogni Paese la crisi ha tentato di trovare soluzioni diverse.
Se nel Nord Europa la crisi del welfare non ha comportato il ridimensionamento della scuola o della sanità o degli investimenti in ricerca e innovazione, in Italia, ma non solo, la scelta è stata quella di tagli pesanti in tutti i settori dei servizi al cittadino. Scuola pubblica, ricerca, sanità , cultura, spesa pubblica locale subiscono un ridimensionamento epocale.
Ormai le manifestazioni di piazza di tutti i settori della società costituiscono una costante. Queste manifestazioni non sono organizzate dai partiti di opposizione. In genere si tratta di appuntamenti della CGIL o di auto convocazioni di pezzi di società civile che guardano con sospetto tutto ciò che è riconducibile alla politica che si svolge nei palazzi del potere. Un potere che non sembra ascoltare il popolo: preferisce continuare nei suoi riti, nei suoi derby televisivi, nel suo guardarsi l’ombelico.
Ci sono rituali che compie la destra nella sua difesa a priori del Sultano, ci sono consuetudini che riguardano il centrosinistra. (altro…)
da Francesco Mandarini | Mar 9, 2011
Con il consueto voto di fiducia, l’ennesimo, il Parlamento ha approvato il decreto relativo al così detto federalismo municipale. Gli esperti sostengono che si tratta di una patacca considerando che l’autonomia comunale rimane, dal punto di vista delle entrate, assolutamente subalterna ai trasferimenti dallo Stato centrale. Ma al di là del merito del provvedimento c’è una questione di metodo di grande rilevanza. Domanda: trasformare uno Stato centralizzato in uno Stato federale è possibile con un voto parlamentare a maggioranza semplice e con il vincolo della fiducia? Quella che dovrebbe essere la riforma delle riforme (cambia la struttura dello Stato) può avere un futuro prescindendo completamente dalle valutazioni di tutte le forze di opposizione? Tra esse ci sono partiti che sono contrari al federalismo, ma altri non lo sono. Il PD ad esempio è favorevole ad un federalismo che non mette a rischio l’unità dell’Italia e non determina l’aggravamento degli squilibri economico-sociali delle diverse aree del Paese. Forse sarebbe stato più saggio che la Lega ricercasse un consenso più ampio nel portare avanti le sue proposte. L’esigenza di responsabilizzare nella spesa di denaro pubblico le classi dirigenti locali è un’esigenza sentita da molti. E’ ormai intollerabile ogni forma di spreco e d’incapacità di far quadrare i bilanci. L’obbiettivo è giusto, ma lo si può raggiungere in diversi modi. Quello scelto dalla Lega sembra, a detta di molti osservatori, foriero di un aggravamento della pressione fiscale. E’ noto che quella italiana è cresciuta negli ultimi dieci anni in modo ormai intollerabile: siamo al 43,7 per cento del PIL. Ci battono soltanto le nazioni del Nord Europa dove, però, lo stato sociale si fa carico dei cittadini dalla culla alla tomba con una qualità di servizi da albergo a cinque stelle. Calderoli sostiene con veemenza che le tasse comunali non aumenteranno. Difficile credergli. Negli ultimi tre anni le risorse di tutte le amministrazioni locali sono diminuite in modo drammatico e già il taglio dei servizi sta cambiando la vita degli strati meno abbienti della popolazione. Il costo di molte tariffe è già aumentato nonostante l’abbassamento della qualità delle prestazioni. Impossibile per gran parte delle strutture pubbliche locali ogni politica d’investimento per innovare, e senza innovare non sarà possibile rendere la spesa pubblica più efficace. Se il quadro è questo delle due, una: o i comuni continueranno a tagliare i servizi al cittadino e a galleggiare nelle inefficienze o utilizzeranno le possibilità offerte dal fisco municipale per aumentare la tassazione. Altre strade non ci sono o meglio una ce ne sarebbe. Non ripeterò la storia della lotta all’evasione fiscale. E’ un grande problema del Paese, una delle più grandi ingiustizie che dobbiamo subire. Gli uffici preposti al contrasto all’evasione diffondono, giustamente, i risultati ottenuti in questi anni nello scovare i protagonisti di questa sorta di rapina. L’augurio è di buon lavoro.
Un’altra strada che non dipende dai controlli ma dalla volontà politica è quella del far pagare il giusto a chi il giusto non paga. I redditi d’impresa e da lavoro subiscono una pressione fiscale altissima che comporta la difficoltà negli investimenti e nell’aumento dei consumi delle famiglie. Investimenti e consumi che tutti riconoscono necessari per invertire il degrado economico del Paese. Vi sembra giusto che i redditi da rendita finanziaria siano tassati al 12 e 50 per cento e quelli di un impiegato di banca al 27 o 38 per cento a seconda lo stipendio? Che pensare di un Paese il cui primo ministro guadagna personalmente con i dividendi delle sue aziende in un anno solare 118 milioni pagando per quell’introito il 12 e 50% di tasse? (altro…)
da Francesco Mandarini | Mar 3, 2011
L’Italia è una repubblica parlamentare fondata sul lavoro.
Questo è scritto nella Carta Costituzionale, di questo siamo stati convinti per decenni. Questo non è più vero. Il Parlamento è diventato un mercatino del sabato dove sono in vendita pezzi di modernariato di pessima qualità . Privo di qualsiasi autonomia legislativa opera esclusivamente partendo dalle esigenze del sultanino di Arcore. Meglio prenderne atto e non aspettarsi che, nelle aule parlamentari, i 945 nominati si comportino nell’interesse del Paese e non guardando soltanto ai loro interessi personali. Uno dei poteri che dovrebbe caratterizzare una democrazia, il legislativo, non esiste più nel Bel Paese.
La nostra è diventata una democrazia populista diretta da un venditore di panna irrancidita. I giochi non sono ancora fatti. Punti di resistenza nelle istituzioni sono ancora in grado di rovesciare la tendenza al degrado della democrazia italiana.
Non solo Napolitano, ma anche pezzi importanti della magistratura cercano di salvaguardare lo Stato di diritto. La destra al governo ha fatto pagare il costo delle indulgenze vaticane a tutto il Paese. Pressate dal variegato mondo cattolico, alla fine anche le gerarchie hanno dovuto prendere atto che ulteriori benevolenze nei confronti del sultanino di Arcore non erano possibili.
La mitica società civile sembra oggi realizzare quanti danni si sono prodotti sottovalutando gli strappi che la destra leghista e affarista hanno prodotto in questi anni nella coscienza del popolo con un complesso di leggi a persona, di condoni, amnistie per i più forti. Dopo le dure lotte dei lavoratori, del mondo della scuola e della cultura, sono scese in piazza le donne. Meravigliando tutti, un movimento autonomo da partiti e da organizzazioni di ogni tipo, è riuscito a portare nelle piazze italiane un milione di persone. Per una volta le pagine dei giornali di tutto il mondo hanno potuto apprezzare ciò che succedeva in Italia. Grazie alle donne e i giovani, un Paese governato da un clown dimostra di avere gli anticorpi per riprendere un cammino di civiltà . Nel sud del Mediterraneo sono le piazze che fanno saltare regimi e dittatori. Precipita lo zio di Ruby, salta l’amico di merende del Cavaliere delle passeggiate romane, forse anche in Italia la strada maestra non è quella del gioco della politica politicante, ma la mobilitazione del popolo contro il governicchio di Bossi e dei berluscones.
Al momento che scriviamo, non sappiamo se Gheddafi è ancora in Libia o è fuggito. Sappiamo che di fronte ai massacri, anche se in ritardo, la Comunità Europea interviene per far cessare la repressione. A Bruxelles il fatuo Ministro Frattini si sta battendo per la non ingerenza negli affari dell’amico del suo padrone. Possiamo affermare che oggi siamo la barzelletta del mondo? Quando un grande Paese riesce a farsi rappresentare nelle istituzioni internazionali da Frattini, possiamo ben dirlo.
Una repubblica fondata sul lavoro? Ma il lavoro è l’ultimo dei pensieri della nostra classe dirigente, Negli ultimi quindici anni tutto ciò che va contro la dignità del lavoro è l’orizzonte di tanta parte del ceto politico e del mondo dell’impresa.
Vengono al pettine i disastri di tanti anni di berlusconismo condito con le scempiaggini pluriennali di tanta parte del centrosinistra. Un solo esempio. Ancora oggi di fronte alla proposta della destra di ripristinare l’immunità parlamentare all’interno di una controriforma della giustizia, Luciano Violante mostra disponibilità al dialogo. Non si tratta di apprezzare la tesi del rottamatore di Firenze, i personaggi troppo ciarlieri alla Renzi ci piacciono poco. Siamo convinti che il ceto politico, in campo anche nel centrosinistra, sia nell’insieme da rinnovare a prescindere dall’età anagrafica. Il gioco dell’oca di questi anni ha riguardato un poco tutti e la maggior parte degli addetti ai lavori hanno vissuto l’agire politico come una professione e una carriera da perseguire costi quel che costi.
Ci piace l’idea di un rinnovamento anche generazionale, forse dovrebbe però avvenire sulla base delle idee e dei comportamenti concreti di coloro che vogliono svolgere un’attività politica. Certo è che la specie di politico impersonata dal pessimo ex presidente della Camera un certo imbarazzo lo provoca.
La distruzione dei partiti di massa ha prodotto un ceto politico che conserva tutto il peggio della prima repubblica senza conservare ciò che andava conservato dal disastro.
Andava ad esempio preservata una certa sobrietà e una certa capacità di analisi della società che si voleva amministrare. Sobrietà e capacità di analisi che sembrano scomparse. A leggere i dibattiti del consiglio regionale o di un’amministrazione locale ciò che prevale è la polemica su fatti e fatterelli. Qualcuno vuol spiegarci quale idea dell’Umbria ha dentro la testa il PD o l’IDV o la Federazione della sinistra? Al di là della propaganda c’è qualcuno che sta analizzando, studiando ciò che significa la crisi dello stato sociale in una regione come l’Umbria?
Perchè di crisi si tratta. Non basta prendersela con le politiche tremontiane. Dobbiamo aver chiaro che non sarà possibile tornare al come eravamo prima del disastro provocato dai liberisti. Cambiare, cambiar bisogna perchè la globalizzazione ci obbliga ad un processo di innovazione strutturale del modo di essere dell’amministrazione pubblica. La strada maestra è quella di riformare in maniera profonda la spesa pubblica anche attraverso un rapporto diverso tra amministratore e amministrato ad iniziare dall’individuazione delle priorità del governare. Recuperare la fiducia del popolo non è compito facile per un ceto politico usurato dal tempo utilizzato per l’autoconservazione. E’ il caso di provarci. E’ una stagione difficile. Si ripropone lo slogan degli anni 50 “Pane e Lavoro”? L’impressione è questa.
A seguire certe discussioni sembra che la sicurezza delle città sia la priorità . Una stupidaggine.
da Francesco Mandarini | Feb 27, 2011
Nel mercatone dei nominati in Parlamento i saldi di fine stagione stanno spostando forze dall’opposizione al governo Berlusconi-Bossi. La transumanza assume aspetti dell’avanspettacolo degli anni 50 con comiche conversioni o riconversioni come quella del senatore Paolo Guzzanti autore di “Mignottocrazia”, un libro scritto in onore del Cavaliere o Sultano di Arcore. Guzzanti è stato fondatore, soltanto due mesi or sono, del mitico Terzo Polo di Fini, Rutelli e Casini, lui rappresentava il PLI. Il Guzzanti esce dal Partito Liberale Italiano e va con il gruppo dei Responsabili che come è noto lavorano disinteressatamente per il bene del Paese.
Più complessa la vicenda delle fuoriuscite dal novello partito di Fini. Fondato a Milano una settimana fa, ha cominciato a registrare le fughe di diversi senatori e deputati. Le ragioni di alcuni sono brutali per chiarezza. Il senatore Giuseppe Menardi, ingegnere e imprenditore, ha svolto tre legislature e ne vuole fare una quarta. Potrà così continuare a prendere i lauti compensi del parlamentare, aumentare il vitalizio e contemporaneamente occuparsi della sua Società di progettazione. Meglio di così?
Ma altre defezioni dal FLI hanno motivazioni più politiche e forse la responsabilità dello smottamento ricade anche su Fini. Berlusconi è il proprietario del PDL. Un Partito che non ha organi di direzione che svolgono riunioni e prendono decisioni. I tre coordinatori Verdini, La Russa e Bondi ricevono telefonate dal Capo e agiscono di conseguenza. E’ ammissibile che il FLI si sia dato un gruppo dirigente sulla base delle esclusive volontà del Presidente della Camera? Così facendo non si porta acqua alla deriva della democrazia italiana? Scopre adesso, Fini, che Berlusconi ha un potere economico e mediatico tale da consentire campagne acquisti per vincere il campionato di calcio e rimanere in sella al suo governicchio? Se Fini avesse la pazienza di leggere i giornali esteri avrebbe coscienza di come è considerata l’Italia fuori dai confini e non da oggi.
“Il lento ma costante declino economico dell’Italia compromette la sua capacità di svolgere un ruolo nell’arena internazionale. La sua leadership spesso manca di una visione strategica. Le sue istituzioni non sono ancora sviluppate come dovrebbero essere in un moderno paese europeo. La riluttanza o l’incapacità dei leader italiani a contrastare molti dei problemi che affliggono la società , come un sistema economico non competitivo, l’obsolescenza delle infrastrutture, il debito pubblico crescente, la corruzione endemica, hanno dato tra i partner l’impressione di una governance inefficiente e irresponsabile. Il primo ministro Silvio Berlusconi è il simbolo di questa immagine.
Il premier Silvio Berlusconi con le sue frequenti gaffes e la scelta sbagliata delle parole ha offeso nel corso del suo mandato quasi ogni categoria di cittadino italiano e ogni leader politico europeo, mentre la sua volontà di mettere gli interessi personali al di sopra di quelli dello Stato ha leso la reputazione del Paese in Europa ed ha dato sfortunatamente un tono comico al prestigio dell’Italia in molte branche del governo degli Stati Uniti”.
Così scriveva nel febbraio 2009 l’ambasciatore americano a Roma.
Anche la vicenda di Futuro e Libertà segnala la crisi dei partiti e del ceto politico in campo. Un ceto che è rimasto a bocca aperta domenica scorsa quando un milione di donne è sceso in piazza a salvaguardia della dignità loro e dell’Italia. Una mobilitazione fuori dai partiti e dalle logiche di palazzo, frutto soltanto di uno scatto collettivo di indignazione e di democratica ribellione per lo stato in cui è ridotta la Repubblica e, per una volta, i giornali di tutto il mondo hanno apprezzato con meraviglia ciò che succedeva nel Bel Paese. Soltanto le donne ci possono salvare? Molti lo pensano.
Le oligarchie della politica sono tutte segnate da personaggi sclerotizzati da anni di carriera politica che non si è interrotta nemmeno dopo sonore sconfitte. Il berlusconismo è un modo di essere e di vivere la politica che ha segnato nel profondo il popolo ma anche la classe dirigente politica e non solo. La grande stampa d’informazione non sembra accorgersi di come la democrazia italiana si sia trasformata in qualcosa di diverso dal conosciuto. Ci è stato insegnato che si può definire democratico un regime dove esistono tre poteri autonomi: il legislativo, l’esecutivo, la magistratura. Oggi in Italia il potere legislativo non ha più alcuna autonomia. La paralisi del Paralamento è sotto gli occhi di tutti. I nominati lavorano tre giorni a settimana perchè c’è pochissimo da legiferare. Il decreto Mille Proroghe non passerà all’esame delle commissioni a prescindere dai regolamenti a conferma della subalternità del potere legislativo. Il Consiglio dei Ministri delibera non decreti legge ma una bozza delle linee della controriforma della magistratura. Berlusconi promette che le toghe rosse cesseranno di indagare e intercettare e se lo dice Lui dobbiamo credergli.
Posso sbagliare, ma a me sembra che il regime in cui viviamo somigli sempre più alle democrazie popolari del sistema imposto ai Paesi satelliti dai vecchi compagni di Putin. Anche in Bulgaria i parlamentari non venivano eletti, ma nominati. I parlamenti legiferavano sulla base delle direttive del partito e la magistratura rispondeva ai desiderata della burocrazia politica.
Lo sforzo dovrebbe essere quello di attivare un processo che inverta quanto successo negli ultimi venti anni nel nostro Paese. Gli anticorpi sono tutti scritti nella Carta Costituzionale il cui rispetto è compito del Presidente Napolitano. Non è senza ragione se l’unica figura apprezzata dalla stragrande maggioranza del popolo sia il Presidente della Repubblica. Questo apprezzamento significa che la deriva plebiscitaria può essere fermata. Le agorà del Mediterraneo stanno cacciando, con la non violenza, dittatori che sembravano immortali. Anche l’amico Gheddafi non se la passa benissimo e i morti che la sua polizia sta provocando non sono cosa che il Ministro Frattini può continuare ad ignorare.
Il lungo sonno degli italiani sembra finire e, nonostante la debolezza dell’opposizione parlamentare, si può cominciare a pensare che ci sia la condizione per andare oltre alla miseria dei saldi di fine stagione del mercato della politica. Le donne e i giovani ci salveranno.
da Francesco Mandarini | Feb 17, 2011
Federalismo, federalismo o morte grida la Lega. Incasseremo il federalismo municipale entro marzo, assicura Bossi. Personalmente sono abbastanza convinto dell’esigenza di procedere alla responsabilizzazione degli amministratori locali valorizzando al massimo l’autonomia comunale e regionale anche attraverso un processo federalista.
Attuare il federalismo non è cosa facile. Non essendo ancora chiarito quali siano i costi standard dei servizi o come far funzionare il fondo di solidarietà che compensi i diversi livelli di sviluppo del Paese non è chiaro quello che si vuol realizzare. Sarebbe saggia una riflessione che parli al cervello della gente evitando di sollecitare gli egoismi personali o territoriali. Solitamente gli stati federali nascono attraverso l’aggregazione di autonomie locali dal basso verso l’alto. In Italia si procede al contrario e potrebbe anche funzionare se si ha ben chiaro quale è il valore da cui partire per realizzare uno stato federale. Non si va da nessuna parte se si tratta soltanto di mantenere nel territorio le risorse da esso create a prescindere da qualsiasi orizzonte solidaristico e d’interesse nazionale. Anche a livello delle singole regioni una politica è efficace soltanto se opera per elevare lo sviluppo delle zone più disagiate del territorio. Ad esempio, in quarant’anni di regione molto si è fatto in Umbria per far crescere la Valnerina o l’area del Trasimeno o dell’orvietano perchè considerate aree di disagio economico-sociale.
I più vecchi ricorderanno la povertà delle zone di montagna o quella di certe aree lacustri o di comuni esclusi dallo sviluppo degli anni 50 e 60. L’Umbria è stata per decenni una delle zone che la Comunità Europea inseriva nei progetti di sostegno allo sviluppo. L’utilizzo intelligente delle risorse della Comunità ha consentito di ridurre le differenze e, oggi, si può dire che i problemi dello sviluppo dell’Umbria rientrano tutti nella crisi generale dell’Italia. Ciò riproduce anche uno sviluppo a macchia di leopardo. Emergenze serie, pesanti che però non devono mettere un territorio contro un altro.
Cosa serve per rendere il processo federalista credibile? Cosa è necessario salvaguardare per garantire un processo virtuoso?
Il valore da preservare e implementare è senza dubbio l’autonomia politica delle comunità . Se un sindaco o un presidente di regione deve rispondere alle volontà di un leader nazionale o le risorse dell’ente vengono tutte decise a Roma, l’autonomia semplicemente non esiste. In questo quadro, colpisce che la Lega non abbia detto nulla rispetto all’ordine berlusconiano di cacciare da tutte le giunte di centrodestra la componente politica UDC. Può un leader nazionale imporre a tutte le amministrazioni locali una scelta così radicale? No, non può. Forse Bossi ha considerato anche questo ordine imperiale come una delle tante boutade di Berlusconi e certo nessuno pensa di procedere a cacciare dalle giunte gli uomini e le donne di Casini. Si capisce il silenzio di Bossi, è stata una settimana infernale per tutti e molti cominciano a chiedersi per quanto tempo le istituzioni democratiche potranno reggere all’assalto di vari personaggi.
Soltanto qualche episodio della settimana che si chiude.
Mercoledì il capo del governo dichiara che in Italia è in atto un golpe morale contro di Lui. Autori alcuni magistrati che, ormai, sono un’avanguardia rivoluzionaria eversiva. Comunica in televisione che Lui farà causa allo Stato per i danni morali provocati dalle indagini. Giovedì il prestigioso Ministro degli Esteri, Frattini, annuncia il ricorso del governo alla Corte Europea dei Diritti Umani per violazione della privacy del Capo.
Il nostro Ministro è persona esperta e apprezzata nelle cancellerie per la sua capacità di analisi. Soltanto due giorni or sono aveva dichiarato: “Mubarak rimarrà in carica sino alla scadenza del suo mandato e non oltre, non mi pare che ci
siano più dubbi al proposito”. Se Frattini ha deciso il ricorso alla Corte, uno così avveduto, è certo che le sue ragioni saranno accolte.
Il governo aveva deciso che il 17 marzo sarebbe stato festa nazionale per celebrare i 150 anni dell’unità dell’Italia. Niente di più che il dovuto, direte voi. Invece è successo il finimondo. Ministri un contro l’altro armati che vogliono che la festa ci sia ma che si vada a lavorare, altri che vogliono chiudere uffici e fabbriche. Le scuole dovranno essere aperte? L’ottima ministra Gelmini dice di sì, i presidi dicono di no. Le Regioni si spaccano tra quelle che manderanno i bambini a scuola e quelle che le scuole le chiuderanno. Il presidente della provincia di Bolzano dichiara che per lui non è una festa, si sente austroungarico. Le forze sociali si dividono. Confindustria, Cisl e Uil sono per fabbriche aperte il 17 marzo, la Cgil vuole festeggiare la ricorrenza. Il ministro Calderoli dichiara che la festa è anticostituzionale perchè priva di finanziamenti. Fabrizio Cicchitto (Pdl) va al sodo:”Il 17 marzo non si lavora e si
sostituisce al 2 giugno, festa della Repubblica”.
Povera Italia. Sembra una maionese impazzita.
Noi siamo un Paese molto amato e seguito all’estero. Lo siamo per la nostra creatività , per la nostra capacità di lavoro e anche per la nostra attitudine a scherzare sui nostri difetti. La commedia all’italiana è stata per anni un format imitato in tutto il mondo. In tempi più recenti però il mondo ci guarda con qualche preoccupazione. Una rapida ricerca mi ha fatto scoprire che nell’ultima settimana si sono occupati delle vicende berlusconiane del Bel Paese molti giornali e mezzi di comunicazione. The Economist, The Times, Il Wall Street Journal, The Independent, The Telegraph, The Financial Times, El Pais, Le Figaro, France Soir, CNN, Boston Globe, ABC, Al Jazeera, l’agenzia cinese Xinhua oltre a tutti i giornali brasiliani e dell’America Latina. Se la pubblicità è l’anima del commercio, non c’è dubbio che andiamo alla grande. O forse ha ragione Berlusconi nel denunciare la congiura mediatica organizzata da Repubblica e Il Manifesto. Scalfari e Norma Rangeri sono i capi di questa Spectra dell’informazione che ha diramazioni in tutto il mondo e lavora per screditare il Capo del populismo all’italiana.
da Francesco Mandarini | Feb 9, 2011
Irricevibile, governo scorretto. Con queste motivazioni Napolitano ha rinviato al governo il decreto legge sul federalismo municipale imposto da Bossi a prescindere dalla bocciatura del Parlamento al decreto precedente. Bisogna capirlo il capo della Lega. Erano mesi e mesi che gridava o federalismo o morte della legislatura. Il federalismo non c’è, ma la legislatura va avanti lo stesso.
In questo mondo d’incertezza rasserena il fatto che almeno una certezza l’abbiamo: ciò che dice Bossi il giovedì non vale più il venerdì. Il voto della bicamerale era andato male nonostante tutti i tentativi di acquisizione di qualche altro pentito dell’ultima ora e il Bossi fa finta di niente, si va avanti, dice.
Così in dispregio di ogni regola un Consiglio dei Ministri improvvisato aveva deciso la riproposizione di quanto bocciato. Che poteva fare il Presidente della Repubblica? Certificare che l’assemblea parlamentare è solo un orpello alle volontà dell’esecutivo accettando un atto chiaramente illegittimo? Viviamo una situazione surreale. Un governo partito con una maggioranza bulgara galleggia alla ricerca di recuperare consensi. La campagna acquisti per il cambio di giocatori di calcio è terminata il 31 gennaio, quella per il cambio di maglietta dei parlamentari continua anche a febbraio. Spettacolo indecente vien da dire, ma non bisogna fare i moralisti. La morale nell’agire politico è cosa arcaica che non è glamour. Così se tutti minacciano elezioni anticipate se non va avanti l’ottimo programma di governo succede che al momento decisivo una genuina crisi di coscienza salva una maggioranza à go-go. D’altra parte rinunciare alle prebende previste per senatori e deputati è molto difficile per tutti. Tengono famiglia e poter mantenere un lavoretto come il parlamentare ai tempi dei nominati non è cosa da poco. L’impegno romano non è massacrante e si può continuare ad esercitare la professione di avvocato, di medico, di commercialista, di libera professione senza affaticarsi troppo. Se poi ci si prospetta un bel posto da sottosegretario la scelta è quasi obbligatoria. Si diventa responsabile e si vota di tutto. E poi si entra nella squadra che porta avanti la rivoluzione liberale e cambia l’Italia. Se qualcuno ha la curiosità di rileggersi la dichiarazione con cui Berlusconi annunciò sedici anni fa la sua discesa in campo e la confronta con quanto dichiarato questa settimana dal Sultano di Arcore, rimarrà stupito dalla coerenza della linea. Stesse parole, stesse promesse, stessi nemici. Berlusconi ha ragione. Il vincolo del debito pubblico rallenta l’azione del governo. Ed è vero che il debito accumulato non è dipeso dalla sua maggioranza. Dice però una falsità quando sostiene che lo sfascio dei conti sia responsabilità dei comunisti. Il debito comincia ad esplodere negli anni ottanta e al governo non c’erano mica Occhetto o D’Alema. Fino al 1992 al potere c’erano gli amici dei governi di pentapartito con Craxi, Andreotti, Forlani e via elencando. Tutti coloro che fecero saltare tutti i conti pubblici e, per inciso, consentirono, attraverso leggi ad personam, l’esplosione dell’imprenditore Berlusconi.
La rivoluzione liberale nuovamente annunciata ha come punto d’abbrivio la modifica dell’articolo 41 della Costituzione.
Che stabilisce l’articolo? L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà , alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perchè l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali. E’ questa la norma che Berlusconi vuole mutare. C’è qualcuno che possa legittimamente sostenere che i disastri italiani dipendano da una disposizione simile. Altra cosa è il superamento di tutte le disposizioni che rendono farraginosa e costosa l’iniziativa imprenditoriale. E di lavoro al riguardo ce ne sarebbe da fare per superare burocrazie e normative inefficienti e vessatorie. Senza toccare la Costituzione si potrebbe ad esempio mettere in moto un meccanismo che obblighi le strutture pubbliche a pagamenti rapidi per i servizi ottenuti da artigiani, imprenditori. Rendere più razionali i piani di stabilità della rete delle autonomie, potrebbe consentire di trasferire risorse che rendano meno precaria l’attività produttiva svolta per conto del pubblico.
Lo sapete quante volte Berlusconi ha promesso il Piano Casa come motore del rilancio dell’economia? Quattro volte negli ultimi due anni. E’ come il ponte di Messina la cui prima pietra è stata posata una decina di volte e alla prima pietra siamo rimasti.
A questo punto qualcuno domanderà : e l’opposizione che fa per contrastare l’inefficacia del governo della destra berlusconian-leghista? Bella domanda a cui è difficile rispondere.
Negli ultimi mesi quella società civile che sembrava completamente irretita dalle vicende della politica politicante, si è rimessa in movimento con iniziative ancora disarticolate ma che danno il senso di un risveglio. Lotte significative di studenti, operai, ceto medio produttivo, movimenti femminili e mondo della cultura e della scuola, cominciano a costruire un’alternativa al degrado del Paese. Ciò che ancora non si riesce a intravedere è uno sbocco politico a questi movimenti. I partiti continuano nell’affannosa ricerca delle alleanze e delle lotte di corrente. Il ceto politico continua a guardarsi il proprio ombelico. Quello che continua ad emergere è lo scarto tra Paese reale e quello che si vive nei luoghi della democrazia formale. Soltanto la Presidenza della Repubblica sembra rappresentare un baluardo democratico apprezzato dalla gente comune. Si può affermare che il Parlamento non è più lo specchio dell’Italia? Sono convinto di sì. Nonostante tutto l’Italia è una nazione piena di risorse e d’intelligenze che sarebbero capaci di far progredire la collettività , basterebbe che l’azione politica si atteggiasse a sostenere le energie migliori e non continuasse a premiare le clientele e troppo spesso i corrotti.